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Al Ministro della salute. -
Premesso che:
l’ultimo rapporto nazionale di ANDOS-CREA, presentato il 31 marzo 2025 e intitolato "Effetti collaterali del cancro alla mammella", ha evidenziato dati estremamente preoccupanti. Secondo il rapporto, il costo delle cure per le pazienti italiane affette da tumore al seno è sempre più elevato: il 70 per cento delle pazienti con tumore al seno ha dovuto sostenere spese private nel percorso di cura, con un onere annuo medio di 1.665,8 euro, che raggiunge punte di 4.129,7 euro nel Sud e nelle isole, a fronte di una spesa minima di 614 euro nel Nordest;
come riportato dal 36,4 per cento delle pazienti, il 32,1 per cento dei costi sono dovuti alla distanza del centro di cura dalla propria residenza. In media, le donne percorrono 43 chilometri per il tragitto di sola andata verso la struttura sanitaria, per un totale di circa 160 chilometri al mese;
inoltre, nonostante la quasi totalità delle pazienti goda di esenzione dalle compartecipazioni, il 15 per cento ha dovuto dotarsi di una copertura assicurativa aggiuntiva, mentre il 17,6 per cento ha subito il rifiuto di una polizza assicurativa e il 12,5 per cento ha incontrato ostacoli o divieti nell’accesso al credito, ad esempio per l’acquisto di una casa;
i dati di ANDOS-CREA dicono che le spese private affrontate dalle pazienti riguardano per il 40,8 per cento i farmaci (502,8 euro annui), per il 14,7 per cento le visite specialistiche (181,6 euro), per il 10,5 per cento i trattamenti di fisioterapia e riabilitazione (129,1 euro), per il 7,6 per cento gli esami diagnostici (93,6 euro) e per il 5,7 per cento presidi medici e protesici (70,3 euro);
considerato che:
la copertura degli screening mammografici è significativamente più bassa nel Sud (58 per cento) rispetto al Nord (80 per cento) e al Centro (76 per cento), evidenziando una minore efficacia dei programmi di prevenzione oncologica nelle regioni meridionali;
il fenomeno della migrazione sanitaria evidenzia ulteriormente le disparità territoriali: nel 2022, su 629.000 ricoveri fuori regione, il 44 per cento riguardava pazienti residenti nel Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, il 22 per cento dei pazienti meridionali si è spostato per ricevere cure in altre regioni, sottolineando la carenza di servizi adeguati nel Sud;
il 4° rapporto GIMBE sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale ha evidenziato come uno dei principali fattori della crisi del sistema sanitario sia il definanziamento pubblico, che ha determinato una progressiva riduzione delle risorse destinate alla sanità pubblica e ha contribuito all’aumento delle disparità territoriali nell’accesso alle cure;
rilevato inoltre che:
l’articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la competenza esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali di assistenza, che devono essere garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale;
la disparità di accesso alle cure tra Nord e Sud rappresenta una violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto l’uguaglianza dei cittadini,
si chiede di sapere quali interventi urgenti intenda adottare il Ministro in indirizzo per garantire che tutte le pazienti affette da tumore al seno, indipendentemente dalla regione di residenza, possano accedere tempestivamente alle cure del SSN, senza dover sostenere oneri economici insostenibili o affrontare spostamenti proibitivi, nel pieno rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e tutela della salute.
