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IRTO, BOCCIA, BASSO, FINA - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. -
Premesso che:
la sicurezza sismica rappresenta uno degli aspetti più critici per l’infrastruttura del ponte sullo stretto di Messina, data la sua ubicazione in una delle aree a più alto rischio sismico del continente europeo, soggetta a terremoti storicamente devastanti: su tutti, il terremoto di Messina del 1908. Il progetto del ponte sullo stretto, per la sua complessità ingegneristica e l’elevato impatto ambientale, richiede pertanto approfondite analisi tecniche, tra cui una rigorosa valutazione del rischio sismico, considerata la posizione in cui deve sorgere l’opera;
nei documenti allegati dalla Stretto di Messina S.p.A. alla commissione VIA relativi al progetto, è stata inserita una relazione sismica riguardante il ponte attribuita all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia;
in merito alla relazione, il 13 novembre 2024, sul sito dell’INGV, è stato pubblicato un comunicato che recita: "Con riferimento alle notizie di stampa diffuse in questi giorni in merito alla 'Realizzazione di attività di studio e ricerca volte alla predisposizione di risposte alle Richieste di integrazione istruttorie e documentali VIA83 e VIA84 formulate dalla Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA/VAS del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE)', l’Istituto chiarisce che il 26 settembre 2024 è stato stipulato con 'Sapienza' università di Roma, per il tramite del Dipartimento di scienze della terra, un 'accordo di collaborazione scientifica ai sensi dell’art. 15 della L. 241/1990 e ss.mm.ii.', il cui allegato tecnico specifica chiaramente che le relazioni tecnico-scientifiche prodotte a valle dell’accordo sono di esclusiva responsabilità degli autori, ancorché dipendenti dell’INGV, con esclusione di qualsivoglia responsabilità dell’Istituto sul loro contenuto e utilizzo". Pertanto, l’Istituto si dichiara totalmente estraneo a qualsivoglia relazione che, eventualmente firmata da personale dell’INGV, rappresenta solo il pensiero scientifico degli autori, così come disposto dall’accordo;
l’INGV è l’ente pubblico di riferimento in Italia per lo studio dei fenomeni geofisici, vulcanologici e sismici, e dispone delle competenze tecnico-scientifiche necessarie per sviluppare approfondite attività di studio e ricerca per opere di tale rilevanza. Il coinvolgimento formale e istituzionale dell’INGV nella redazione di una relazione sismica sull’opera garantirebbe rigore scientifico, imparzialità e trasparenza al procedimento, evitando fraintendimenti ed utilizzi impropri di lavori non ufficiali. L’assenza di un mandato formale e trasparente all’INGV per svolgere una valutazione istituzionale sul rischio sismico del ponte sullo stretto solleva interrogativi sull’effettiva affidabilità delle analisi finora presentate e rischia di compromettere la credibilità complessiva del processo decisionale in atto;
nei mesi scorsi sono stati sollevati, a più riprese, numerosi aspetti critici in merito alla realizzazione dell’opera. Il comitato tecnico-scientifico istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quale organismo indipendente chiamato a valutare il progetto, ha presentato una relazione contenente 68 raccomandazioni attinenti ai dubbi emersi nel corso dell’esame, tra cui la richiesta di un aggiornamento della “zonizzazione microsismica”. I tecnici del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica hanno chiesto 239 integrazioni documentali alla società Stretto di Messina, nell’ambito della valutazione del progetto, enucleando tutti gli interrogativi che circondano il possibile impatto dell’opera, tra i quali viene in risalto la richiesta di un quadro aggiornato delle "condizioni di pericolosità da maremoto". Ad aggravare i rilievi operati dal comitato e dal Ministero dell’ambiente intervengono, altresì, quelli elaborati dalla commissione tecnica per la microzonazione sismica sulla base delle “linee guida per la gestione