Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00846 Pubblicato il 9 gennaio 2024, nella seduta n. 142 Nicola Irto cofirmatario

Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'interno e della giustizia. -
Premesso che:
il 7 gennaio 2024, a seguito della commemorazione delle vittime dell’attentato di via Acca Larentia a Roma, in cui nel 1978 morirono tre giovani militanti del MSI, molti partecipanti hanno gridato per tre volte “presente” con le braccia tese nel saluto romano;
alla cerimonia per il quarantaseiesimo anniversario dell’attentato, erano presenti anche il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, e l’assessore per la cultura del Comune di Roma, Miguel Gotor, che hanno deposto una corona di fiori;
successivamente, i militanti si sono spostati davanti all’ex sede del MSI, dove era presente anche il vice Presidente della Camera dei deputati, Fabio Rampelli, e, come è accaduto già altre volte in passato in occasione di altre commemorazioni, hanno salutato con il braccio teso di fronte a un manifesto nero recante la scritta “presente, presente, presente” e in alto una croce celtica bianca;
premesso inoltre che:
la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista;
in attuazione di tale disposizione, la legge 20 giugno 1952, n. 645, meglio nota come “legge Scelba”, ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di apologia del fascismo e punisce con la reclusione da 5 a 12 anni e con la multa da 1.032 a 10.329 euro chiunque promuova, organizzi o diriga le associazioni, i movimenti o i gruppi con carattere fascista;
infatti, la predetta legge, modificata poi dalla legge 22 maggio 1975, n. 152, vieta il perseguire di “finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista”, ovvero rivolgendo “la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito” o compiendo “manifestazioni esteriori di carattere fascista”;
come di tutta evidenza, le attività e i gesti compiuti durante la commemorazione rientrano pienamente nelle condotte vietate dalla “legge Scelba”,
si chiede di sapere quali siano le valutazioni del Governo sui fatti riportati e quali iniziative intenda adottare al fine di fare chiarezza sugli stessi e di far cessare qualunque attività o comportamento commessi in aperta e palese violazione del dettato costituzionale e delle leggi del nostro ordinamento.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00848 Pubblicato il 9 gennaio 2024, nella seduta n. 142 Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro delle imprese e del made in Italy. -
Premesso che:
la vicenda di Acciaierie d’Italia, dopo mesi di gestione fallimentare da parte di Arcelor Mittal, è giunta ad un punto di non ritorno, che richiede un tempestivo e definitivo intervento del Governo, volto a garantire un futuro certo al più grande stabilimento di produzione dell’acciaio in Europa, ai suoi lavoratori e alle imprese dell’indotto;
Arcelor Mittal, il socio privato che controlla il 62 per cento di ADI, a fronte di svariati comunicati stampa diramati negli scorsi mesi orientati a dipingere una situazione gestionale ottimale dello stabilimento ex ILVA di Taranto, non ha assunto alcuna iniziativa per procedere alla necessaria ricapitalizzazione di ADI a fronte della grave crisi di liquidità aziendale e non ha programmato alcun investimento per il futuro dell’azienda, nonostante l’aiuto da 680 milioni di euro ricevuto agli inizi del 2023 da parte dello Stato italiano;
nel corso delle ultime assemblee dei soci di Acciaierie d’Italia, Arcelor Mittal ha ripetutamente manifestato l’intenzione di non procedere alla sottoscrizione dell’aumento di capitale di 1,5 miliardi di euro, così come richiesto dal consiglio di amministrazione, in misura proporzionale alla quota di partecipazione detenuta, indispensabile per la prosecuzione dell’attività aziendale e all’attuazione degli investimenti futuri;