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Al Ministro dell'università e della ricerca. -
Premesso che:
il Ministero dell’università ha pubblicato i decreti n. 156 del 24 febbraio 2025 e n. 148 del 24 febbraio 2025 per disciplinare i percorsi abilitanti per il personale docente della scuola secondaria di secondo grado, previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2023;
dovrebbe essere assicurato a tutti i vincitori di concorso “PNRR1”, assunti a tempo determinato fino al 31 agosto 2025, la possibilità di completare il percorso abilitante;
per l’anno accademico 2024/2025 i percorsi universitari e accademici di formazione iniziale possono essere svolti, ad esclusione delle attività di tirocinio e di laboratorio, con modalità telematiche, comunque sincrone, anche in deroga al limite previsto dal citato articolo 2-bis, comma 1, secondo periodo, e in ogni caso in misura non superiore al 50 per cento del totale;
i posti autorizzati sono 44.823, ma ciò avviene nelle more dell’accreditamento di ulteriori posti per l’anno accademico 2024/25 e si prevede un secondo decreto con altre classi di concorso autorizzate;
nel frattempo alcuni atenei hanno già predisposto delle pagine per le informazioni relative ai percorsi dell’anno accademico 2024/25 e pubblicato anche alcuni bandi: da quanto si apprende si tratta solo di università telematiche;
molti atenei statali, infatti, devono completare l'iter autorizzativo attraverso un secondo decreto ministeriale;
il decreto n. 156 del 24 febbraio 2025 contiene solo una parte dei posti autorizzati, soprattutto, se si tratta di docenti neoassunti da PNRR che devono completare i 30 o 36 CFU entro il 31 agosto 2025 per trasformare il contratto in tempo indeterminato;
il Ministero ha chiarito che “con riferimento ai percorsi per i quali è stato richiesto un nuovo accreditamento, e ai percorsi già accreditati per i quali sono state apportate modifiche, è in fase di ultimazione la relativa procedura di verifica. I posti verranno autorizzati con un successivo provvedimento";
inoltre in data 29 gennaio il Ministero ha riaperto la banca dati alla ricerca di Università che eroghino corsi per A006; A072; A073; A075; B005; B008; B009; B010; B013; B025; B026;
non si comprende se l’accreditamento per queste ulteriori classi di concorso avverrà all’interno del secondo decreto atteso a breve oppure con provvedimento specifico successivo;
ciò sta determinando una situazione di grande incertezza a danno degli aspiranti abilitanti,
si chiede di sapere quali tempistiche si prevedano per l'avvio delle iscrizioni ai percorsi abilitanti previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2023 ed entro quando verrà adottato il successivo provvedimento ministeriale già anticipato.
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Al Ministro delle imprese e del made in Italy. -
Premesso che:
il Piano Transizione 5.0 rappresenta una misura strategica per incentivare la digitalizzazione e la sostenibilità energetica delle imprese italiane, attraverso un sistema di crediti d’imposta volto a supportare investimenti in tecnologie innovative e a migliorare l’efficienza produttiva;
ad oggi, solo il 6,3 per cento del totale dei fondi disponibili è stato allocato, segnale evidente delle difficoltà incontrate dalle imprese nell’accesso agli incentivi previsti;
numerose aziende segnalano criticità burocratiche, in particolare per quanto riguarda la rendicontazione degli investimenti e la certificazione dei progetti, con difficoltà legate alla misurazione del risparmio energetico;
la misurazione del risparmio energetico risulta particolarmente complessa per le imprese di nuova costituzione o che hanno variato sostanzialmente prodotti e servizi negli ultimi sei mesi, rendendo difficile operare una stima realistica dei consumi pregressi;
per accedere agli incentivi, è necessario dimostrare una riduzione dei consumi energetici di almeno il 3 per cento rispetto ai livelli precedenti per l’intero stabilimento produttivo. Se tale soglia non viene raggiunta, l’impresa perde il credito d’imposta prenotato, pur potendo passare al Piano 4.0, con incentivi di entità ridotta;
