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Il Senato,
premesso che:
il 1° febbraio 2021 il colpo di Stato dei militari in Myanmar ha interrotto la transizione del Paese verso la democrazia con la guida di Aung San Suu Kyi, dopo le elezioni democratiche, come riconosciuto dagli osservatori internazionali, dell’8 novembre 2020 che avevano sancito la vittoria schiacciante con l’86 per cento delle preferenze dell’NLD, il partito di Aung San Suu Kyi;
la popolazione del Myanmar ha reagito manifestando pacificamente la sua opposizione e dando vita a organismi rappresentativi: CRPH (Committee representing Pyidaungsu Hluttaw), NUG (National unity government), NUCC (National unity consultative council), riuscendo così ad impedire, nei tre anni di resistenza, alla giunta illegale del Myanmar di prendere il controllo del Paese;
il regime ha imprigionato da subito la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente U Win Myint e numerosi leader democratici; ha colpito la popolazione civile con migliaia di arresti, incarcerazioni, condanne a morte, processi farsa, violenze, stupri, torture, bombardamenti su villaggi, ospedali, chiese, scuole, musei e siti archeologici, violando sistematicamente i diritti umani; inoltre, secondo una nuova analisi satellitare, il Myanmar avrebbe intrapreso un programma di espansione delle carceri su larga scala;
il Myanmar è precipitato in una drammatica crisi umanitaria, i militari hanno impedito l’accesso agli aiuti, come già avvenuto al tempo del ciclone Nargis, causando il tracollo economico e l’isolamento del Paese dal contesto internazionale, il venir meno dei servizi educativi e sanitari e il conseguente abbandono dell’istruzione e delle università, controllate dai militari, da parte degli studenti e dei docenti;
nell’opposizione al regime si è determinato un processo di unità di tutte le forze democratiche, tra gli organismi rappresentativi del popolo e i gruppi etnici, anche armati, che ha dato vita anche a gruppi di difesa del popolo, il PDF (People defence force), e ha consentito la progressiva liberazione di gran parte del territorio del Paese, 36 città e circa il 65 per cento del territorio, specialmente nelle zone rurali e di confine, avviando una prima amministrazione civile;
le donne sono parte attiva della resistenza in Myanmar, dell’organizzazione sociale nei territori liberati, nell’aiuto volontario alla popolazione, nonché nella partecipazione ai gruppi armati;
a tre anni di distanza la resistenza della “Spring revolution” continua, i militari perdono presidi, migliaia di soldati si arrendono, il vertice militare è in difficoltà e diviso, e, dunque, sembra essersi aperta una nuova fase;
la comunità internazionale ha osservato e seguito in questi anni la situazione, non riconoscendo legittimità al regime militare e procedendo con sanzioni significative, ha sostenuto l’iniziativa dell’ASEAN che con il consenso in 5 punti, sempre respinto dai militari del Myanmar, tentava di contribuire alla soluzione della crisi del Paese;
il Consiglio di sicurezza ONU ha approvato il 21 dicembre 2022 la risoluzione 2669, che chiede, tra l’altro, la cessazione immediata di tutte le forme di violenza, la liberazione di tutti i prigionieri politici arbitrariamente in carcere, a partire dal presidente Win Myint e la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, ribadendo l’appello a sostenere le istituzioni e i processi democratici e a perseguire il dialogo costruttivo e la riconciliazione secondo la volontà e gli interessi del popolo;
l’Assemblea generale ONU ha adottato l’8 novembre 2023 una risoluzione sulla situazione dei diritti umani dei musulmani rohingya e delle altre minoranze in Myanmar che, tra l’altro, condanna con la massima fermezza tutte le violazioni e gli abusi dei diritti umani contro i civili, compresi i rohingya e altre minoranze, prima e dopo la dichiarazione ingiustificata dello stato di emergenza il 1° febbraio 2021 e invita le forze armate e di sicurezza del Myanmar a rispettare le norme, la volontà e le aspirazioni democratiche del popolo, a porre fine alla violenza e a rispettare pienamente i diritti umani, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto e, infine, a dichiarare la cessazione dello stato di emergenza;
la Commissione europea, dal colpo di Stato ad oggi, ha adottato una serie di misure restrittive nei confronti di 99 soggetti e 19 entità, soggette al congelamento dei beni, al divieto di viaggio, di entrata e di transito nel territorio UE e il divieto di qualunque forma di finanziamento o sostegno in favore dei destinatari di tali misure. Analogamente, ha disposto l’embargo su armi, e attrezzature, su beni a duplice uso destinati all’esercito e alla polizia di frontiera, il divieto di addestramento militare e cooperazione con l’esercito birmano e le restrizioni all’esportazione di attrezzature per il monitoraggio delle comunicazioni, che potrebbero essere utilizzate a fini di repressione interna;
considerato che:
la nuova fase che sembra aprirsi in Myanmar, grazie alla sistematica e totale resilienza del popolo e dei suoi rappresentanti, esige che la comunità internazionale sia al fianco del popolo mentre pone le basi di una democrazia federale e inclusiva, pagata a caro prezzo, che comprende l’esclusione dei militari dal potere politico;
l’intera regione asiatica (ASEAN), nel contesto che vede la presenza della Cina, dell’India, dell’Indo-Pacifico, del Giappone, ha bisogno di stabilità e in tal senso Stati Uniti, Unione europea e Gran Bretagna hanno ripetutamente manifestato la volontà di promuovere la soluzione democratica della crisi in Myanmar;
il recente evento “Rebuilding democracy in post-coup Myanmar”, promosso il 1° febbraio 2024 al Parlamento europeo da IPE (Irrawaddy policy exchange), concluso da Romano Prodi, ha messo in luce la necessità di iniziative politiche internazionali urgenti, adeguate alle sfide dell’attuale situazione in Myanmar;
il Ministro degli esteri della Thailandia Parupree Bahidha Nukara, nel recente 24° incontro ministeriale ASEAN-UE a Bruxelles, ha chiesto sostegno all’Unione europea per affrontare la crisi del Myanmar, per mettere in campo iniziative umanitarie, sostenendo che l’ASEAN e la UE possano lavorare insieme per creare cambiamenti;