nell’incontro avvenuto in data 8 gennaio 2024, tra il Governo e i vertici di Arcelor Mittal ed Invitalia, per risolvere la delicata vicenda, non è stata trovata una soluzione per immettere nuove risorse per il funzionamento degli stabilimenti ADI che stanno producendo a ritmi molto bassi, con una produzione scesa sotto i 3 milioni di tonnellate a fronte dei 5-6 milioni previsti nei piani e migliaia di dipendenti in cassa integrazione;
nella riunione il Governo, a fronte dell’esigenza di ADI di avere a disposizione circa 420 milioni di euro per il pagamento delle forniture del gas necessarie al funzionamento degli impianti, ha prospettato un aumento di capitale di 320 milioni di euro e far salire la quota di Invitalia al 60 per cento del capitale di ADI. Su tale ipotesi, che avrebbe portato Invitalia a nominare un nuovo amministratore delegato e Arcelor Mittal ad indicare in nuovo presidente di ADI, non è stato trovato l’accordo. A fronte del rifiuto, il Governo avrebbe prospettato ad Arcelor Mittal la sottoscrizione di tutto il capitale sociale necessario a far salire Invitalia al 66 per cento del capitale di ADI, ricevendo come risposta un netto rifiuto anche alla seconda proposta;
con una nota diramata a margine dell’incontro, il Governo ha preso finalmente atto, come già segnalato dagli interroganti in precedenti atti di sindacato ispettivo, dell’indisponibilità di Arcelor Mittal ad assumere impegni finanziari ed investimenti in ADI, incaricando Invitalia di assumere le decisioni conseguenti;
nei prossimi giorni si deciderà il futuro degli stabilimenti di Acciaierie d’Italia. Il rischio immediato del distacco della fornitura del gas e la scadenza del 31 maggio del contratto di affitto degli impianti con l’amministrazione straordinaria impongono scelte tempestive, non più rinviabili nel tempo, e ingenti impieghi di risorse per la prosecuzione delle produzioni;
il Governo sarà pertanto chiamato ad assumere decisioni nette invertendo definitivamente il percorso ondivago che nel corso dell’ultimo anno ha contribuito ad avallare la gestione fallimentare di Arcelor Mittal e fra le misure in questo senso si ricordano il decreto-legge n. 2 del 2023, con cui sono stati concessi 680 milioni di euro in favore di Arcelor Mittal per garantire la necessaria liquidità per il funzionamento degli stabilimenti ADI, senza che tale intervento abbia prodotto risultati apprezzabili sulla ripresa produttiva ed occupazionale dei medesimi, con grave pregiudizio per gli interessi dei lavoratori, delle imprese dell'indotto, della città di Taranto, della tutela della salute dei cittadini e dell'interesse nazionale a preservare un importante sito di produzione di acciaio, e soprattutto il memorandum, a giudizio degli interroganti ambiguo, sottoscritto nel mese di settembre 2023 dal ministro Fitto e l'amministratore delegato di ADI e Arcelor Mittal, finalizzato a garantire lo stanziamento di risorse per oltre 2 miliardi di euro a valere sul REPowerEU, senza alcuna chiarezza sugli impegni finanziari a carico del gruppo Mittal. Tale memorandum, oltre a confermare un’irragionevole posizione del Governo in favore delle richieste di Arcelor Mittal, ha archiviato per alcuni mesi l’ipotesi più ragionevole, sostenuta anche dai sindacati e dagli interroganti, di portare Invitalia al 60 per cento del capitale di ADI e di cambiare definitivamente la governance dell’azienda;
alla luce della situazione di grave crisi di ADI e della strategia di Arcelor Mittal orientata da ormai diversi mesi al totale disimpegno finanziario nei confronti della controllata italiana, emerge in tutta evidenza la necessità di procedere rapidamente in direzione dell’acquisizione da parte di Invitalia della maggioranza di controllo di ADI e alla conseguente adozione di urgenti interventi finanziari per garantire la prosecuzione della produzione di acciaio da parte degli stabilimenti ex Ilva o, in alternativa, a procedere in direzione dell’amministrazione straordinaria per ADI,
si chiede di sapere:
quali iniziative urgenti si intenda adottare per salvaguardare la continuità operativa degli stabilimenti di Acciaierie d’Italia di Taranto, nonché degli stabilimenti di Genova e di Novi Ligure, e per garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e l’aiuto alle imprese dell’indotto, messi a rischio dalla disastrosa gestione di Arcelor Mittal;
se si intenda procedere in direzione del passaggio, entro brevi termini, del controllo azionario di ADI da Arcelor Mittal ad Invitalia tramite la conversione del prestito di 680 milioni di euro, erogato con il decreto-legge n. 2 del 2023, in aumento di capitale o, in alternativa, se si intenda procedere in direzione dell’amministrazione straordinaria per ADI; se si intenda chiarire altresì quali siano i costi stimati a carico del bilancio pubblico in conseguenza della situazione che si è determinata;
se, alla luce degli esiti della vicenda descritta e dell’incontro dell’8 gennaio 2024, si intenda chiarire quale sia stata la finalità del memorandum sottoscritto nel mese di settembre 2023 dal ministro Fitto con Arcelor Mittal e se non si ritenga che tale accordo sia stato una delle cause che ha contribuito a rendere maggiormente confusa la gestione della vicenda ADI e ad aggravare la già difficile situazione di crisi degli stabilimenti ex Ilva di Taranto;
se sia intenzione del Governo mantenere nel nostro Paese un importante e competitivo settore produttivo come quello dell’acciaio e se intenda attivarsi al fine di garantire in prospettiva l’ingresso di nuovi e affidabili investitori industriali nella compagine azionaria ADI, cui affidare la gestione del rilancio produttivo del più grande stabilimento siderurgico europeo e il completamento degli interventi di decarbonizzazione della produzione e di messa in sicurezza ambientale del sito.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-00927 Pubblicato il 9 gennaio 2024, nella seduta n. 142 Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro dell'economia e delle finanze. -
Premesso che:
in data 27 dicembre 2023 si è appreso da alcuni organi di stampa (“Giornale di Vicenza”, “Pressgiochi.it”) che nell'ambito delle attività di prevenzione generale e controllo del territorio, i militari della Guardia di finanza hanno scoperto nel comune di Vicenza la presenza uno sportello ATM (Bancomat) installato all'interno di una sala giochi-scommesse;
la legge regionale del 10 settembre 2019, n. 38, recante norme sulla prevenzione e cura del disturbo da gioco d'azzardo patologico (articolo 7, lettera h) stabilisce una distanza non inferiore a quattrocento (400) metri tra i locali pubblici dov'è possibile scommettere e giocare e gli sportelli Bancomat. Le stesse misure di prevenzione e relative sanzioni sono presenti nel regolamento comunale, approvato con delibera di Consiglio comunale di Vicenza n. 29 del 4 giugno 2019, capo III, articolo 9 - distanze minime dai luoghi sensibili;
gli avvenimenti descritti non rappresentano casi isolati, tanto che nel mese di maggio 2023, nel Rodigino, la stessa Guardia di finanza aveva rilevato analoghe circostanze,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire la sicurezza, la salute e l'ordine pubblico, nonché per un efficace contrasto del disturbo da gioco d'azzardo, iniziative volte ad accertare, d'intesa con gli istituti bancari, l'eventuale presenza di sportelli ATM-Bancomat nelle aree di pertinenza o vicinanza ai luoghi dove si vendono giochi d'azzardo;
se intenda provvedere a far rimuovere, tempestivamente, nel rispetto delle vigenti normative, gli sportelli ATM-Bancomat all’interno delle sale giochi e sale scommesse e a potenziare significativamente il numero dei controlli presso le sale giochi e sale scommesse, tenuto conto del crescente aumento del numero delle condotte illegali.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00803 Pubblicato il 29 novembre 2023, nella seduta n. 130 Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro dell'economia e delle finanze. -
Premesso che:

in data 16 ottobre 2023, il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo recante attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale (Atto del Governo n. 90);

l’articolo 5 introduce un nuovo regime fiscale agevolativo in favore dei lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, che va a sostituire il regime attualmente vigente in favore dei medesimi lavoratori previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015, con il presunto obiettivo del Governo di "incentivare il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni e favorire lo sviluppo tecnologico, scientifico e culturale del nostro Paese”;

in realtà, lo schema di decreto legislativo ha generato molta confusione e preoccupazione nei connazionali residenti all’estero, in ragione del fatto che le modifiche apportate alla disciplina vigente sono state adottate in modo inatteso, in assenza di una vera e propria delega rintracciabile nella legge n. 111 del 2023 e con effetti retroattivi, andando quindi a colpire migliaia di persone che hanno costruito e programmato il loro percorso di rientro in Italia, per di più senza prevedere un regime transitorio o altre forme di indennizzo per i soggetti coinvolti;

il Ministro dell’economia e delle finanze, rispondendo ad interrogazioni con risposta immediata in data 26 ottobre 2023, e come più volte riportato anche da diversi organi di stampa in interviste al Ministro e al viceministro Maurizio Leo, ha parlato di “fenomeni assolutamente da censurare” che motiverebbero tale misura. Fra questi: “il fatto che magari qualcuno rientrasse e prendesse residenza al Sud per avere una maggiore detrazione e poi non contribuisse allo sviluppo del Meridione, ma andasse a lavorare da qualche altra parte, oppure quelle pratiche elusive adottate da certi gruppi che, pur rimanendo nel proprio perimetro societario, trovavano il modo di suddividere il vantaggio tra il dipendente e il gruppo per metterlo a carico dello Stato”, e ha sostenuto che, “dei 24.450 impatriati, i ricercatori e i docenti sono circa 1.200; gli altri sono top manager o manager o anche semplicemente delle persone che hanno sfruttato un'agevolazione che non è che non costi”, ed ha, infine, ricordato “che l'effetto sulle casse dello Stato di questo regime agevolativo è valutabile in 1,3 miliardi di euro annui”;

il viceministro Leo ha ribadito che la finalità dell’articolo 5 dello schema di decreto legislativo è quella di “colpire ulteriormente i diversi profili abusivi che nel corso degli anni si sono verificati”;

considerato che:

lo schema di decreto legislativo rischia di far desistere, per sopravvenuta impossibilità dovuta al cambio di regime fiscale, una grossa fetta di concittadini (ricercatori, liberi professionisti, manager) dall’intento, fruttuoso per l’Italia, di rientrare nel nostro Paese apportando un notevole indotto economico e di conoscenze, aumentando così ancora la forbice fra espatriati e rimpatriati;

stando ai dati del rapporto ISTAT pubblicato a febbraio 2023, il saldo fra rimpatriati (75.000) ed espatriati (94.000) è negativo. Fra 2012 e 2021 i giovani fra i 25 e i 34 anni espatriati sono circa 337.000, di cui oltre 120.000 laureati. I coetanei rimpatriati nello stesso periodo sono 94.000, di cui 41.000 laureati (il 43,6 per cento circa). Dunque, come scrive l’ISTAT, “si può affermare che l’Italia abbia perso 79mila giovani laureati in dieci anni”, un trend che questo provvedimento andrebbe quindi presumibilmente solo ad aggravare;

i dati pubblicati nel rapporto “Italiani nel mondo” 2023, realizzato della fondazione "Migrantes", dimostrano che le attuali agevolazioni previste per i lavoratori che rientrano in Italia dall’estero stanno funzionando: grazie a esse il numero dei rientri nel 2021 è raddoppiato, passando da una media di 2.000-3.000 all’anno ad oltre 6.500,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo intenda pubblicare, e in che tempi, i dati relativi ai “profili abusivi” di lavoratori impatriati verificatisi “nel corso degli anni”;

se intenda rendere noto su che basi sia stato conteggiato il costo di 1,3 miliardi di euro annui relativo al regime agevolativo per i lavoratori impatriati, a quanto ammontino effettivamente le sanzioni emesse dall’Agenzia dell’entrate nei confronti di italiani espatriati che avrebbero frodato il fisco nei termini descritti e quante sarebbero le persone che hanno dichiarato la propria residenza al Sud e invece risiedenti all’estero;

se abbia contezza del numero di persone in procinto di trasferirsi, ovvero di coloro che hanno già comprato un’abitazione o accettato un lavoro o avviato pratiche burocratiche inerenti, che in conseguenza del nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati previsto dallo schema di decreto legislativo si troverebbero bloccate a metà strada, e a quanto ammonterebbe dunque il danno economico prodotto ai nostri concittadini in procinto di rimpatriare;

se abbia calcolato, infine, a quanto ammonterebbe il costo per il nostro Paese dovuto alla perdita d’indotto che i rimpatri porterebbero in dote.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00800 Pubblicato il 29 novembre 2023, nella seduta n. 130 Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro dell'economia e delle finanze. -
Premesso che:

la legge 9 agosto 2023, n. 111, recante “Delega al Governo per la riforma fiscale”, ha previsto l’introduzione di principi di semplificazione della normativa fiscale per il settore no profit;

in particolare, in coerenza con le disposizioni del codice del terzo settore (decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117) la legge delega ha previsto: a) la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario anche con riferimento alla normativa fiscale riguardante gli enti del terzo settore e quelli non commerciali, assicurando il coordinamento con le altre disposizioni dell’ordinamento tributario nel rispetto dei principi di mutualità, sussidiarietà e solidarietà (art. 2, comma 1, lett. d), numero 3); b) l’introduzione di un regime speciale in caso di passaggio dei beni dall’attività commerciale a quella non commerciale e viceversa, per effetto del mutamento della qualificazione fiscale di tali attività in conformità alle disposizioni in materia di terzo settore, adottate in attuazione della riforma del terzo settore (art. 6, comma 1, lett. g)); c) la razionalizzazione della disciplina dell’IVA per gli enti del terzo settore, anche per semplificare gli adempimenti relativi alle attività di interesse generale (art. 7, comma 1, lett. g)); d) la semplificazione e la razionalizzazione dei regimi agevolativi previsti in favore dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali e dei diversi regimi di deducibilità dal reddito complessivo delle erogazioni liberali disposte in favore degli enti che svolgono o promuovono la ricerca scientifica (art. 9, comma 1, lett. l));

in attuazione della legge delega, il 16 ottobre 2023, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, ha approvato in esame preliminare un decreto legislativo di attuazione del primo modulo di riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche e altre misure in tema di imposte sui redditi;

l'articolo 2 del citato schema di decreto legislativo prevede, per il 2024, una riduzione lineare di 260 euro sulle detrazioni per i contribuenti con redditi superiori ai 50.000 euro. Tra le voci di spesa che non potranno essere portate in detrazione rientrano anche le erogazioni liberali;

tale intervento appare in palese contrasto con quanto previsto dalla disciplina del codice del terzo settore che all’art. 83, comma 1, prevede la possibilità del contribuente di detrarre dall’imposta lorda sul reddito un importo pari al 30 per cento degli oneri sostenuti per le erogazioni liberali a favore degli enti del terzo settore, elevato al 35 per cento degli oneri sostenuti dal contribuente, qualora l'erogazione liberale sia a favore di organizzazioni di volontariato;

le ultime stime sulle donazioni riportano un trend in crescita (incremento del 5 per cento dei donatori e del 40 per cento del valore della donazione in tre anni), dimostrando come l’incremento della quota di detrazione dal 26 al 30 per cento abbia avuto un effetto volano sulle donazioni;

dalla relazione tecnica dello schema di decreto emerge che l’impatto complessivo dell’intervento sulle detrazioni ammonta a circa 243 milioni di euro a valere sui circa 4 miliardi di euro previsti della revisione dell’aliquota IRPEF;

anche in considerazione del numero limitato di contribuenti con tassazione positiva che si avvalgono delle detrazioni (circa il 2 per cento), l’effettiva capacità di fare cassa tagliando le detrazioni sulle donazioni appare estremamente limitata, a fronte di un segnale molto negativo per il terzo settore che proprio nelle agevolazioni fiscali per il contribuente trova un importante strumento di raccolta fondi,

si chiede di sapere:

quali siano le motivazioni che hanno indotto il Governo a procedere al taglio delle detrazioni previste dalla legislazione vigente in relazione alle erogazioni liberali a favore degli enti del terzo settore;

se siano state attentamente valutate le ricadute negative di tale decisione, in particolare sull’operatività degli enti del terzo settore, che dalle donazioni volontarie traggono importanti risorse per svolgere le attività no profit particolarmente rilevanti per il tessuto sociale del nostro Paese;

se il Ministro in indirizzo intenda rivedere tale decisione escludendo dallo schema di decreto legislativo (Atto del Governo n. 88), attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari competenti, le erogazioni liberali dalla voce di spese che non potranno essere portate in detrazione da parte dei contribuenti per il 2024;

come intenda proseguire nell’attuazione della delega fiscale conferita con specifico riferimento al regime del terzo settore, per semplificare e razionalizzare il sistema tributario e la disciplina dell’IVA.

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