del territorio in aree interessate da faglie attive e capaci”, messe a disposizione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nel 2015, che il progetto del ponte non rispetta. I punti di ancoraggio, il pilone, il pontile e gli svincoli sul versante calabrese ricadrebbero in un’area soggetta a un regime di limitazione di edificabilità assoluta secondo quanto emerge dal “catalogo delle faglie capaci” (ITHACA) dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, in quanto posta su una nuova faglia finora mai rilevata dagli studi effettuati. L’ISPRA riporta la mancanza di un intervento del legislatore per la previsione di strumenti finalizzati a regolamentare la pianificazione territoriale in prossimità delle faglie capaci o a introdurre vincoli di edificabilità, in quanto il problema della fagliazione superficiale è stato fino ad ora considerato solo da documenti che costituiscono indirizzi non vincolanti da un punto di vista normativo;
la commissione VIA ha approvato il progetto definitivo del ponte, previa ottemperanza di 62 prescrizioni fra le quali figura, al n. 34, quella che prevede che il proponente deve presentare uno studio in cui siano maggiormente approfonditi i rilevamenti geologici e geomorfologici, le indagini geofisiche, sismologiche e paleosismologiche, e la caratterizzazione delle faglie, con particolare riferimento alle faglie capaci e che possono essere ritenute ancora attive;
come evidenziato sul sito Stretto di Messina.it, nella pagina dedicata al progetto definitivo è riportato che il ponte e i collegamenti a terra sono in grado di resistere a sisma di magnitudo 7,1 della scala Richter. Tuttavia, è noto che lo stretto può essere un’area epicentrale per eventi sismici anche di magnitudo ben superiore, e quindi con accelerazioni attese sul suolo (PGA) superiori ad 1g e fino a 2g, ossia ben superiori a quelle registrate per il terremoto de L’Aquila (0,66g) e di Amatrice e Norcia (rispettivamente 0,86 e 0,95g). Dalla documentazione disponibile, come riferimento di terremoto di progetto per il ponte, l’accelerazione utilizzata è di soli 0,58g,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali siano le valutazioni in merito al deposito di una relazione sismica sul ponte sullo stretto di Messina attribuita in modo non corrispondente al vero all’INGV e che ha costretto l’Istituto a diramare un comunicato stampa per denunciare la sua totale estraneità alla suddetta relazione;
se intenda attivarsi, per quanto di competenza, affinché sia conferito un mandato ufficiale all’INGV affinché svolga un’approfondita indagine relativa al rischio sismico in merito alla realizzazione del ponte, nel rispetto delle procedure accurate previste dall’istituto per tale importante attività, del rigore scientifico, dell’imparzialità e della trasparenza che caratterizzano i lavori dell’INGV;
se non ritenga opportuno sospendere l’iter relativo alla realizzazione del ponte nell’attesa degli studi e degli approfondimenti, da parte dell’INGV, di natura geologica, geomorfologica, geofisica, sismologica e paleosismologica, oltre alla caratterizzazione delle faglie, con particolare riferimento alle faglie capaci e che possono essere ritenute ancora attive;
se non ritenga opportuno, alla luce dell’elevata sismicità dello stretto di Messina anche per terremoti di magnitudo ben superiore a 7, e quindi con accelerazioni attese sul suolo (PGA) superiori ad 1g e fino a 2g, che alla documentazione relativa all’opera siano allegati studi scientifici ufficiali che abbiano come riferimento di terremoto per il progetto l’utilizzo di accelerazioni attese al suolo fino a 2g e non come attualmente previsto di soli 0,58g e, quindi, una resistenza delle strutture del ponte ad eventi di magnitudo ben superiore a 7,1 della scala Richter;
se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, attivarsi affinché sia regolamentata la pianificazione territoriale in prossimità delle faglie capaci e siano introdotti rigorosi vincoli di inedificabilità in tali aree, come evidenziato a più riprese dall’ISPRA.