la drammatica situazione dei rohingya, che sta a cuore all’intera comunità internazionale, può trovare soluzione in un Myanmar democratico, federale, stabile e inclusivo, come è dimostrato dalla presenza di un rappresentante dei rohingya nel NUG;
l’approccio non violento della popolazione del Myanmar sollecita tutte le energie religiose e spirituali del Paese a favorire su basi democratiche, nel rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa, un processo di riconciliazione e di pace, al quale non può essere estranea la comunità internazionale, come anche sostenuto in ripetuti appelli da papa Francesco;
occorre affrontare al più presto la crisi umanitaria, ponendo fine alle sofferenze intollerabili della popolazione, in particolar modo dei bambini, degli anziani, delle donne, sfollati nella giungla o rifugiati nei Paesi vicini, anche con aiuti umanitari transfrontalieri, non sotto il controllo dei militari;
considerato, inoltre, che:
il Parlamento italiano in questi ultimi due decenni ha seguito con partecipazione l’intera situazione del Myanmar nel suo cammino verso la democrazia, ha dato vita all’Associazione parlamentari amici della Birmania, ricostituita nella presente Legislatura, ha ospitato in un evento parlamentare nel 2017 Aung San Suu Kyi, ha inviato una delegazione parlamentare in Myanmar, guidata dal sen. Pierferdinando Casini nel settembre 2016, e dialoga con associazioni, università, organizzazioni della società civile italiana che alimentano un grande e diffuso rapporto di amicizia e cooperazione con il Myanmar;
i membri della Camera dei rappresentanti negli USA hanno lanciato il primo caucus bipartisan sulla Birmania, costituito da almeno una trentina di parlamentari, per fare pressione sull’amministrazione statunitense affinché agisca sulla crisi del Paese del Sud-Est asiatico, dopo l’emanazione del “Burma act” in data 23 dicembre 2022,
impegna il Governo:
1) ad adoperarsi in occasione del prossimo G7 a guida italiana perché si raggiunga la cessazione della violenza in Myanmar, la liberazione di tutti i prigionieri politici, di Aung San Suu Kyi e del presidente Win Myint, nonché il pieno ripristino della democrazia;
2) a promuovere in sede UE una strategia nuova, più attiva ed efficace, per la transizione democratica in Myanmar anche sostenendo politicamente e finanziariamente i programmi del NUG, del Movimento di disobbedienza civile e sindacale e delle organizzazioni del Consiglio consultivo nazionale unitario;
3) a sostenere in sede ONU la scelta di un inviato speciale per il Myanmar autorevole e dotato di poteri effettivi;
4) ad adoperarsi nelle sedi internazionali al fine di sostenere il riconoscimento presso la comunità internazionale del Governo di unità nazionale;
5) a sostenere le iniziative di cooperazione e sostegno delle istituzioni italiane, delle città, delle università e della società civile per il Myanmar. Pubblicato il 21 febbraio 2024, nella seduta n. 161
ZAMPA, CASINI, CAMUSSO, ALFIERI, DELRIO, SENSI, D'ELIA, ROJC, LA MARCA, NICITA, ZAMBITO, IRTO, BASSO, VERDUCCI, TAJANI, FURLAN, RANDO, ROSSOMANDO, GIACOBBE, MARTELLA, VALENTE, MANCA, MALPEZZI, VERINI
Il Senato,
premesso che:
il 1° febbraio 2021 il colpo di Stato dei militari in Myanmar ha interrotto la transizione del Paese verso la democrazia con la guida di Aung San Suu Kyi, dopo le elezioni democratiche, come riconosciuto dagli osservatori internazionali, dell’8 novembre 2020 che avevano sancito la vittoria schiacciante con l’86 per cento delle preferenze dell’NLD, il partito di Aung San Suu Kyi;
la popolazione del Myanmar ha reagito manifestando pacificamente la sua opposizione e dando vita a organismi rappresentativi: CRPH (Committee representing Pyidaungsu Hluttaw), NUG (National unity government), NUCC (National unity consultative council), riuscendo così ad impedire, nei tre anni di resistenza, alla giunta illegale del Myanmar di prendere il controllo del Paese;
il regime ha imprigionato da subito la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente U Win Myint e numerosi leader democratici; ha colpito la popolazione civile con migliaia di arresti, incarcerazioni, condanne a morte, processi farsa, violenze, stupri, torture, bombardamenti su villaggi, ospedali, chiese, scuole, musei e siti archeologici, violando sistematicamente i diritti umani; inoltre, secondo una nuova analisi satellitare, il Myanmar avrebbe intrapreso un programma di espansione delle carceri su larga scala;
il Myanmar è precipitato in una drammatica crisi umanitaria, i militari hanno impedito l’accesso agli aiuti, come già avvenuto al tempo del ciclone Nargis, causando il tracollo economico e l’isolamento del Paese dal contesto internazionale, il venir meno dei servizi educativi e sanitari e il conseguente abbandono dell’istruzione e delle università, controllate dai militari, da parte degli studenti e dei docenti;
nell’opposizione al regime si è determinato un processo di unità di tutte le forze democratiche, tra gli organismi rappresentativi del popolo e i gruppi etnici, anche armati, che ha dato vita anche a gruppi di difesa del popolo, il PDF (People defence force), e ha consentito la progressiva liberazione di gran parte del territorio del Paese, 36 città e circa il 65 per cento del territorio, specialmente nelle zone rurali e di confine, avviando una prima amministrazione civile;
le donne sono parte attiva della resistenza in Myanmar, dell’organizzazione sociale nei territori liberati, nell’aiuto volontario alla popolazione, nonché nella partecipazione ai gruppi armati;
a tre anni di distanza la resistenza della “Spring revolution” continua, i militari perdono presidi, migliaia di soldati si arrendono, il vertice militare è in difficoltà e diviso, e, dunque, sembra essersi aperta una nuova fase;
la comunità internazionale ha osservato e seguito in questi anni la situazione, non riconoscendo legittimità al regime militare e procedendo con sanzioni significative, ha sostenuto l’iniziativa dell’ASEAN che con il consenso in 5 punti, sempre respinto dai militari del Myanmar, tentava di contribuire alla soluzione della crisi del Paese;
