Legislatura 19ª - Atto di Sindacato n. 3-01958. Pubblicato il 10 giugno 2025, nella seduta n. 313. Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro della salute. -
Premesso che:
la missione 6 del piano nazionale di ripresa e resilienza, con un finanziamento di 15,63 miliardi di euro (più 2,89 miliardi inizialmente previsti dal piano complementare PNC, poi ridimensionati), mira a: rafforzare l’assistenza territoriale con case e ospedali di comunità, l’assistenza domiciliare e le centrali operative territoriali; digitalizzare i dipartimenti di emergenza-urgenza e il fascicolo sanitario elettronico; potenziare i reparti di terapia intensiva, ammodernare le grandi apparecchiature sanitarie; promuovere formazione, ricerca biomedica e il riordino degli IRCCS;
in data 22 maggio 2025 l’Ufficio parlamentare di bilancio ha pubblicato un focus in cui viene esaminato lo stato di avanzamento della missione, mediante un’analisi che “va oltre la questione del rispetto formale delle scadenze previste per il raggiungimento degli obiettivi concentrandosi, soprattutto, sulla concreta possibilità di successo della sfida di riorganizzare e potenziare il Servizio sanitario nazionale” considerato che “le scadenze concordate a livello europeo della Missione Salute sono state sinora rispettate, ma le prossime tappe saranno le più difficili da completare, in particolare laddove si tratti di chiudere rapidamente i cantieri aperti (l’81,7 per cento dei progetti è in fase esecutiva o conclusiva) e portare a compimento anche i lavori ancora non avviati” e sottolineando come l’attuale situazione richieda “performance decisamente migliori rispetto alla tradizionale lunghezza della durata dei lavori pubblici in Italia” anche dal punto di vista finanziario, dove “la spesa risulta pari a 2,8 miliardi, un importo di poco inferiore a quanto previsto dal cronoprogramma (3,1 miliardi), ma lontano dall’ammontare complessivo delle risorse da utilizzare”;
nel focus viene riportato che “nel presente stadio di realizzazione degli investimenti, si avverte una possibile discrasia tra l’impostazione adottata nella fase di programmazione e l’esecuzione concreta. Nell’ambito della programmazione del PNRR, infatti, le Regioni meridionali sono state sostenute dal vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse territorializzabili al Mezzogiorno, ma in presenza di una revisione verso il basso dei target relativi agli interventi edilizi, senza indicazione di obiettivi regionali coerenti con la programmazione” aggiungendo che “anche se le scadenze fossero rispettate con la completa adesione ai traguardi europei, potrebbe non essere assicurato il previsto riequilibrio territoriale”. In particolare, in relazione ai principali investimenti edilizi, ovvero “quelli nelle case della comunità (CdC), che hanno goduto di una riserva di risorse elevata al 45 per cento, e negli ospedali di comunità (OdC), il vincolo doveva garantire un riequilibrio con le Regioni con dotazioni infrastrutturali maggiori”. A tal riguardo si specifica che delle 1.038 case di comunità previste (target ridotto da 1.350), 943 cantieri risultano attivati o conclusi, ma solo 38 collaudati, e anche tra gli ospedali di comunità (target rivisto a 307), la situazione riporta di 310 cantieri avviati, ma solo 14 collaudati. In Molise non risulta attivo alcun cantiere per le case di comunità mentre in Sardegna e Calabria i cantieri sono solo una frazione del previsto e la spesa conferma tale situazione dal momento che il Sud ha utilizzato solo il 18,5 per cento delle risorse per le case di comunità e il 19,1 per cento per gli ospedali di comunità. Ancora più preoccupante è il quadro relativo ai servizi dove solo il 3 per cento delle case di comunità offre oggi i servizi obbligatori previsti dal decreto ministeriale n. 77 del 23 maggio 2022 con gravi carenze di personale medico e infermieristico;
tenuto conto che:
il documento dell’Ufficio parlamentare di bilancio riporta come “l’utilizzo del Fascicolo sanitario elettronico è ancora limitato; quanto all’assistenza domiciliare, le Centrali operative territoriali (COT) sono in funzione, le informazioni disponibili sulla platea degli assistiti in assistenza domiciliare integrata risalgono al 2023, quando l’incremento non appariva omogeneo sul territorio, e per la telemedicina, i progetti regionali sono stati approvati e la piattaforma nazionale è attiva, ma l’obiettivo di 300.000 pazienti assistiti entro il 2025 è stato rimodulato a causa dei ritardi”. Relativamente alla digitalizzazione dei dipartimenti di emergenza-urgenza nel paper dell’UPB viene riportato che solo il 21 per cento delle risorse è stato fatturato con forti ritardi in Abruzzo, Umbria e Marche ed anche il fascicolo sanitario elettronico soffre di “limiti strutturali quali problemi di interoperabilità, frammentazione regionale e ritardi nei caricamenti dei documenti”. Riguardo all’intervento relativo ai posti in terapia intensiva e semi-intensiva, vengono poi segnalati sviluppi differenziati tra le Regioni;
l’UPB sottolinea come “il successo della Missione Salute è anche legato alla capacità di popolare di professionisti, appositamente formati, le strutture nuove o potenziate. Attualmente, pochi servizi sono assicurati nelle Case e negli Ospedali di comunità, soprattutto nel Mezzogiorno, e non è chiaro in che misura i nuovi posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva siano dotati di apposito personale aggiuntivo per assistere i pazienti” in ragione anche dei fondi del PNRR che coprono in gran parte investimenti in conto capitale, lasciando aperto il problema della sostenibilità operativa delle nuove strutture essendo difficile reperire infermieri, medici di medicina generale e specialisti;
il 19 maggio la cabina di regia PNRR ha approvato una proposta di revisione tecnica del piano che è stata sottoposta all’esame del Parlamento e in cui la missione salute verrebbe solo marginalmente coinvolta dalle revisioni, che consisterebbero essenzialmente in modifiche definitorie e anticipi di target;
considerato che, come già denunciato dalla CGIL, “dei 19,2 miliardi di fondi disponibili per la Missione Salute M6, ne sono stati spesi appena 3,7, pari al 19%, e solamente il 38% dei progetti risulta completato”. Per quanto riguarda le case di comunità “i ritardi sono particolarmente preoccupanti: sono stati completati solo il 2% dei progetti, mentre per il 30% non sono ancora stati avviati i cantieri, e i finanziamenti spesi sono solo il 12%. Con questo ritmo ci vorranno almeno sette anni per completare tutti i lavori” e analoga preoccupazione viene espressa anche per gli ospedali di comunità dove risulta “completato solo il 3% dei progetti e speso solo l'11% dei fondi”,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga urgente adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di conoscere le motivazioni dei ritardi di attuazione delle misure di cui alla missione 6 del PNRR;
se non intenda assumere iniziative urgenti affinché tutti i progetti previsti siano realizzati entro i tempi stabiliti ovverosia entro il 2026 e con la garanzia di efficacia e efficienza della riorganizzazione e del potenziamento del servizio sanitario nazionale così come previsto;
se non ritenga necessario e urgente disporre iniziative specifiche volte a garantire l’effettiva osservazione della clausola di vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse territorializzabili al Mezzogiorno e che, come riferito nel documento dell’UPB, in ragione della revisione verso il basso dei target relativi agli interventi edilizi, senza indicazione di obiettivi regionali coerenti con la programmazione, potrebbe non essere più garantita, minando in tale modo il previsto riequilibrio territoriale.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Atto n. 3-01949. Pubblicato il 4 giugno 2025, nella seduta n. 312. Nicola Irto cofirmatario