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IRTO, BASSO, FINA - Ai Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti. -
Premesso che:
con determinazione 24 ottobre 2024, n. 143, la Corte dei conti ha posto rilievi sulla gestione finanziaria dell'anno 2023 di ANAS S.p.A.;
in particolare, la Corte ha sottolineato che il bilancio della società relativo al 2023, approvato il 29 aprile 2024, si è chiuso con una perdita di 162,7 milioni di euro riconducibile principalmente alla svalutazione del valore della partecipazione detenuta nella società Stretto di Messina (SdM);
la Corte ha ribadito non compatibile con la disciplina vigente il criterio della valorizzazione "al costo" della società SdM nel bilancio ANAS 2022;
la non corretta valorizzazione era stata oggetto di specifico intervento del magistrato delegato al controllo, il quale faceva rilevare come il progetto di bilancio 2022 omettesse l'analisi dei costi funzionali al riavvio dell'opera di collegamento stabile tra Sicilia e Calabria (cosiddetto Ponte sullo stretto), esplicitamente richiesta al comma 6, dell'articolo 4 e al n. 4, comma 8, dell'articolo 2 del decreto-legge n. 35 del 2023; infatti, nonostante il medesimo decreto avesse introdotto il principio di rilevanza dei soli costi funzionali al riavvio della citata opera, il CdA di ANAS ha approvato il progetto di bilancio 2022 che replicava la valorizzazione di SdM seguita negli anni precedenti con una quantificazione indistinta dei costi sostenuti da SdM;
le conseguenze della violazione di legge sono state successivamente accertate dal perito indipendente nominato dal Ministero dell’economia che ha ritenuto non funzionali al riavvio dell'opera oltre 85 milioni di euro di costi sostenuti da SdM, con conseguente svalutazione del valore delle azioni di SdM ed esigenza di ricapitalizzare il capitale sociale di SdM, che da poco più di 383 milioni di euro si era ridotto a circa 302 milioni. La grave svalutazione certificata dall'assemblea degli azionisti di SdM del 30 novembre 2023 ha avuto una ripercussione negativa per oltre 69 milioni sul bilancio ANAS 2023 proprio in ragione della perdita di valore delle azioni di SdM, di cui ANAS era titolare. Inoltre, come riportato nella citata determinazione della Corte n. 143/2024 la società ha continuato a ricorrere a onerosi pareri richiesti a professionisti esterni, spesso non giustificati dalla linearità della normativa comunitaria e nazionale;
la Corte rileva altresì la necessità che la società, particolarmente esposta a gravi comportamenti corruttivi e di turbativa delle gare riconducibile alla infedeltà di alcuni dipendenti di concerto con imprenditori, debba essere riportata nell'ambito di applicazione della normativa anticorruzione e trasparenza dalla quale attualmente risulta esclusa in quanto partecipata da FS S.p.A.;
considerato che:
ANAS, con rischio di pregiudizio per gli equilibri finanziari attuali e futuri, ha continuato a valorizzare la concessione confidando nella possibilità di estendere automaticamente la concessione dalla scadenza naturale 2032, fino al 2052 e la Corte ha rilevato come la posizione societaria non trovi solidi riferimenti fattuali e giuridici. Invero, la disciplina evocata dalla società all'articolo 1, commi 1018 e 1019 della legge n. 296 del 2006 subordina la proroga del rapporto concessorio al perfezionamento di una convenzione unica di cui non vi è allo stato, secondo la Corte, alcun percorso attuativo;
la direttiva comunitaria 2014/23/UE non consente la modifica della durata della concessione equiparandola a un nuovo affidamento su cui vige l'obbligo comunitario di gara ad eccezione del caso in cui avvenga in favore di società in house o di titolare un diritto speciale o esclusivo;
ANAS avrebbe fatto affidamento ai commi 1018 e 1019 dell’articolo 1 della legge n. 296 del 2006, che prevedono la modifica della durata della concessione da 30 a 50 anni. Tale norma, tuttavia, è in contrasto con la suddetta direttiva comunitaria ed è noto l'obbligo non solo dei giudici ma anche degli organi amministrativi di disapplicare qualsiasi norma in contrasto con la direttiva comunitaria;
ANAS non è una società in house e non risulta alcun formale provvedimento in cui le venga riconosciuto la titolarità di un diritto esclusivo,
si chiede di sapere:
come i Ministri in indirizzo intendano, per quanto di competenza, garantire la vigilanza esplicitamente invocata nella relazione della Corte dei conti affinché venga superata l'attuale situazione di incertezza determinata dal rapporto concessorio;
se ritengano che ANAS debba essere ricompresa nell’ambito di applicazione della normativa anticorruzione e trasparenza;
quale sia l'impatto della svalutazione della partecipazione detenuta in SdM sui futuri conti di ANAS e se tale svalutazione possa in qualche modo incidere negativamente sulla realizzazione dei cantieri in corso di esecuzione.