in quest’ultimo caso, le imprese hanno comunque sostenuto costi non rimborsabili per le certificazioni ex ante ed ex post, oltre a una perizia finale che attesta il mancato raggiungimento del risparmio energetico richiesto e il conseguente decadimento dal Piano 5.0;
la legge di bilancio per il 2025 ha stabilito un plafond predefinito per il Piano Transizione 4.0, con il rischio che le risorse disponibili non siano sufficienti e che le imprese non possano usufruire di nessuna delle due agevolazioni;
il Piano Transizione 5.0 ha introdotto modifiche sostanziali, tra cui: l’unificazione delle fasce di investimento fino a 10 milioni di euro, con aliquote del 35, 40 e 45 per cento in base alla riduzione dei consumi energetici; una ridefinizione delle maggiorazioni per impianti fotovoltaici; l’ampliamento della cumulabilità con altre misure, incluse quelle finanziate con fondi europei;
nonostante queste modifiche, al 10 marzo 2025 risultano impegnati solo l’8 per cento dei 6,3 miliardi stanziati, evidenziando un forte ritardo nell’utilizzo delle risorse disponibili;
il ministro per gli Affari Europei, le Politiche di Coesione e il PNRR ha annunciato una possibile riprogrammazione delle risorse, ipotizzando una riallocazione di circa 3 miliardi di euro su altre misure industriali;
tale eventuale riprogrammazione potrebbe ridurre ulteriormente i fondi a disposizione per le imprese interessate al Piano Transizione 5.0, aumentando il rischio di esclusione dalle agevolazioni previste;
il Ministero delle imprese e del made in Italy ha aggiornato le “FAQ” sul Piano Transizione 5.0 solo il 24 febbraio 2025, fornendo ulteriori chiarimenti sugli incentivi e le procedure di accesso con grande ritardo;
permangono ostacoli burocratici, in particolare per le imprese che investono in soluzioni software e tecnologie digitali strettamente connesse all’ottimizzazione dei processi produttivi e alla gestione dell’efficienza energetica;
in particolare, diverse aziende segnalano difficoltà nell’inserire nei progetti finanziabili software gestionali, sistemi di automazione e soluzioni avanzate, pur essendo tecnologie essenziali per il monitoraggio dei consumi, l’ottimizzazione della produzione e la riduzione degli sprechi;
il settore ICT ha evidenziato che i vincoli imposti creano incertezza nell’ammissibilità di alcuni investimenti strategici, come quelli in intelligenza artificiale, cloud computing e analisi dei dati, strumenti sempre più utilizzati per una gestione sostenibile della produzione,
si chiede di sapere:
se il Governo intenda adottare misure urgenti, anche di carattere normativo, finalizzate a superare le difficoltà burocratiche di cui in premessa, che rallentano la rendicontazione degli investimenti e l’accesso delle imprese agli incentivi del Piano Transizione 5.0;
se intenda attivarsi tempestivamente, in particolare, per rafforzare le procedure di certificazione e le linee guida per agevolare le imprese nella dimostrazione del risparmio energetico richiesto, al fine di garantire il riconoscimento delle agevolazioni previste dal Piano Transizione 5.0;
quali misure intenda adottare al fine di garantire un coordinamento efficace tra gli incentivi previsti dal Piano Transizione 5.0 e quelli del Piano 4.0, evitando che le imprese restino escluse da entrambi i benefici;
se intenda adottare misure volte a favorire l’integrazione tra investimenti in digitalizzazione e criteri di efficienza energetica, chiarendo le modalità di accesso agli incentivi per le imprese che adottano soluzioni software avanzate, strumenti di automazione industriale e sistemi di monitoraggio intelligente dei consumi;
se intenda attivarsi per escludere, nell’ambito della riprogrammazione del PNRR, la riduzione dei fondi a disposizione per le imprese interessate al Piano Transizione 5.0, aumentando il rischio di esclusione dalle agevolazioni previste.