Ai Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti. -
Premesso che:
la rete autostradale italiana è in una situazione di forte peggioramento infrastrutturale a causa di un lungo periodo di mancati lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, in particolare su viadotti e gallerie, con la necessità attuale, secondo quanto sostenuto dagli stessi concessionari, di interventi extra rispetto a quanto previsto nei piani economico finanziari (PEF) vigenti, per un ammontare di circa 27 miliardi di euro, di cui 22,2 miliardi per l’aggiornamento dei PEF di ASPI, 3,9 miliardi di euro per l’aggiornamento dei PEF del gruppo Gavio e 1,5 miliardi di euro per gli altri concessionari;
secondo notizie di stampa, una commissione istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per affrontare le richieste dei concessionari autostradali di riaggiornamento su 15 piani economico finanziari, dopo mesi di analisi e studio dei dati e delle richieste, avrebbe concluso i propri lavori rilevando che il calcolo dei suddetti extra costi non sarebbe fondato e non effettivamente dovuto;
le richieste di aggiornamento dei PEF sono state motivate dai concessionari autostradali tenendo conto di una serie di fattori, quali gli effetti dell’aumento dei costi delle materie prime, le conseguenze della pandemia e dei fattori geopolitici, nonché gli adeguamenti normativi e i nuovi standard tecnici richiesti e, infine, il recepimento delle prescrizioni che hanno innalzato gli standard dei controlli a seguito della strage del "ponte Morandi" di Genova;
secondo notizie di stampa, le argomentazioni sostenute dai concessionari autostradali, a parere degli esperti della commissione, non sarebbero sufficienti a motivare le richieste di aggiornamento dei PEF, in ragione del fatto che per anni i concessionari, a fronte degli ingenti incassi, non hanno provveduto alle manutenzioni ordinarie e straordinarie a cui erano tenuti per contratto. Le principali cause a cui attribuire i maggiori rilevanti costi sarebbero in realtà la sottostima dei valori economici posti alla base dei contratti di concessione e dei PEF approvati e la sottostima della quantità di manutenzioni straordinarie alla base dei contratti di concessione, anche a seguito della carenza di manutenzione ordinaria riscontrata negli ultimi anni. A questi due fattori, si aggiungerebbe la scelta dei concessionari di concentrarsi prevalentemente sulla realizzazione delle grandi opere a discapito di un’attenta pianificazione della manutenzione della rete autostradale. Sulla base di queste conclusioni, la commissione avrebbe invitato il Ministero a rivedere i rapporti di forza con i concessionari affermando che la ripartizione dei rischi tra concedente e concessionario deve essere maggiormente definita e inequivocabile. Tra gli obblighi del concessionario è previsto il mantenimento della funzionalità delle infrastrutture attraverso la loro manutenzione e la riparazione tempestiva e le linee guida emesse dal Ministero delle infrastrutture non possono aver incrementato la spesa se non nel caso in cui il concessionario abbia inizialmente, nel PEF vigente, sottostimato le esigenze di manutenzione straordinaria. Pertanto gli extra costi non possono essere imputati a modifiche normative;
considerato, altresì, che:
secondo notizie di stampa, il concessionario ASPI avrebbe mascherato per anni gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete autostradale sotto la voce investimenti, ossia con spese orientate a migliorare la rete autostradale scaricando i relativi costi sui pedaggi. Per gli esperti della commissione risulterebbe “una carenza estesa di manutenzione almeno di oltre un decennio precedente al periodo attuale, ne deriva che le somme imputate per manutenzione straordinaria non possono essere completamente riconosciute come investimenti” e, dopo aver risparmiato sulle manutenzioni per anni, ASPI non potrebbe pretendere un aggiornamento del PEF di tale portata e far ricadere i costi sullo Stato o sugli utenti;
l’attuale compagine azionaria di ASPI (CDP e i fondi Blackstone e Macquarie) ha definito una co-governance particolare secondo cui tutta la cassa prodotta al netto degli investimenti deve essere distribuita ogni anno sotto forma di dividendi o riserve. Come riportato da notizie di stampa, secondo CDP Equity la politica di dividendi perseguita andrebbe rivista a favore di maggiori investimenti di ASPI sulla rete autostradale. Per il 2024, su 1.027 milioni di euro di utile, 790 milioni sono stati distribuiti per soddisfare le esigenze di remunerazione dei fondi,
si chiede di sapere:
quali siano le valutazioni del Governo sui fatti esposti;
se intenda tempestivamente pubblicare e trasmettere al Parlamento la relazione della commissione istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per affrontare le richieste dei concessionari autostradali di riaggiornamento su 15 piani economico finanziari;
quali misure intenda adottare nei confronti dei concessionari che hanno omesso o mascherato gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete autostradale nel corso degli anni e affinché i mancati interventi siano tempestivamente realizzati, a partire dalle situazioni più gravi che riguardano viadotti e gallerie;
se intenda rivedere i rapporti con i concessionari autostradali riaffermando che tra gli obblighi prioritari a carico dei medesimi concessionari vi è quello del mantenimento della funzionalità delle infrastrutture attraverso la loro costante manutenzione e la riparazione tempestiva, evitando che tali interventi siano imputati sotto la voce investimenti e quindi riversati sui pedaggi o sul bilancio pubblico;
quali misure intenda adottare per evitare che in futuro i concessionari autostradali si concentrino prevalentemente sulla realizzazione delle grandi opere a discapito di un’attenta pianificazione della manutenzione della rete autostradale;
quali misure intenda, altresì, adottare affinché la politica di dividendi perseguita da ASPI non pregiudichi gli investimenti del gruppo sulla rete autostradale.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-02065. Pubblicato il 7 maggio 2025, nella seduta n. 300