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IRTO, Ai Ministri per gli affari europei, il PNRR e le politiche di coesione e dell'economia e delle finanze. -
Premesso che:
il PNRR ha coinvolto i Comuni nella realizzazione di interventi nell'ambito di 4 missioni per un ammontare di circa 40 miliardi di euro. Si tratta di interventi che riguardano infrastrutture, welfare, servizi, messa in sicurezza del territorio, supporto alle transizioni ecologiche e digitali;
il PNRR si configura come un programma di performance, con traguardi qualitativi e quantitativi prefissati e scadenze sul loro raggiungimento. La rendicontazione riguarda sia gli aspetti necessari ad assicurare il corretto conseguimento dei traguardi e degli obiettivi intermedi (milestone e target) sia quelli necessari ad assicurare che le spese sostenute per la realizzazione dei progetti siano regolari e conformi alla normativa vigente e congruenti con i risultati raggiunti;
le procedure, nonostante le semplificazioni introdotte, stanno producendo forti rallentamenti nell’attuazione degli interventi di competenza dei Comuni. Gran parte dei sindaci lamenta da tempo un’eccessiva e farraginosa complessità amministrativa legata sia alla rendicontazione degli interventi sia ai tempi e alle modalità di erogazione delle risorse per l’attuazione dei rispettivi interventi. In particolare, il flusso delle risorse verso le casse dei Comuni risulta eccessivamente lento e molte amministrazioni locali, senza l’erogazione tempestiva dell’anticipo del 30 per cento o delle successive quote spettanti, si trovano in forti difficoltà nel mandare avanti le opere del PNRR;
allo stato attuale gran parte delle amministrazioni locali ha ricevuto, nella migliore delle ipotesi, soltanto l'anticipo sui lavori pur avendo già caricato sulla piattaforma ReGIS la rendicontazione di progetto relativa agli stati di avanzamento dei lavori e alla documentazione sulle spese sostenute e dei relativi giustificativi. Svariati Comuni, pur avendo rispettato i tempi del cronoprogramma, si trovano ad uno stato di avanzamento dei lavori che ha superato l'80 per cento ed in alcuni casi in fase di fine lavori, senza ricevere le ulteriori tranche di finanziamenti. Numerosi altri Comuni sono ancora in attesa dell’anticipo del 30 per cento;
la situazione sta creando un preoccupante paradosso: i Comuni più virtuosi nell’attuazione degli interventi e nel rispetto delle procedure stanno registrando criticità di cassa per il mancato trasferimento delle risorse per quanto siano già state rendicontate sulla piattaforma. La situazione risulta poi essere ancora più grave per i Comuni in dissesto finanziario o in pre dissesto, i quali non hanno la disponibilità di cassa o tesoreria per anticipare le risorse;
l’ANCI ha recentemente inviato una lettera al Governo per evidenziare la situazione e per trovare una rapida soluzione ai problemi;