il Consiglio di sicurezza ONU ha approvato il 21 dicembre 2022 la risoluzione 2669, che chiede, tra l’altro, la cessazione immediata di tutte le forme di violenza, la liberazione di tutti i prigionieri politici arbitrariamente in carcere, a partire dal presidente Win Myint e la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, ribadendo l’appello a sostenere le istituzioni e i processi democratici e a perseguire il dialogo costruttivo e la riconciliazione secondo la volontà e gli interessi del popolo;
l’Assemblea generale ONU ha adottato l’8 novembre 2023 una risoluzione sulla situazione dei diritti umani dei musulmani rohingya e delle altre minoranze in Myanmar che, tra l’altro, condanna con la massima fermezza tutte le violazioni e gli abusi dei diritti umani contro i civili, compresi i rohingya e altre minoranze, prima e dopo la dichiarazione ingiustificata dello stato di emergenza il 1° febbraio 2021 e invita le forze armate e di sicurezza del Myanmar a rispettare le norme, la volontà e le aspirazioni democratiche del popolo, a porre fine alla violenza e a rispettare pienamente i diritti umani, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto e, infine, a dichiarare la cessazione dello stato di emergenza;
la Commissione europea, dal colpo di Stato ad oggi, ha adottato una serie di misure restrittive nei confronti di 99 soggetti e 19 entità, soggette al congelamento dei beni, al divieto di viaggio, di entrata e di transito nel territorio UE e il divieto di qualunque forma di finanziamento o sostegno in favore dei destinatari di tali misure. Analogamente, ha disposto l’embargo su armi, e attrezzature, su beni a duplice uso destinati all’esercito e alla polizia di frontiera, il divieto di addestramento militare e cooperazione con l’esercito birmano e le restrizioni all’esportazione di attrezzature per il monitoraggio delle comunicazioni, che potrebbero essere utilizzate a fini di repressione interna;
considerato che:
la nuova fase che sembra aprirsi in Myanmar, grazie alla sistematica e totale resilienza del popolo e dei suoi rappresentanti, esige che la comunità internazionale sia al fianco del popolo mentre pone le basi di una democrazia federale e inclusiva, pagata a caro prezzo, che comprende l’esclusione dei militari dal potere politico;
l’intera regione asiatica (ASEAN), nel contesto che vede la presenza della Cina, dell’India, dell’Indo-Pacifico, del Giappone, ha bisogno di stabilità e in tal senso Stati Uniti, Unione europea e Gran Bretagna hanno ripetutamente manifestato la volontà di promuovere la soluzione democratica della crisi in Myanmar;
il recente evento “Rebuilding democracy in post-coup Myanmar”, promosso il 1° febbraio 2024 al Parlamento europeo da IPE (Irrawaddy policy exchange), concluso da Romano Prodi, ha messo in luce la necessità di iniziative politiche internazionali urgenti, adeguate alle sfide dell’attuale situazione in Myanmar;
il Ministro degli esteri della Thailandia Parupree Bahidha Nukara, nel recente 24° incontro ministeriale ASEAN-UE a Bruxelles, ha chiesto sostegno all’Unione europea per affrontare la crisi del Myanmar, per mettere in campo iniziative umanitarie, sostenendo che l’ASEAN e la UE possano lavorare insieme per creare cambiamenti;
la drammatica situazione dei rohingya, che sta a cuore all’intera comunità internazionale, può trovare soluzione in un Myanmar democratico, federale, stabile e inclusivo, come è dimostrato dalla presenza di un rappresentante dei rohingya nel NUG;
l’approccio non violento della popolazione del Myanmar sollecita tutte le energie religiose e spirituali del Paese a favorire su basi democratiche, nel rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa, un processo di riconciliazione e di pace, al quale non può essere estranea la comunità internazionale, come anche sostenuto in ripetuti appelli da papa Francesco;
occorre affrontare al più presto la crisi umanitaria, ponendo fine alle sofferenze intollerabili della popolazione, in particolar modo dei bambini, degli anziani, delle donne, sfollati nella giungla o rifugiati nei Paesi vicini, anche con aiuti umanitari transfrontalieri, non sotto il controllo dei militari;
considerato, inoltre, che:
il Parlamento italiano in questi ultimi due decenni ha seguito con partecipazione l’intera situazione del Myanmar nel suo cammino verso la democrazia, ha dato vita all’Associazione parlamentari amici della Birmania, ricostituita nella presente Legislatura, ha ospitato in un evento parlamentare nel 2017 Aung San Suu Kyi, ha inviato una delegazione parlamentare in Myanmar, guidata dal sen. Pierferdinando Casini nel settembre 2016, e dialoga con associazioni, università, organizzazioni della società civile italiana che alimentano un grande e diffuso rapporto di amicizia e cooperazione con il Myanmar;
i membri della Camera dei rappresentanti negli USA hanno lanciato il primo caucus bipartisan sulla Birmania, costituito da almeno una trentina di parlamentari, per fare pressione sull’amministrazione statunitense affinché agisca sulla crisi del Paese del Sud-Est asiatico, dopo l’emanazione del “Burma act” in data 23 dicembre 2022,
impegna il Governo:
1) ad adoperarsi in occasione del prossimo G7 a guida italiana perché si raggiunga la cessazione della violenza in Myanmar, la liberazione di tutti i prigionieri politici, di Aung San Suu Kyi e del presidente Win Myint, nonché il pieno ripristino della democrazia;
2) a promuovere in sede UE una strategia nuova, più attiva ed efficace, per la transizione democratica in Myanmar anche sostenendo politicamente e finanziariamente i programmi del NUG, del Movimento di disobbedienza civile e sindacale e delle organizzazioni del Consiglio consultivo nazionale unitario;
3) a sostenere in sede ONU la scelta di un inviato speciale per il Myanmar autorevole e dotato di poteri effettivi;
4) ad adoperarsi nelle sedi internazionali al fine di sostenere il riconoscimento presso la comunità internazionale del Governo di unità nazionale;
5) a sostenere le iniziative di cooperazione e sostegno delle istituzioni italiane, delle città, delle università e della società civile per il Myanmar.