IRTO - Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, delle imprese e del made in Italy e per gli affari europei. -

Premesso che:
- la “decontribuzione Sud” è un'agevolazione, introdotta dalla legge di bilancio per il 2021, che prevede un esonero contributivo per i datori di lavoro privati con sede in una delle regioni del Mezzogiorno;
- la misura è indirizzata ai datori di lavoro privati, esclusi gli imprenditori del settore finanziario e agricolo e i datori di lavoro domestico, con sede in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia;
- in generale, quindi, l’esonero contributivo parziale disciplinato dal combinato disposto dell’articolo 27 del decreto-legge n. 104 del 2020 e dell’articolo 1, commi da 161 a 168, della legge n. 178 del 2020 prevede un esonero parziale dei contributi dovuti dai datori di lavoro all’INPS in relazione a tutte le tipologie contrattuali di lavoro subordinato con sede di lavoro nelle citate regioni;
- il decreto-legge n. 104 del 2020 inizialmente prevedeva l’esonero del 30 per cento per i periodi di paga ottobre-dicembre 2020;
- successivamente la legge n. 178 del 2020 ha esteso fino al 2029 la riduzione contributiva con un décalage della misura: dal 2021 al 2025 una riduzione del 30 per cento; negli anni 2026 e 2027 una riduzione del 20 per cento; negli anni 2028 e 2029, del 10 per cento;
- l'agevolazione si applica ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo e dei contratti di lavoro domestico;
dal 2021, l’articolo 1, comma 162, della legge n. 178 del 2020 ha previsto, altresì, l’esclusione anche per i seguenti soggetti: enti pubblici economici; istituti autonomi case popolari trasformati in enti pubblici economici ai sensi della legislazione regionale; enti trasformati in società di capitali, ancorché a capitale interamente pubblico, per effetto di procedimenti di privatizzazione; ex istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza trasformate in associazioni o fondazioni di diritto privato in quanto prive dei requisiti per la trasformazione in aziende di servizi alla persona (ASP) e iscritte nel registro delle persone giuridiche; aziende speciali costituite anche in consorzio ai sensi degli articoli 31 e 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; consorzi di bonifica; consorzi industriali; enti morali ed enti ecclesiastici;
la decontribuzione Sud, così come concepita, costituisce un aiuto di Stato, per cui la fruizione è condizionata all’autorizzazione della Commissione europea. L’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che, salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza;
- dopo la scadenza di validità del quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nel periodo di emergenza da COVID-19, considerata l’esigenza di garantire la necessità di preservare l’occupazione delle imprese del Mezzogiorno ulteriormente rafforzata a causa del conflitto in Ucraina, le decisioni della Commissione europea di concessione dell’aiuto sono state rilasciate alle condizioni previste dal “temporary crisis framework” o TCF;
- la Commissione europea, in virtù di ciò, ha concesso una proroga fino al 31 dicembre 2024 della decontribuzione Sud;
- nel 2025, si è in attesa di ricevere un nulla osta per le grandi aziende da parte della Commissione europea, che dovrebbe confermare la misura deflattiva per l’anno in corso con conferma della percentuale del 30 per cento sui contributi a carico dell’azienda,

si chiede di sapere quali siano le valutazioni del Governo in merito ai fatti esposti e quali misure ed iniziative intenda porre in essere, anche nelle sedi UE, al fine di assicurare la proroga della misura “decontribuzione Sud”, fondamentale per i datori di lavoro e per la crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-02004. Pubblicato il 9 aprile 2025, nella seduta n. 293. Nicola Irto primo firmatario

- Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. -

Premesso che:
con nota congiunta dello scorso 23 settembre 2024, indirizzata via PEC al gabinetto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, per conoscenza, al gabinetto del Ministero delle imprese e del made in Italy, le segreterie della regione Calabria dei sindacati Slc-CGIL, Fistel-CISL e Uilcom-UIL hanno lamentato un ritardo, da parte del Ministero del lavoro, rispetto all’emanazione del decreto di concessione della cassa integrazione straordinaria per i lavoratori di Abramo customer care in amministrazione straordinaria, azienda ubicata nello stesso territorio regionale;

il ritardo riguarda il periodo che va dal 7 agosto al 7 novembre 2024;

gli stessi sindacati hanno osservato che ciò rischia di compromettere ulteriormente la già precaria situazione economica e sociale dei dipendenti coinvolti, ad oggi pesantemente provati da una lunga fase di incertezza e difficoltà;

di norma, il provvedimento di concessione è adottato con decreto del Ministero entro un periodo che va da un minimo di 30 giorni dalla richiesta a un massimo di 90 giorni, a seconda della motivazione in base alla quale si chiede l’intervento della cassa integrazione straordinaria;

la cassa integrazione straordinaria è uno strumento fondamentale per garantire la sostenibilità economica e lavorativa nell’attuale fase, molto delicata, dell’azienda;