i Comuni, nonostante le risorse del PNRR siano state già trasferite al nostro Paese e iscritte al bilancio dello Stato, sono costretti ad adottare decisioni gravi per affrontare la situazione, che rischiano di compromettere, da un lato, la completa realizzazione del PNRR e, dall’altro, di aggravare le finanze comunali. Diversi Comuni, alla luce della situazione, hanno già rinunciato alla prosecuzione degli interventi programmati in assenza di risorse disponibili con un effetto collaterale pericolosissimo che causa il blocco dei lavori e conseguentemente il mancato rispetto del cronoprogramma e più in generale il raggiungimento degli obiettivi programmati. Numerosi altri Comuni di fatto sono costretti ad attivare anticipazioni di tesoreria con aggravio di spesa per interessi per saldare gli stralci successivi dei cantieri PNRR, ricorrendo ai finanziamenti di Cassa depositi e prestiti;
svariati Comuni, a fronte dell’elevato tasso d’interesse richiesto da CDP per i mutui, sono stati costretti a rivolgersi agli istituti bancari in ragione di proposte di finanziamento ad un tasso d’interesse inferiore;
come evidenziato sul sito di CDP, il gruppo interviene con le proprie competenze tecniche e finanziarie a sostegno del PNRR per facilitare l’accesso ai fondi stanziati e la realizzazione dei progetti. In tale contesto, finanzia le esigenze complementari alla realizzazione dei progetti previsti dal PNRR. Con il “prestito investimenti PNRR-PNC” è possibile finanziare gli investimenti inseriti nel piano nazionale di ripresa e resilienza o nel piano nazionale complementare, al fine di facilitarne l’avvio e il completamento. Lo strumento è rivolto a Comuni, Province, Città metropolitane (circolare CDP n. 1280/2013) ed enti pubblici non territoriali (circolare CDP n. 1306/2023) individuati come assegnatari di contributi a valere sulle risorse del PNRR, del PNC o nell’articolo 1 del decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 aprile 2024, n. 56, che ha autorizzato la spesa per la realizzazione degli investimenti non più finanziati, in tutto o in parte, a valere sulle risorse del PNRR, a seguito della decisione del Consiglio ECOFIN dell’8 dicembre 2023;
le condizioni previste da CDP per l’accesso ai finanziamenti dei Comuni per il completamento degli interventi relativi al PNRR, per numerose amministrazioni locali non vantaggiose, hanno fatto venire meno il tradizionale sostegno della Cassa nei confronti degli enti locali,
si chiede di sapere:
quali iniziative i Ministri, per quanto di rispettiva competenza, intendano assumere al fine di accelerare il processo di “validazione della spesa” e al fine di trasferire immediatamente le risorse ai Comuni in linea con gli stati di avanzamento dei lavori, favorendo il riconoscimento dei pagamenti intermedi necessari per la prosecuzione e la conclusione dei lavori;
quali iniziative urgenti intendano adottare al fine di favorire il rispetto del cronoprogramma degli interventi PNRR di competenza dei Comuni ed evitare la rinuncia alla prosecuzione degli interventi da parte delle amministrazioni locali a causa del protrarsi ingiustificato dei ritardi nelle erogazioni loro spettanti; se tra tali iniziative si intenda sollecitare CDP a predisporre con urgenza condizioni di accesso agevolato da parte degli enti locali ai finanziamenti per il completamento degli interventi relativi al PNRR, con l’applicazione di tassi d’interesse comunque inferiori a quelli praticati dalle banche.