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IRTO, BOCCIA, BASSO, FINA - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. -
Premesso che:
la sicurezza sismica rappresenta uno degli aspetti più critici per l’infrastruttura del ponte sullo stretto di Messina, data la sua ubicazione in una delle aree a più alto rischio sismico del continente europeo, soggetta a terremoti storicamente devastanti: su tutti, il terremoto di Messina del 1908. Il progetto del ponte sullo stretto, per la sua complessità ingegneristica e l’elevato impatto ambientale, richiede pertanto approfondite analisi tecniche, tra cui una rigorosa valutazione del rischio sismico, considerata la posizione in cui deve sorgere l’opera;
nei documenti allegati dalla Stretto di Messina S.p.A. alla commissione VIA relativi al progetto, è stata inserita una relazione sismica riguardante il ponte attribuita all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia;
in merito alla relazione, il 13 novembre 2024, sul sito dell’INGV, è stato pubblicato un comunicato che recita: "Con riferimento alle notizie di stampa diffuse in questi giorni in merito alla 'Realizzazione di attività di studio e ricerca volte alla predisposizione di risposte alle Richieste di integrazione istruttorie e documentali VIA83 e VIA84 formulate dalla Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA/VAS del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE)', l’Istituto chiarisce che il 26 settembre 2024 è stato stipulato con 'Sapienza' università di Roma, per il tramite del Dipartimento di scienze della terra, un 'accordo di collaborazione scientifica ai sensi dell’art. 15 della L. 241/1990 e ss.mm.ii.', il cui allegato tecnico specifica chiaramente che le relazioni tecnico-scientifiche prodotte a valle dell’accordo sono di esclusiva responsabilità degli autori, ancorché dipendenti dell’INGV, con esclusione di qualsivoglia responsabilità dell’Istituto sul loro contenuto e utilizzo". Pertanto, l’Istituto si dichiara totalmente estraneo a qualsivoglia relazione che, eventualmente firmata da personale dell’INGV, rappresenta solo il pensiero scientifico degli autori, così come disposto dall’accordo;
l’INGV è l’ente pubblico di riferimento in Italia per lo studio dei fenomeni geofisici, vulcanologici e sismici, e dispone delle competenze tecnico-scientifiche necessarie per sviluppare approfondite attività di studio e ricerca per opere di tale rilevanza. Il coinvolgimento formale e istituzionale dell’INGV nella redazione di una relazione sismica sull’opera garantirebbe rigore scientifico, imparzialità e trasparenza al procedimento, evitando fraintendimenti ed utilizzi impropri di lavori non ufficiali. L’assenza di un mandato formale e trasparente all’INGV per svolgere una valutazione istituzionale sul rischio sismico del ponte sullo stretto solleva interrogativi sull’effettiva affidabilità delle analisi finora presentate e rischia di compromettere la credibilità complessiva del processo decisionale in atto;
nei mesi scorsi sono stati sollevati, a più riprese, numerosi aspetti critici in merito alla realizzazione dell’opera. Il comitato tecnico-scientifico istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quale organismo indipendente chiamato a valutare il progetto, ha presentato una relazione contenente 68 raccomandazioni attinenti ai dubbi emersi nel corso dell’esame, tra cui la richiesta di un aggiornamento della “zonizzazione microsismica”. I tecnici del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica hanno chiesto 239 integrazioni documentali alla società Stretto di Messina, nell’ambito della valutazione del progetto, enucleando tutti gli interrogativi che circondano il possibile impatto dell’opera, tra i quali viene in risalto la richiesta di un quadro aggiornato delle "condizioni di pericolosità da maremoto". Ad aggravare i rilievi operati dal comitato e dal Ministero dell’ambiente intervengono, altresì, quelli elaborati dalla commissione tecnica per la microzonazione sismica sulla base delle “linee guida per la gestione