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Il Senato,
premesso che:
le donne ricoprono un ruolo fondamentale nella società e il miglioramento delle loro condizioni sociali e di salute è condizione imprescindibile per migliorare le condizioni generali di vita della collettività;
nonostante le donne vivano più a lungo degli uomini e, secondo i dati ISTAT, nel nostro Paese la loro speranza di vita nel 2021 fosse di 84,7 anni contro i 80,3 anni degli uomini, la loro salute differisce in termini di patologia e di presa in carico da quella degli uomini; le donne effettuano molte più visite mediche, presentano differente metabolismo dei farmaci e rispondono in maniera differente alle terapie sia dal punto farmacocinetico che farmacodinamico, per ragioni complesse e multifattoriali che dipendono sia dal diverso assetto ormonale e metabolico (più evidente in giovane età), sia da fattori di tipo psico-sociali e di accesso alle cure. Esistono differenti risposte tra uomini e donne agli xenobiotici (inquinanti ambientali, metalli pesanti, fumo di tabacco) e nel consumo dei farmaci: nonostante vivano più a lungo, le donne si ammalano di più e hanno un consumo superiore di farmaci del 20-30 per cento rispetto agli uomini;
nel 2010 l’OMS ha delineato una strategia globale per la salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti, riconoscendone il valore strategico per il progresso e ribadendo l’importanza della prevenzione; un impegno che è stato rafforzato da una call to action del 2015;
la promozione della salute della donna interessa tutte le fasi della vita, dall’infanzia, all’adolescenza fino all’età adulta, pertanto si rende necessario garantire un’adeguata azione di prevenzione e di informazione per ogni specifica fase, prevedendo percorsi di sensibilizzazione differenti, al fine di accrescere la loro consapevolezza sulle tematiche di salute e di renderle partecipi alle campagne di screening;
il nostro Paese presenta dati allarmanti per quanto riguarda la salute della donna, soprattutto in riferimento all’aderenza agli screening che risulta tra i più bassi a livello europeo. A non sottoporsi agli screening sono principalmente le donne con un basso livello di istruzione e che appartengono a nuclei familiari più svantaggiati;
il 22 aprile è la Giornata nazionale per la salute della donna, istituita e promossa dal Ministero della salute. Tale ricorrenza costituisce un’occasione per porre al centro dell’attenzione delle Istituzioni e dell’opinione pubblica i temi legati alla salute della donna e alla sua tutela, nonché la necessità di promuovere la cultura della prevenzione;
considerato che:
la salute della donna è strettamente correlata ai determinanti socio-economici di salute, che vedono il genere femminile spesso svantaggiato in termini di occupazione e reddito;
lo svantaggio socio-economico rappresenta un fattore determinante di salute, poiché aumenta l'incidenza delle patologie e causa un minore accesso alle cure e alla prevenzione. In Italia, secondo ISTAT e “Save the Children”, più di un milione di donne povere sono madri. Nel Mezzogiorno la condizione di povertà delle madri è particolarmente accentuata. Inoltre, le madri sole presentano un rischio maggiore di povertà, con un'incidenza della povertà relativa del 15,7 per cento;
a oltre due anni dall’inizio della pandemia la prevenzione oncologica, soprattutto quella riferibile alle donne, è uno degli aspetti sanitari maggiormente trascurati, nonostante l’impatto di queste patologie;
secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istituto superiore di Sanità, la debole adesione agli screening colpisce maggiormente le regioni del sud, dove la risposta è pari al 69 per cento (con coperture minime per alcune regioni come il Molise con 63 per cento o la Campania e la Calabria con 65 per cento) rispetto all’85 per cento nelle regioni del nord e centro Italia (91 per cento nella provincia autonoma di Bolzano);
il carcinoma della mammella è la neoplasia maligna più frequente e nel 2022 si è registrato un aumento dello 0,5 per cento dei casi diagnosticati secondo i dati del Ministero della salute, in parte a causa della pandemia, che ha rallentato l’adesione agli screening. Si pensi che nella maggior parte delle regioni del Sud la metà delle donne non esegue la mammografia come da protocolli previsti dal Servizio sanitario nazionale;
le modalità di chiamata attiva agli screening previsti dal Servizio sanitario nazionale possono essere aggiornate o affiancate da altri strumenti, come il ricorso al fascicolo sanitario elettronico insieme ad ulteriori strumenti digitali, soprattutto a vantaggio delle donne più giovani;
rilevato che:
la debole adesione agli screening interessa trasversalmente tutte le patologie, compresi i tumori HPV-correlati. Secondo l’Istituto superiore di Sanità, tra il 2020 e il 2021, solo il 77 per cento delle donne fra i 25 e i 64 anni di età si è sottoposta allo screening cervicale all’interno di programmi organizzati gratuiti o per iniziativa personale. Si pensi che nel periodo 2016 - 2019 il tasso di aderenza era pari all’80 per cento;
le malattie sessualmente trasmissibili sono in aumento nei giovani e nelle donne. Alcune di esse, come la clamidia, possono avere un importante impatto sulla fertilità;
la vaccinazione anti-HPV si è dimostrata molto efficace nel prevenire nelle donne il carcinoma della cervice uterina, inducendo una protezione maggiore prima di un eventuale contagio con il virus HPV. La copertura vaccinale media per HPV nelle ragazze e` al di sotto della soglia ottimale prevista dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale (95 per cento nel 12° anno di vita). Anche a livello regionale, nessuna Regione/PP.AA. raggiunge il 95 per cento in nessuna delle coorti;
sono innumerevoli le evidenze nazionali e internazionali che mostrano come efficaci campagne di prevenzione e promozione della salute, associate ad un'alta aderenza da parte della popolazione a rischio, producano un impatto positivo non soltanto sulla salute, ma anche sui costi diretti e indiretti del Servizio sanitario nazionale;
l’importanza della prevenzione, tanto primaria quanto secondaria, è ribadita anche nel Piano oncologico nazionale 2023-2027, che sottolinea in tal senso la necessità di favorire l’ammodernamento del parco tecnologico per la diagnostica;
secondo l’Osservatorio di Confindustria, il parco diagnostico del nostro Paese risulta spesso vetusto e inadeguato, con circa 18.000 macchinari diagnostici come TAC e risonanze ormai obsoleti,
impegna il Governo:
1) a sostenere la medicina di genere come approccio necessario alla valorizzazione delle differenze di genere e come strumento di rimozione degli ostacoli diagnostici, terapeutici e di accesso ai servizi sanitari;
2) a promuovere attività di sensibilizzazione e divulgazione sull’importanza di sottoporsi agli screening, coinvolgendo in prima linea i medici di medicina generale, i ginecologi, i consultori, i dipartimenti di prevenzione, assicurandosi che tali iniziative siano promosse in modo adeguato e capillare;
3) ad incrementare l’attività di comunicazione e di informazione da parte delle autorità sanitarie sulle modalità di prevenzione primaria e secondaria, rivolte a luoghi di aggregazione come scuole, università e luoghi di lavoro;
4) ad adottare le iniziative necessarie a rimuovere gli squilibri sanitari e sociali, al fine di ridurre il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud e di garantire a tutta la popolazione femminile l’accesso ai servizi sanitari e alle campagne di prevenzione, in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale;
5) ad ampliare il target delle campagne di screening, con particolare attenzione alla diagnosi precoce del tumore della mammella, uniformando su tutto il territorio nazionale il progetto sperimentale avviato già da alcune regioni (Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia) che estende lo screening gratuito a tutte le donne tra i 45 e i 74 anni, nonché a promuovere campagne informative volte a incentivare le donne a sottoporsi a visite senologiche ed ecografie già a partire dai 25-30 anni;
6) ad individuare strumenti innovativi per la chiamata attiva delle prestazioni di screening erogate gratuitamente, prevedendo altri mezzi di comunicazione oltre alla tradizionale lettera “a casa” differenziate in base alla fascia d'età e alla digital literacy;
7) ad organizzare iniziative e campagne di screening gratuiti allo scopo di recuperare le prestazioni di prevenzione perse a causa della pandemia;
8) a promuovere la vaccinazione per HPV nelle fasce d'età raccomandate, sviluppando iniziative mirate alla popolazione giovane, target del vaccino, valutando la gratuità del vaccino anche per le fasce d'età non soggette a chiamata attiva o a piani di recupero;
9) a stanziare le risorse necessarie per avviare il rinnovo della strumentazione diagnostica, elemento imprescindibile per la corretta diagnosi precoce delle patologie, avviando ove necessario una ricognizione degli strumenti del parco diagnostico;
10) a celebrare la Giornata nazionale della salute della donna, il 22 aprile, organizzando iniziative finalizzate a promuovere la salute globale del genere.