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IRTO - Al Ministro delle imprese e del made in Italy. -
Premesso che:
l’agevolazione denominata “Resto al Sud”, introdotta dall’articolo 1 del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, secondo i dati pubblicati da Invitalia, alla data del 24 febbraio 2024, ha finanziato 17.429 progetti, per un totale di 881 milioni di euro di agevolazioni concesse, creando 61.283 posti di lavoro;
nel corso dell’ultimo anno, si è registrato un forte rallentamento nell’esame e nell’approvazione dei progetti, nell’emanazione del provvedimento definitivo e nel pagamento dell’ultimo SAL, causando, di fatto, gravi ritardi sull’erogazione delle agevolazioni previste dalla suddetta norma;
nel decreto-legge 7 maggio 2024, n. 60, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 luglio 2024, n. 95, l’originaria agevolazione “Resto al Sud” è stata sostituita, al fine di promuovere la costituzione di nuove attività localizzate nei territori del Mezzogiorno, dalla misura denominata “Resto a Sud 2.0”;
in base a quanto previsto dall’articolo 18 del decreto-legge n. 60 del 2024, sono ammesse al finanziamento “Resto a Sud 2.0” le iniziative economiche finalizzate all'avvio di attività di lavoro autonomo, imprenditoriali e libero-professionali, in forma individuale o collettiva, ivi comprese quelle che prevedono l'iscrizione ad ordini o collegi professionali. Tali attività possono essere avviate in forma individuale mediante apertura di partita IVA per la costituzione di impresa individuale o per lo svolgimento di attività libero-professionale, ovvero in forma collettiva mediante costituzione di società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società a responsabilità limitata, nonché società cooperativa o società tra professionisti;
i destinatari dell'intervento “Resto al Sud 2.0” sono soltanto i giovani di età inferiore ai trentacinque anni e in possesso di uno dei seguenti requisiti: a) condizione di marginalità, di vulnerabilità sociale e di discriminazione, come definite dal ((Programma)) nazionale Giovani, donne e lavoro 2021 - 2027; b) inoccupati, inattivi e disoccupati; c) disoccupati destinatari delle misure del programma di politica attiva Garanzia di occupabilità dei lavoratori GOL;
secondo quanto previsto dal suddetto articolo 18 del decreto-legge n. 60 del 2024, sono ammissibili a finanziamento le iniziative riguardanti l’erogazione di servizi di formazione e di accompagnamento alla progettazione preliminare per l'avvio delle attività, il tutoraggio, finalizzato all'incremento delle competenze, e gli interventi di sostegno all'investimento, consistenti nella concessione di incentivi per l'avvio delle attività;
le modalità attuative di “Resto al Sud 2.0” sono state affidate ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro la data del 3 agosto 2024;
tenuto conto che:
le innovazioni introdotte dalla misura “Resto al Sud 2.0” hanno fortemente limitato la platea dei potenziali beneficiari delle agevolazioni rispetto a quanto previsto dalla misura “Resto al Sud” introdotta nel 2017, a cui potevano accedere soggetti di età fino a 55 anni;
ad oggi non risulta ancora pubblicato il decreto attuativo di “Resto al Sud 2.0” e il ritardo sta causando un ingente danno a migliaia di giovani, di disoccupati e inoccupati residenti nelle regioni meridionali, in attesa di poter presentare richieste di finanziamento per la creazione di nuove imprese;
nel frattempo, le pratiche di Invitalia per la definizione di tutte le centinaia e centinaia di richieste di finanziamento sul vecchio bando “Resto al Sud” risultano ferme, recando forte pregiudizio per i soggetti che hanno già da tempo depositato i progetti per l’avvio della loro attività imprenditoriale,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda procedere ad una modifica della misura “Resto al Sud 2.0” al fine di estendere la platea dei potenziali beneficiari delle agevolazioni ai soggetti con età fino a 55 anni come previsto precedentemente dalla misura “Resto al Sud” introdotta nel 2017; se intenda, altresì, ampliare quanto più possibile le iniziative ammissibili al finanziamento di “Resto al Sud 2.0”;
se intenda chiarire le ragioni della mancata emanazione del decreto attuativo di “Resto al Sud 2.0”, prevista per la data del 3 agosto 2024 dall’articolo 18, comma 6, del decreto-legge n. 60 del 2024 e in che tempi intenda procedere alla sua emanazione;
quali iniziative intenda intraprendere al fine di favorire l’accelerazione dell’esame delle pratiche da parte di Invitalia relative al bando “Resto al Sud”, al fine di procedere all’erogazione delle agevolazioni e consentire l’avvio di migliaia di attività imprenditoriali e l’incremento del livello di occupazione nelle regioni meridionali.