del territorio in aree interessate da faglie attive e capaci”, messe a disposizione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nel 2015, che il progetto del ponte non rispetta. I punti di ancoraggio, il pilone, il pontile e gli svincoli sul versante calabrese ricadrebbero in un’area soggetta a un regime di limitazione di edificabilità assoluta secondo quanto emerge dal “catalogo delle faglie capaci” (ITHACA) dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, in quanto posta su una nuova faglia finora mai rilevata dagli studi effettuati. L’ISPRA riporta la mancanza di un intervento del legislatore per la previsione di strumenti finalizzati a regolamentare la pianificazione territoriale in prossimità delle faglie capaci o a introdurre vincoli di edificabilità, in quanto il problema della fagliazione superficiale è stato fino ad ora considerato solo da documenti che costituiscono indirizzi non vincolanti da un punto di vista normativo;
la commissione VIA ha approvato il progetto definitivo del ponte, previa ottemperanza di 62 prescrizioni fra le quali figura, al n. 34, quella che prevede che il proponente deve presentare uno studio in cui siano maggiormente approfonditi i rilevamenti geologici e geomorfologici, le indagini geofisiche, sismologiche e paleosismologiche, e la caratterizzazione delle faglie, con particolare riferimento alle faglie capaci e che possono essere ritenute ancora attive;
come evidenziato sul sito Stretto di Messina.it, nella pagina dedicata al progetto definitivo è riportato che il ponte e i collegamenti a terra sono in grado di resistere a sisma di magnitudo 7,1 della scala Richter. Tuttavia, è noto che lo stretto può essere un’area epicentrale per eventi sismici anche di magnitudo ben superiore, e quindi con accelerazioni attese sul suolo (PGA) superiori ad 1g e fino a 2g, ossia ben superiori a quelle registrate per il terremoto de L’Aquila (0,66g) e di Amatrice e Norcia (rispettivamente 0,86 e 0,95g). Dalla documentazione disponibile, come riferimento di terremoto di progetto per il ponte, l’accelerazione utilizzata è di soli 0,58g,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali siano le valutazioni in merito al deposito di una relazione sismica sul ponte sullo stretto di Messina attribuita in modo non corrispondente al vero all’INGV e che ha costretto l’Istituto a diramare un comunicato stampa per denunciare la sua totale estraneità alla suddetta relazione;
se intenda attivarsi, per quanto di competenza, affinché sia conferito un mandato ufficiale all’INGV affinché svolga un’approfondita indagine relativa al rischio sismico in merito alla realizzazione del ponte, nel rispetto delle procedure accurate previste dall’istituto per tale importante attività, del rigore scientifico, dell’imparzialità e della trasparenza che caratterizzano i lavori dell’INGV;
se non ritenga opportuno sospendere l’iter relativo alla realizzazione del ponte nell’attesa degli studi e degli approfondimenti, da parte dell’INGV, di natura geologica, geomorfologica, geofisica, sismologica e paleosismologica, oltre alla caratterizzazione delle faglie, con particolare riferimento alle faglie capaci e che possono essere ritenute ancora attive;
se non ritenga opportuno, alla luce dell’elevata sismicità dello stretto di Messina anche per terremoti di magnitudo ben superiore a 7, e quindi con accelerazioni attese sul suolo (PGA) superiori ad 1g e fino a 2g, che alla documentazione relativa all’opera siano allegati studi scientifici ufficiali che abbiano come riferimento di terremoto per il progetto l’utilizzo di accelerazioni attese al suolo fino a 2g e non come attualmente previsto di soli 0,58g e, quindi, una resistenza delle strutture del ponte ad eventi di magnitudo ben superiore a 7,1 della scala Richter;
se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, attivarsi affinché sia regolamentata la pianificazione territoriale in prossimità delle faglie capaci e siano introdotti rigorosi vincoli di inedificabilità in tali aree, come evidenziato a più riprese dall’ISPRA.