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Il Senato,
premesso che:
secondo i dati della Commissione europea gli edifici sono responsabili a livello UE di circa il 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra legate al consumo di energia. I dati sono riferiti al complesso degli edifici che, secondo la relazione sullo Stato dell'Unione dell'energia del 2021, è per il 65 per cento ad uso residenziale. Il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti e l'acqua calda per uso domestico rappresentano l'80 per cento dell'energia consumata dalle famiglie. Il 35 per cento del parco immobiliare UE ha più di 50 anni e quasi il 75 per cento è inefficiente dal punto di vista energetico, mentre il tasso di ristrutturazione annua è di circa l'1 per cento;
il 15 dicembre 2021 la Commissione ha presentato una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, che rientra nelle iniziative del pacchetto "Fit for 55” per allineare la normativa dell'Unione in materia di clima ed energia all'obiettivo della riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), nella prospettiva del conseguimento della neutralità climatica entro il 2050;
tale revisione è strettamente collegata con le restanti iniziative del "Fit for 55", ovvero la revisione delle direttive sulla promozione dell'energia da fonti rinnovabili (“renewable energy directive”, RED II) e sull'efficienza energetica (“energy efficiency directive”, EED). In estrema sintesi, la proposta di revisione della Commissione mira a far sì che tutti gli edifici nuovi siano a emissioni zero entro il 2030 e gli edifici esistenti lo divengano entro il 2050. La proposta originaria è oggetto di negoziato a livello europeo. Il Consiglio del 25 ottobre 2022 ha raggiunto un orientamento generale sulla proposta della Commissione convenendo che per quanto riguarda i soli edifici nuovi, dal 2028, quelli di proprietà di enti pubblici dovrebbero essere a emissioni zero, e tutti gli altri edifici nuovi dal 2030;
si pone in evidenza e appare condivisibile la possibilità prevista per gli Stati membri di applicare delle eccezioni per alcuni edifici, tra cui gli edifici storici, i luoghi di culto e gli edifici utilizzati a scopi di difesa. Per gli edifici residenziali esistenti, gli Stati membri hanno convenuto di fissare norme minime di prestazione energetica sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del loro parco immobiliare per renderlo a emissioni zero entro il 2050, come indicato nei loro piani nazionali di ristrutturazione edilizia;
come dichiarato in una lettera al “Il Sole-24ore” del 19 gennaio 2023, il ministro Pichetto Fratin, presente al Consiglio dello scorso 25 ottobre, ha quindi confermato che non è previsto alcun obbligo di ristrutturazione degli edifici esistenti al 2030, non sono previsti obblighi per i proprietari dato che la realizzazione degli obiettivi di ristrutturazione è in capo agli Stati membri, non si prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati. Il Ministro ha quindi ribadito che si tratta di una misura che consente ampi margini di elasticità, che declina un impegno già assunto dal nostro Paese, la neutralità carbonica al 2050, e che tiene conto delle peculiarità del nostro Paese indicando, per gli edifici esistenti, un percorso a tappe da qui ai prossimi 27 anni;
gli Stati membri hanno poi convenuto di fissare requisiti che garantiscano che tutti i nuovi edifici siano progettati per ottimizzare il loro potenziale di produzione di energia solare e hanno concordato prescrizioni finalizzate a mettere a disposizione infrastrutture per la mobilità sostenibile, tra cui punti di ricarica per automobili e biciclette elettriche all'interno o in prossimità degli edifici, cablaggio per infrastrutture future e parcheggi per biciclette. Hanno inoltre introdotto passaporti di ristrutturazione volontari per gli edifici. Gli Stati membri hanno convenuto di pubblicare piani nazionali di ristrutturazione edilizia contenenti una tabella di marcia con obiettivi nazionali per il 2030, il 2040 e il 2050 per quanto riguarda il tasso annuo di ristrutturazione energetica, il consumo di energia primaria e finale del parco immobiliare nazionale e le relative riduzioni delle emissioni operative di gas a effetto serra. I primi piani saranno pubblicati entro il 30 giugno 2026 e successivamente ogni 5 anni;
il Parlamento europeo, in data 13 marzo 2023, ha approvato la suddetta direttiva sull’efficientamento energetico. Per il conseguimento di tali più ambiziosi obiettivi di ristrutturazione del parco edilizio europeo gli Stati membri potranno prevedere incentivi finanziari di varia natura anche a valere sulle risorse disponibili stabilite a livello della UE, quali tra l'altro il fondo sociale per il clima, il dispositivo per la ripresa e la resilienza e i fondi della politica di coesione. Nella prospettiva della Commissione, gli investimenti nella riqualificazione energetica dovrebbero costituire anche un'opportunità per l'economia e in particolare per il settore edile, che rappresenta circa il 9 per cento del PIL europeo ed impiega 25 milioni di posti di lavoro, in circa 5 milioni di imprese, in prevalenza PMI;
per quanto attiene al nostro Paese, il CRESME, nel XXXIII rapporto congiunturale sul mercato edilizio, nel giudicare positivamente gli effetti dei bonus edilizi dal lato dell'impatto sull'economia, chiarisce che tra il 2020 e il 2022 essi hanno avuto un peso sul PIL pari al 13,9 per cento (il più alto in Europa) e che il solo superbonus ha contribuito con un 22 per cento in più alla crescita totale del PIL. Questo si è tradotto in 460.000 occupati in più nel 2022 rispetto al 2019;
il parco immobiliare italiano, come risulta dalla strategia nazionale per la riqualificazione energetica, è costituito per la maggior parte da edifici ad uso residenziale (12,42 milioni) aventi più di 45 anni (oltre il 65 per cento) e in prevalenza rientranti nelle classi energetiche F e G (rispettivamente il 25 e il 37,3 per cento degli immobili censiti dal sistema informativo sugli attestati di prestazione energetica nel periodo 2016-2019, sulla base delle elaborazioni dell'ENEA). Secondo l’ENEA un’avanzata riqualificazione del parco edilizio che non rientra in interventi di ristrutturazione integrale pone attualmente ancora non poche criticità, anche e soprattutto in quei contesti fortemente urbanizzati sottoposti a vincoli, anche dal punto di vista paesaggistico, storico e ambientale;