è indispensabile quanto urgente l’intervento del Ministro in indirizzo al fine di scongiurare ulteriori problemi e difficoltà per i lavoratori interessati e le rispettive famiglie,

si chiede di sapere quali iniziative urgenti il Ministro in indirizzo intenda adottare al fine di assicurare al più presto l’effettiva integrazione della retribuzione dei lavoratori dell’azienda Abramo customer care.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-01984. Pubblicato il 3 aprile 2025, nella seduta n. 291; Nicola Irto primo firmatario

- Ai Ministri della salute e dell'economia e delle finanze. -

Premesso che:

dal 2010 la Regione Calabria è commissariata dal Governo per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale. Nella stessa regione persiste una situazione di grave criticità sul piano dell’assistenza sanitaria pubblica;
in Calabria, per quanto ricostruito in un articolo del quotidiano “Gazzetta del Sud” del 2 aprile 2025, vi è un’estensione delle liste d’attesa per prestazioni essenziali tale da generare un fenomeno strutturale di mobilità sanitaria passiva, con una spesa annua, da parte dell’ente Regione, di circa 300 milioni di euro;
il fenomeno è attivo da oltre 20 anni, con un flusso costante di pazienti calabresi verso strutture sanitarie di eccellenza del Nord Italia, in particolare in Lombardia e Veneto, nelle quali i cittadini calabresi si recano per ricevere cure e accertamenti che il sistema regionale non riesce a garantire in tempi utili;
si tratta di una situazione che sottrae risorse al servizio sanitario della Calabria, aggravandone le già pesanti criticità;
in numerose strutture della Calabria, secondo quanto riportato nell'articolo, si registrano tempi di attesa fuori scala. Ad esempio, nell’ospedale “Annunziata” di Cosenza, per una colonscopia con endoscopio flessibile, l’attesa media è di un anno, mentre una visita cardiologica presso l’ASP di Cosenza viene fissata al momento per febbraio 2026;
nell’articolo si riporta, altresì, che per le prestazioni diagnostiche si possono in genere ottenere in tempi più brevi spostandosi verso centri periferici come Bocchigliero o Praia a Mare, ma questi risultano difficilmente raggiungibili per le fasce più fragili della popolazione, in particolare gli anziani;
anche a Reggio Calabria e a Catanzaro la situazione è critica, tanto che per una colonscopia a Reggio Calabria si attendono 221 giorni, mentre a Catanzaro i tempi sono superiori all’anno. Inoltre, le attese per le visite urologiche raggiungono i 163 giorni a Reggio Calabria, mentre una giovane donna di Cosenza, secondo l'articolo, è in lista d’attesa per 15 mesi;
quanto esposto riguarda, stando alla fonte giornalistica, esami e visite classificate come “programmate” (codice “P” sulla ricetta), ma in realtà spesso fondamentali per prevenzione e diagnosi. Secondo Federconsumatori Calabria, riporta l’articolo, il SSR della Calabria soffre di carenze di personale, disservizi, mancanza di trasparenza e persistenti inefficienze gestionali, elementi che determinano un progressivo spostamento della domanda di sanità pubblica verso il settore privato, che però non è accessibile a tutte le fasce sociali;
la situazione, aggravata da quasi 15 anni di commissariamento governativo e da un deficit strutturale ancora irrisolto, mette concretamente a rischio il diritto alla salute dei cittadini calabresi, sancito dall’articolo 32 della Costituzione,

si chiede di sapere quali iniziative urgenti i Ministri in indirizzo, per quanto di rispettiva competenza, intendano assumere, anche per il tramite del commissario per l’attuazione del piano di rientro, al fine di assicurare in tempi brevi una significativa riduzione delle liste e dei tempi di attesa relativi alle prestazioni diagnostiche e specialistiche e di garantire il riequilibrio della mobilità sanitaria interregionale.

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