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Al Ministro delle imprese e del made in Italy.
Premesso che:
la produzione automobilistica delle principali case europee sta registrando una contrazione senza precedenti. Gli ultimi dati ACEA e ANFIA evidenziano la crisi di un settore che rappresenta il 7 per cento del PIL della UE e 13 milioni di lavoratori occupati, e che minaccia la tenuta dell’intera economia europea. Nel corso del 2024, alcuni dei principali impianti di produzione di autovetture delle 5 più grandi case automobilistiche europee (BMW, Mercedes-Benz, Stellantis, Renault e Volkswagen) hanno operato a ritmi inferiori rispetto alle proprie capacità produttive. Di recente, la Volkswagen, la più grande casa automobilistica europea per vendite, ha preannunciato la chiusura di tre stabilimenti, mentre in Italia la Stellantis ha registrato nel terzo trimestre 2024 un preoccupante calo dei volumi produttivi che hanno coinvolto gli stabilimenti di Melfi e Mirafiori e l’avvio di una fase di proteste da parte dei lavoratori del settore;
al crollo delle immatricolazioni in Europa e in Italia concorrono numerosi fattori: con più di 500 auto per mille abitanti, il mercato europeo dell’automobile presenta margini di crescita assai ridotti; la progressiva reinterpretazione della mobilità urbana sta spingendo molte amministrazioni locali a favorire l’utilizzo del trasporto pubblico sostenibile, delle piste ciclabili e il car pooling; a differenza delle precedenti, le giovani generazioni non vedono nell’automobile un bene materiale indispensabile, tanto che, come evidenziano i dati ACI e ISTAT, tra il 2011 e il 2021 il numero di auto intestate a persone under 25 è diminuito del 43 per cento; l’incremento dei prezzi delle autovetture, che nel solo periodo tra il 2019 e il 2022 hanno registrato un aumento del 34,3 per cento; la riduzione del numero di autovetture del segmento delle utilitarie;
nella presente congiuntura, la Cina e l’approccio cinese al prodotto sono emersi come disruptor del settore. In base a recenti analisi di mercato, si stima che i costruttori cinesi, entro il 2030, conquisteranno una quota pari al 33 per cento del mercato globale di autovetture, consolidandosi nel mercato europeo con una quota pari al 12 per cento. Alla base di tale successo ci sono diversi vantaggi strutturali, in parte costruiti diligentemente negli anni. Le case automobilistiche cinesi producono autovetture ormai comparabili a quelle dei concorrenti occidentali, ma con costi largamente inferiori. Il vantaggio competitivo si registra in particolare nel settore delle autovetture a propulsione elettrica che richiedono un impiego massiccio di semiconduttori e di terre rare di cui la Cina controlla gran parte dell’estrazione mondiale e della lavorazione intermedia. Ciò permette ai produttori cinesi di controllare circa il 75 per cento della produzione mondiale di batterie;
a differenza dei produttori cinesi, i numerosi costruttori europei operano in orizzonti temporali ristretti. Sotto la pressione dei mercati finanziari, si trovano costretti ad adottare politiche incentrate sui profitti a breve termine. In Europa, l’approccio alla produzione è caratterizzato da una scarsa coordinazione, anche nell’ambito della ricerca e dello sviluppo e nelle politiche di incentivazione;
il contesto impone una profonda riflessione sulle politiche industriali da adottare. Si è di fatto di fronte ad uno shock sistemico settoriale paragonabile per dimensioni e gravità a quello recentemente sperimentato nel settore dell’approvvigionamento energetico. Appare concreto il rischio, al netto delle misure protezionistiche varate dalla UE, di un duro confronto sullo scenario internazionale;