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IRTO, BASSO, FINA - Ai Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti. -
Premesso che:
con determinazione 24 ottobre 2024, n. 143, la Corte dei conti ha posto rilievi sulla gestione finanziaria dell'anno 2023 di ANAS S.p.A.;
in particolare, la Corte ha sottolineato che il bilancio della società relativo al 2023, approvato il 29 aprile 2024, si è chiuso con una perdita di 162,7 milioni di euro riconducibile principalmente alla svalutazione del valore della partecipazione detenuta nella società Stretto di Messina (SdM);
la Corte ha ribadito non compatibile con la disciplina vigente il criterio della valorizzazione "al costo" della società SdM nel bilancio ANAS 2022;
la non corretta valorizzazione era stata oggetto di specifico intervento del magistrato delegato al controllo, il quale faceva rilevare come il progetto di bilancio 2022 omettesse l'analisi dei costi funzionali al riavvio dell'opera di collegamento stabile tra Sicilia e Calabria (cosiddetto Ponte sullo stretto), esplicitamente richiesta al comma 6, dell'articolo 4 e al n. 4, comma 8, dell'articolo 2 del decreto-legge n. 35 del 2023; infatti, nonostante il medesimo decreto avesse introdotto il principio di rilevanza dei soli costi funzionali al riavvio della citata opera, il CdA di ANAS ha approvato il progetto di bilancio 2022 che replicava la valorizzazione di SdM seguita negli anni precedenti con una quantificazione indistinta dei costi sostenuti da SdM;
le conseguenze della violazione di legge sono state successivamente accertate dal perito indipendente nominato dal Ministero dell’economia che ha ritenuto non funzionali al riavvio dell'opera oltre 85 milioni di euro di costi sostenuti da SdM, con conseguente svalutazione del valore delle azioni di SdM ed esigenza di ricapitalizzare il capitale sociale di SdM, che da poco più di 383 milioni di euro si era ridotto a circa 302 milioni. La grave svalutazione certificata dall'assemblea degli azionisti di SdM del 30 novembre 2023 ha avuto una ripercussione negativa per oltre 69 milioni sul bilancio ANAS 2023 proprio in ragione della perdita di valore delle azioni di SdM, di cui ANAS era titolare. Inoltre, come riportato nella citata determinazione della Corte n. 143/2024 la società ha continuato a ricorrere a onerosi pareri richiesti a professionisti esterni, spesso non giustificati dalla linearità della normativa comunitaria e nazionale;
la Corte rileva altresì la necessità che la società, particolarmente esposta a gravi comportamenti corruttivi e di turbativa delle gare riconducibile alla infedeltà di alcuni dipendenti di concerto con imprenditori, debba essere riportata nell'ambito di applicazione della normativa anticorruzione e trasparenza dalla quale attualmente risulta esclusa in quanto partecipata da FS S.p.A.;
considerato che:
ANAS, con rischio di pregiudizio per gli equilibri finanziari attuali e futuri, ha continuato a valorizzare la concessione confidando nella possibilità di estendere automaticamente la concessione dalla scadenza naturale 2032, fino al 2052 e la Corte ha rilevato come la posizione societaria non trovi solidi riferimenti fattuali e giuridici. Invero, la disciplina evocata dalla società all'articolo 1, commi 1018 e 1019 della legge n. 296 del 2006 subordina la proroga del rapporto concessorio al perfezionamento di una convenzione unica di cui non vi è allo stato, secondo la Corte, alcun percorso attuativo;
la direttiva comunitaria 2014/23/UE non consente la modifica della durata della concessione equiparandola a un nuovo affidamento su cui vige l'obbligo comunitario di gara ad eccezione del caso in cui avvenga in favore di società in house o di titolare un diritto speciale o esclusivo;
ANAS avrebbe fatto affidamento ai commi 1018 e 1019 dell’articolo 1 della legge n. 296 del 2006, che prevedono la modifica della durata della concessione da 30 a 50 anni. Tale norma, tuttavia, è in contrasto con la suddetta direttiva comunitaria ed è noto l'obbligo non solo dei giudici ma anche degli organi amministrativi di disapplicare qualsiasi norma in contrasto con la direttiva comunitaria;
ANAS non è una società in house e non risulta alcun formale provvedimento in cui le venga riconosciuto la titolarità di un diritto esclusivo,
si chiede di sapere:
come i Ministri in indirizzo intendano, per quanto di competenza, garantire la vigilanza esplicitamente invocata nella relazione della Corte dei conti affinché venga superata l'attuale situazione di incertezza determinata dal rapporto concessorio;
se ritengano che ANAS debba essere ricompresa nell’ambito di applicazione della normativa anticorruzione e trasparenza;
quale sia l'impatto della svalutazione della partecipazione detenuta in SdM sui futuri conti di ANAS e se tale svalutazione possa in qualche modo incidere negativamente sulla realizzazione dei cantieri in corso di esecuzione.