tuttavia il nostro Paese non è all’anno zero: per contrastare le difficoltà appena descritte, tra i meccanismi di incentivi implementati, il rapporto annuale efficienza energetica dell’ENEA richiama il superbonus. In particolare, si legge che al 30 settembre del 2022, il numero degli interventi incentivati raggiunge quota 307.191 e un ammontare di investimenti ammessi a detrazione di oltre 51 miliardi di euro (35,3 per lavori già terminati) Il risparmio energetico conseguito risulta pari a 9.410,5 gigawattora all'anno. Per quanto riguarda l’ecobonus, si legge sempre nel rapporto, nel 2021 si è assistito ad un notevole incremento degli interventi agevolati attraverso tale strumento, il cui numero risulta più che doppio rispetto al 2020, superando la soglia del milione (1,04 milioni di euro). Questo risultato spinge il numero di interventi effettuati dal 2014 a 3,7 milioni di euro. Dal 2007, anno di avvio della misura, il numero di interventi incentivati dall’ecobonus è di circa 5,5 milioni. In termini di investimenti, nel 2021 sono stati mobilitati circa 7,5 miliardi di euro. I risparmi energetici ottenuti grazie agli interventi effettuati nel 2021 ammontano ad un totale di 2.652 gigawattora all’anno (95 per cento in più rispetto al 1362,14 del 2020) portando a 11.152 gigawattora all’anno il contributo della misura dal 2014 e a circa 21.700 dall’avvio;
il centro studi CNI stima che negli ultimi due anni sono stati ristrutturati dal punto di vista energetico, attraverso il superbonus 110 per cento, 86 milioni di metri quadrati per 359.440 edifici già completati e ulteriori 122.000 edifici in fase di completamento per un totale di quasi 482.000 edifici che hanno effettuato il doppio salto di classe energetica;
i dati riportati finora indicano in maniera non discutibile che soprattutto a partire dal 2020, nella filiera dell'edilizia, sono stati prodotti notevoli effetti espansivi in termini di produzione di reddito e di occupazione, con effetti di innovazione, di riorganizzazione e di riqualificazione della filiera stessa e dei servizi di ingegneria e architettura, di riqualificazione del patrimonio edilizio residenziale e di risanamento anche interno delle abitazioni con un sensibile abbattimento dell'inquinamento indoor e dei relativi costi sociali, diretti e indiretti, e con l’acquisizione da parte dell’intero settore di un know how specifico per tutto quello che riguarda l’efficientamento energetico, la messa in sicurezza antisismica, la produzione di energia e calore in modalità ecosostenibile;
il superbonus e gli altri incentivi fiscali per la riqualificazione edilizia, antisismica ed energetica possono dunque rappresentare un utile modello di riferimento da considerare anche su scala più elevata per valutarne l'applicabilità, con i necessari adeguamenti, ad interventi più ampi di rigenerazione urbana, nella misura in cui forme di incentivazione possano rivelarsi utili a favorire un maggiore coinvolgimento di capitali privati nelle politiche di trasformazione urbana finalizzate alla transizione ecologica delle città e, in particolare, delle grandi aree metropolitane;
è evidente che il proseguimento degli interventi per l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza antisismica del patrimonio immobiliare nazionale possono costituire, infine, una vera opportunità per il sistema Italia di migliorare le prestazioni energetiche degli immobili e di rinnovare un patrimonio immobiliare avente caratteristiche uniche al mondo attraverso un’ulteriore azione di politica industriale che favorisca lo sviluppo di materiali e processi innovativi, affidando ad ENEA il compito di effettuare direttamente ovvero di coordinare, a livello nazionale, lo studio e l'aggiornamento, in accordo con l'evoluzione tecnologica, delle tecniche e dei materiali utilizzati in particolare per quanto riguarda il processo di efficientamento energetico degli edifici e la ricerca di nuove soluzioni per installare il fotovoltaico anche nelle città storiche che ospitano gran parte del patrimonio immobiliare italiano, anche con l'introduzione, per un periodo di tempo in forma sperimentale, di strumenti di incentivazione, anche di natura non fiscale, che, in coerenza con la logica sottesa agli incentivi già vigenti, mirino a promuovere operazioni di rigenerazione urbana di gruppi di edifici, aree dismesse e lotti interclusi, con particolare riferimento agli interventi di sostituzione edilizia, garantendo un effetto moltiplicativo in termini di abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni, maggiore sostenibilità urbana, ambientale e sociale e concorso agli obiettivi di contrasto alla crisi climatica;
il successo di questa misura è determinato principalmente dalla possibilità di cedere il credito, possibilità che ha reso accessibile a tutti la riqualificazione del proprio immobile;
anche alla luce del virtuoso percorso già avviato da circa un decennio, sono senz’altro condivisibili gli obiettivi generali della direttiva UE che mira a ridurre le emissioni di gas a effetto serra degli edifici, ad aumentare il tasso e la profondità delle ristrutturazioni edilizie, a migliorare le informazioni sul rendimento energetico degli edifici e a garantire che tutti gli edifici siano in linea con gli obiettivi climatici dell’Unione. Inoltre, la direttiva va nella direzione di una maggiore garanzia di sicurezza energetica e contribuirà a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e a diminuire la domanda di gas naturale;
avere edifici più efficienti significa anche rendere le famiglie e le imprese più resistenti agli shock dei prezzi dell’energia la cui volatilità potrà essere sensibilmente ridotta;
occorre però prestare particolare attenzione alla differente classificazione, a livello di singolo Stato dell’Unione, delle nuove classi energetiche (energy performance contract). Come evidenziato dalla BCE, stabilire criteri comuni per le classi migliori e peggiori per ogni Stato membro, senza armonizzare le definizioni e metodologie, rischia di ridurre la comparabilità tra gli Stati con riferimento ai possibili squilibri tra le banche europee;
appare inoltre fondamentale perseguire e continuare la riqualificazione energetica anche del patrimonio immobiliare pubblico, con particolare riferimento agli istituti scolastici, alle strutture sanitarie, ai tribunali e alle carceri, garantendo la continuità degli strumenti di finanziamento degli interventi, quali il conto termico, e prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche. Occorre inoltre prevedere la proroga della misura del superbonus per gli edifici adibiti ad edilizia residenziale pubblica, che spesso coincidono con quelli abitati da famiglie in condizioni di povertà energetica,