a fronte di un quadro generale dell’automotive in progressivo deterioramento, per resistere alle spinte competitive provenienti dall’estero, abbattere i costi e rilanciare le produzioni sostenibili e a zero emissioni appare indispensabile: favorire l’aggregazione delle forze fra i marchi, la condivisione di piattaforme e avanzamenti tecnologici per ricostruire economie di scala e ottimizzare gli investimenti in ricerca e sviluppo; accompagnare tale percorso con la creazione di un apposito fondo europeo comune per il settore automotive; istituire una vera e propria catena di valore europea, dotata di una filiera integrata in grado di autoprodursi le batterie destinate alle vetture a propulsione elettrica, riducendo contestualmente la dipendenza dell’Unione da fonti di approvvigionamento rischiose sotto il profilo geopolitico; promuovere le politiche di transizione verso le nuove tecnologie e di sostegno alle tecnologie da affiancare all’elettrico, quali i motori con propulsione ad idrogeno; sostenere la domanda con appositi incentivi;
in tale contesto, il taglio previsto nel disegno di legge di bilancio dell’80 per cento delle risorse stanziate per gli anni compresi tra il 2025 e il 2030 del fondo per la transizione verde, la ricerca, gli investimenti del settore automotive e per il riconoscimento di incentivi all’acquisto dei veicoli non inquinanti (da 5,8 a 1,2 miliardi di euro) appare una scelta incomprensibile. La transizione del settore automotive è soggetta a leve di attuazione che necessitano di incentivi pubblici per colmare il proprio gap competitivo e le decisioni finora assunte, unitamente al dialogo avviato per favorire l’insediamento in Italia di produttori extraeuropei, appaiono in contrasto con gli interessi del Paese,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda attivarsi per ripristinare con urgenza le risorse del fondo per la transizione verde, la ricerca, gli investimenti del settore automotive e per il riconoscimento di incentivi all’acquisto dei veicoli non inquinanti, oggetto del taglio previsto nel disegno di legge di bilancio per l’anno 2025 pari a circa 4,6 miliardi di euro, e se intenda assumere iniziative, condivise con altri Paesi membri UE, per l’istituzione di un fondo pluriennale per la competitività europea dedicato a supportare, con ulteriori risorse, le imprese del settore automotive implicate nella transizione;
quali misure intenda adottare al fine di mantenere operativi gli stabilimenti di produzione di autovetture in Italia e i marchi storici della nostra filiera dell’automotive, altrimenti destinati alla chiusura o al trasferimento all’estero oppure ad essere oggetto di acquisizione da parte dei concorrenti internazionali, e se intenda attivarsi nelle sedi istituzionali europee al fine di promuovere politiche volte alla creazione di grandi player industriali europei nel settore della produzione automobilistica e nella filiera dell’automotive europea, anche mediante aggregazioni, capaci di competere sul mercato internazionale, con l’obiettivo di una presenza stabile e significativa nel territorio italiano di stabilimenti operativi, di investimenti, di livelli occupazionali, di indotto e componentistica;
quali misure intenda adottare nei confronti di Stellantis per garantire un futuro certo agli stabilimenti in Italia e all’indotto e il mantenimento dei livelli occupazionali;
se intenda attivarsi per prorogare al 2025 la cassa integrazione straordinaria per il settore dell’automotive;
se intenda proseguire e rafforzare le politiche di sostegno volte alla transizione del settore automotive, in quanto le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l'evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini impongono alle aziende automobilistiche l'avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione;
se intenda attivarsi al fine di garantire nell’immediato l’erogazione di bonus, benefici e altre misure di vantaggio volte a sostenere la domanda di autoveicoli, con priorità per i veicoli a propulsione elettrica.