impegna il Governo:
1) a confermare presso le competenti sedi europee l’impegno del Paese al raggiungimento degli obiettivi stabiliti a livello nazionale in vista dell’obiettivo della riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 e della neutralità climatica nel 2050 e ad adottare, contestualmente, le opportune iniziative negoziali nelle competenti sedi europee volte a garantire che il testo finale della direttiva assicuri al nostro Paese la necessaria flessibilità, anche temporale, in fase di attuazione in ragione della peculiarità del patrimonio edilizio nazionale, e confermi la possibilità di escludere dall’ambito di applicazione della citata direttiva taluni edifici, quali gli edifici protetti, quelli di valore architettonico o storico, i luoghi di culto e attività di culto e gli edifici utilizzati a scopi di difesa e a prevedere una metodologia più armonizzata per la definizione delle nuove classi EPC, anche al fine di evitare impatti negativi sulle esposizioni immobiliari degli istituti di credito;
2) in vista dell’adozione della nuova direttiva, ad intervenire in sede di Unione europea affinché gli ambiziosi obiettivi di efficientamento energetico siano accompagnati da adeguati strumenti finanziari stanziati a livello europeo, un vero e proprio nuovo piano industriale green, affinché i costi degli interventi non ricadano sulle famiglie, in particolare modo sulle fasce economicamente più deboli, e sulle imprese;
3) a garantire la continuità, il rafforzamento e una maggiore efficacia degli strumenti di finanziamento degli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico del Paese, prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche e prevedendo la proroga della misura del superbonus per gli edifici adibiti ad edilizia residenziale pubblica; a garantire la prosecuzione degli interventi di riqualificazione energetica finanziati dagli strumenti vigenti rimuovendo gli ostacoli che attualmente bloccano la circolazione dei crediti fiscali anche mediante l’eventuale coinvolgimento di CDP S.p.A.;
4) a valutare le azioni necessarie al raggiungimento dei nuovi obiettivi e la predisposizione del piano nazionale di ristrutturazione degli immobili anche attraverso il monitoraggio nel corso degli anni dei dati relativi al numero di immobili che hanno ottenuto un miglioramento della classe energetica, anche beneficiando delle detrazioni previste a tal fine, tra cui il superbonus, che presenta come requisito il conseguimento di due classi energetiche più elevate e all’esito dello svolgimento di indagini conoscitive da parte del Parlamento in materia;
5) a prevedere un riordino della legislazione vigente in materia di incentivi fiscali edilizi, anche mediante la stesura di un testo unico, che razionalizzi, stabilizzi, metta a sistema e preveda che tali strumenti siano commisurati in modo proporzionale agli interventi caratterizzati da maggiore efficacia dal punto di vista dell’efficientamento energetico, al fine di consentire un orizzonte temporale di lungo termine per gli investimenti di famiglie e imprese.
- Dettagli
Il Senato,
premesso che:
sono passati due anni dal colpo di Stato in Myanmar ad opera dell'esercito, noto come "Tatmadaw", che il 1° febbraio 2021 ha preso il potere alla vigilia dell'insediamento del nuovo Parlamento, dopo le elezioni politiche dell'8 novembre 2020, vinte dalla Lega nazionale per la democrazia (NLD), partito guidato da Aung San Suu Kyi, con l'82,3 per cento dei voti e la sconfitta con il 6,4 per cento dei voti dell'Union solidarity and development party (USDP), il partito invece vicino ai militari;
i vertici del Tatmadaw hanno motivato il colpo di Stato adducendo irregolarità e brogli elettorali, mentre tutti gli osservatori internazionali ne hanno sancito la regolarità e l'equità;
la popolazione ha reagito al colpo di Stato resistendo fin dal primo giorno con manifestazioni pacifiche e praticando forme di disobbedienza civile, "civil disobedience movement", tra i primi manifestanti vi sono stati medici, infermieri, insegnanti, ma anche moltissimi giovani e donne, divenendo prontamente il bersaglio della repressione militare;
in questi anni i parlamentari eletti hanno dato vita al "Committee representing Pyidaungsu Hluttaw" (CRPH), resistendo al colpo di Stato e cercando di sottrarsi all'arresto, rifugiandosi nella foresta;
secondo i dati forniti dall'Assistance association for political prisoners (AAPP) ad oggi sono state uccise dai militari 2.796 persone, di cui 278 bambini, e sono state arrestate 17.404 persone, di cui 3.656 donne; inoltre, 101 persone sarebbero state condannate a morte. Il regime ha già eseguito diverse esecuzioni capitali e tra le persone giustiziate figurano l'attivista democratico Kyaw Min Yu, detto Ko Jimmy, e il parlamentare dell'NLD Phyo Zeya Thaw, molto vicino ad Aung San Suu Kyi. Tra le vittime vi sono, inoltre, artisti, poeti, giornalisti e personalità dello spettacolo;
in questi anni le condizioni di povertà della popolazione del Myanmar si sono ulteriormente aggravate, i servizi sanitari e scolastici controllati dai militari versano in condizioni critiche e più di un milione di persone ha abbandonato le città e i villaggi rifugiandosi nella foresta, specialmente ai confini. La crisi epidemiologica da COVID-19 è ben lontana dall'essere superata e la complessiva situazione sanitaria è vistosamente peggiorata;
il relatore speciale dell'ONU per i diritti umani in Myanmar, Thomas Andrews, ha ripetutamente e con forza denunciato la violazione dei diritti umani, affermando: "Gli attacchi della giunta militare contro i civili e la repressione delle aspirazioni democratiche del popolo del Myanmar richiedono una risposta concertata e coordinata da parte della comunità internazionale";
il 30 dicembre 2022 si è svolto il processo politico istruito dalla giunta militare contro la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi e il presidente Win Myint, che si è concluso con la condanna a 33 anni di detenzione per Aung San Suu Kyi, di cui tre ai lavori forzati;
Aung San Suu Kyi si trova reclusa in carcere a Naypyidaw, in completo isolamento, senza nessuna assistenza umanitaria e, inoltre, le richieste di visite, anche di personalità internazionali, sono state respinte;
il capo della giunta militare, general senior Min Aung Hlaing, ha annunciato l'indizione di nuove elezioni il prossimo agosto, allo scopo di ottenere un pieno riconoscimento da parte del Parlamento alla Presidenza della Repubblica, nonostante la comunità internazionale non riconosca la legittimità di tali elezioni;
considerato che:
il 16 aprile 2021 i membri del CRPH, i leader delle proteste della società cilvile contro la giunta militare, i rappresentanti di numerosi gruppi etnici hanno costituito un Governo di unità nazionale (NUG) allo scopo di ripristinare la democrazia, guidare l'opposizione al regime, nonché lavorare per un nuovo Myanmar democratico e federale, sviluppando allo scopo relazioni con molta parte della comunità internazionale;
in data 5 maggio 2021, il NUG ha costituito il People's defence force (PDF), un esercito di resistenza costituito da gruppi di difesa del popolo, del quale fanno parte soprattutto giovani e donne e che nelle aree controllate organizza servizi, anche amministrativi, per la popolazione;
secondo una recente indagine dell'ONU il territorio controllato dalle forze dell'opposizione è all'incirca il 52 per cento del territorio del Myanmar, soprattutto nelle zone rurali;
nei mesi scorsi si sono, inoltre, costituiti il National unity consultative council (NUCC), comprendente numerose organizzazioni della società civile che collaborano con il NUG e l'Ethnic resistant organization (ERO), composto da numerosi gruppi etnici che sostengono l'opposizione alla giunta militare;
il CRPH, costituitosi immediatamente dopo il colpo di Stato, sta sviluppando un'azione di costante sostegno al popolo, compresi i rifugiati, con la messa in atto di servizi sanitari, alimentari, scolastici sul territorio, avviando anche rapporti internazionali mediante collegamenti da remoto con parlamentari di diversi Paesi;
il 31 gennaio 2023, alla vigilia del secondo anniversario del colpo di Stato, il CRPH terrà on line la cerimonia di apertura della sua quinta sessione plenaria alla presenza di diversi ospiti internazionali;
la maggior parte della comunità internazionale non ha riconosciuto la giunta militare del Myanmar, inoltre, a quanto detto, si aggiunga che Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Unione europea hanno imposto sanzioni ai vertici militari del Myanmar e ai loro collaboratori, nonché l'embargo sulle armi;
in data 21 dicembre 2022 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato a maggioranza una risoluzione sul Myanmar, la prima dopo 74 anni, con 12 voti a favore, nessuno contrario e l'astensione di Cina, Federazione russa e India, con la quale si chiede la fine delle violenze, la liberazione dei prigionieri politici, il ripristino della democrazia, il dialogo costruttivo per la riconciliazione, l'accesso delle organizzazioni umanitarie al fine di fornire aiuti umanitari alla popolazione;
il rappresentante del Myanmar presso l'ONU, Kyaw Moe Tun, indicato a suo tempo da Aung San Suu Kyi, ancora in carica, ha dichiarato apertamente la sua opposizione al colpo di Stato;
lo scorso 23 dicembre il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha firmato il "Burma Act" con il quale si sostengono, anche finanziariamente, gli sforzi del Governo di unità nazionale per il ripristino della democrazia in Myanmar, il ritorno al governo civile, la difesa dei diritti umani e si autorizza l'imposizione di sanzioni anche nel campo economico ed energetico;
il Parlamento europeo, con una risoluzione approvata il 5 ottobre 2022, ha condannato il governo illegittimo del Myanmar, le persecuzioni, la repressione della libertà dei media, ha chiesto il ripristino del governo civile e della democrazia, la liberazione di tutti i prigionieri politici a cominciare da Aung San Suu Kyi e dal presidente Win Myint e dichiarato, infine, di sostenere gli sforzi del Governo di unità nazionale;
l'Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN), nel summit del 24 aprile 2021 a Jakarta, ha approvato 5 punti di accordo per la fine delle violenze in Myanmar, il ripristino della democrazia, il dialogo e la riconciliazione, nonché per la liberazione dei prigionieri politici;
tuttavia la giunta militare ha rifiutato di attuare i 5 punti, nonostante l'ASEAN, attualmente presieduto dall'Indonesia, abbia continuato a chiedere un cambiamento della situazione in Myanmar, necessario per la stabilità nella regione;
lo stesso papa Francesco ha frequentemente richiamato l'attenzione sul Myanmar e sulla condizione drammatica del suo popolo, auspicando la cessazione delle violenze, anche contro la comunità cristiana, e l'apertura di un processo di riconciliazione e di pace;
rilevato, inoltre, che:
l'Italia ha operato e sta operando in tutte le sedi internazionali per il ripristino della democrazia in Myanmar, la liberazione di tutti i prigionieri politici, il sostegno ai rifugiati, l'offerta di opportunità per gli studenti del Myanmar che intendano studiare in Italia e la possibile apertura di canali per gli aiuti umanitari;
nel nostro Paese numerose sono le istituzioni, le associazioni, le città, le università che da anni sviluppano rapporti di amicizia e di collaborazione con la Birmania, partecipando alla sofferenza del suo popolo e chiedendo di intraprendere ogni iniziativa utile per un futuro di democrazia e di pace del Paese. Anche la comunità birmana in Italia manifesta costantemente la sua determinata volontà di sostenere la liberazione del Myanmar dall'oppressione dei militari;
il Parlamento italiano negli ultimi due decenni ha sviluppato intensi rapporti con il Myanmar, sia negli anni del precedente regime militare, sia negli anni dell'apertura verso la democrazia, attraverso atti di indirizzo politico, dibattiti, audizioni e interventi, tra i quali non può non citarsi, il discorso di Aung San Suu Kyi tenuto a palazzo Giustiniani il 28 ottobre 2013;
nel settembre 2016 la prima delegazione parlamentare italiana si è recata in visita ufficiale in Myanmar, incontrando, tra gli altri, Aung San Suu Kyi e Win Myint, allora presidente della Camera dei rappresentanti del Myanmar;
l'Italia, storicamente al fianco dei popoli che lottano per la libertà e per la democrazia, può sviluppare il proprio sostegno al popolo del Myanmar per il ripristino della democrazia, anche attraverso iniziative parlamentari di dialogo e di collaborazione con il CRPH e con il NUG, con la comunità internazionale, con l'ASEAN, la Cina e ogni altro utile interlocutore,
impegna il Governo:
1) ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali per la cessazione della violenza in Myanmar, la liberazione di tutti i prigionieri politici, di Aung San Suu Kyi e Win Myint, nonché per il pieno ripristino della democrazia;
2) a interloquire con il Governo di unità nazionale al fine di sostenerne il riconoscimento presso la comunità internazionale;
3) ad attivare tutti i canali umanitari utili al fine di fornire assistenza umanitaria al popolo del Myanmar.