“L’approvazione da parte del Cdm del nuovo Codice degli appalti presenta degli aspetti di criticità notevoli che potrebbero mettere in grave difficoltà il sistema dei controlli, la qualità delle opere e la sicurezza dei lavoratori a tutti i livelli”. Lo dice il senatore del Pd Nicola Irto.

“Oltre alle altre critiche già emerse in Commissione al Senato da cui è scaturito il nostro voto contrario alla riforma – spiega Irto – desta profonda preoccupazione la conferma delle deroghe attuate durante l’emergenza pandemica e, dunque, l’innalzamento della soglia a partire dalla quale è obbligatoria la gara d’appalto, fissata in cinque milioni di euro. Secondo i dati forniti da Anac, nel 2021 le stazioni appaltanti hanno dato l’ok a 62.812 procedure per l’assegnazione di lavori pubblici di cui 61.731 con valore inferiore ai 5 milioni di euro, ovvero al di sotto della soglia di 5 milioni, pari al 98,7% dei lavori. La quasi totalità degli appalti potrà dunque essere assegnata direttamente o con procedura negoziata senza bando, dunque senza una gara pubblica alla quale tutti possano partecipare. Se già in precedenza il sistema dei controlli non riusciva ad evitare condizionamenti e infiltrazioni adesso, con le maglie più larghe, le conseguenze potrebbero essere imprevedibili soprattutto nei territori a più alta densità criminale, con i sindaci che, nuovamente, si troverebbero da soli a dover fronteggiare quella che potrebbe essere una vera e propria emergenza. Altro elemento che potrebbe avere un effetto esplosivo sul comparto è la modifica della disciplina del subappalto con l’introduzione del cosiddetto ‘subappalto a cascata’, che desta particolare preoccupazione fra gli stessi operatori. Non possiamo consentire – conclude Irto – che sull’altare di un presunto snellimento burocratico siano sacrificati la qualità delle opere, i controlli sugli affidamenti e la sicurezza dei cantieri con il rischio di far aumentare costi per i contenziosi e aprire spazi a corruzione e illegalità”.

Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-00250 pubblicato il 21 febbraio 2023, nella seduta n. 40 - Nicola Irto firmatario

IRTO - Al Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR.

Premesso che:
- in Gazzetta Ufficiale n. 82 del 15 ottobre 2021 veniva pubblicato un bando di concorso pubblico per il reclutamento di 2.022 unità di personale non dirigenziale di Area III - F1 o categorie equiparate nelle amministrazioni pubbliche con ruolo di coordinamento nazionale nell'ambito degli interventi previsti dalla politica di coesione dell'Unione europea e nazionale per i cicli di programmazione 2014-2020 e 2021-2027, nelle Autorità di gestione, negli Organismi intermedi e nei soggetti beneficiari delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia;
- tale concorso prevedeva un reclutamento di tecnici, a tempo determinato, per le regioni del Sud;
- in relazione al citato concorso e a seguito del superamento dei concorsi indetti dall'Agenzia di coesione, comunemente intesi come "Coesione 1" e "Coesione 2", veniva costituito un Comitato per la stabilizzazione dei tecnici nei comuni del Sud, con lo scopo di risolvere la delicatissima posizione delle lavoratrici e dei lavoratori assunti a tal fine dalla pubblica amministrazione, ma precari;
- tale categoria di lavoratori, anche se riconosciuta di primaria importanza per il rafforzamento delle competenze e della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni del sud Italia, oggi gravate di una nuova e straordinaria mole di lavoro per l'attuazione del PNRR, cui non potrebbero far fronte con le già limitate risorse umane in organico impegnate con l'attività ordinaria degli uffici, sono, di fatto, i protagonisti invisibili e operosi dell'attuazione del PNRR, gli artefici dei potenziali successi che stanno muovendo la complessa macchina burocratica;
- in una nota riportata in varie agenzie di stampa, il Comitato dichiarava "[…]Il delicato compito assegnato ai "Tecnici per il sud", rischia di essere frustrato e con esso la stessa attuazione del PNRR, occasione unica e immancabile per la realizzazione di importantissimi interventi che investono, capillarmente, l'intero sistema pubblico del nostro Paese dall'inquadramento previsto per i suddetti lavoratori, contrattualizzati a tempo determinato con scadenza a 36 mesi. Questa forma contrattuale precaria non risulta tale da garantire i lavoratori, la loro permanenza in servizio per l'intera durata contrattuale, in un periodo storico in cui la stabilità pare invece l'unico strumento adatto a offrire un'adeguata tutela per i lavoratori stessi. La precarietà opera invece da chiaro deterrente rispetto al pieno, efficace ed efficiente coinvolgimento, pratico quanto emotivo, dei lavoratori rispetto alle mansioni loro assegnate e alla loro integrazione nei rispettivi uffici. Prova ne sia la copiosa e costante "fuga" dalle posizioni lavorative in oggetto, tramite decine di dimissioni quotidiane, in favore di soluzioni magari meno desiderate o preferite, ma che gioco-forza prevalgono perché prevedono un contratto a tempo indeterminato, viste anche le varie opportunità occupazionali create dalla grande stagione di concorsi che sta interessando il nostro Paese [...]";
- pertanto, sempre da quanto appreso da notizie di stampa, il Comitato, rivolgendosi al Parlamento, lanciava un monito su tale gravosa situazione, al fine di incentivare e "blindare" prospetticamente le attività del personale;

considerato che:
- l'articolo 35-bis del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 (cosiddetto Aiuti-bis), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2022 n. 142, ha disposto che "Al fine di valorizzare la professionalità acquisita dal personale assunto con rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato […] le amministrazioni assegnatarie del suddetto personale possono procedere, con decorrenza non antecedente al 1° gennaio 2027, nei limiti dei posti disponibili della vigente dotazione organica, alla stabilizzazione nei propri ruoli del medesimo personale nella qualifica ricoperta alla scadenza del contratto a termine, previo colloquio e all'esito della valutazione positiva dell'attività lavorativa svolta"; tale favorevole previsione normativa, tuttavia, riguarda esclusivamente le 500 unità di personale reclutato ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 9 giugno 2021 n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n.113, e assegnato al Ministero dell'economia e delle finanze e alle altre amministrazioni centrali titolari di interventi PNRR;
- in data 16 febbraio 2023, "il Sole 24 Ore" e altre autorevoli testate di stampa riportavano inoltre la notizia che, nella bozza del decreto-legge sul PNRR, sarebbe presente una disposizione che introdurrebbe la possibilità di trasformare i relativi contratti in contratti a tempo indeterminato addirittura dal 1° marzo 2023 per i lavoratori dell'amministrazione centrale, non prevedendo nulla di analogo con riferimento a chi lavora negli enti locali; tale disposizione, se è da un lato apprezzabile in virtù della stabilizzazione dei lavoratori, dall'altro crea un inaccettabile e inammissibile discrimen rispetto ad altri lavoratori assunti per il rafforzamento amministrativo della Pubblica Amministrazione;

considerato altresì che:
- la norma in questione, se confermata nel testo definitivo del decreto-legge, dovrebbe rappresentare un apripista per ampliare il bacino di lavoratori interessati dalla stabilizzazione senza indebite e ingiustificate distinzioni;
- la continuità lavorativa dei tecnici per il Sud è una chance per l'Italia di migliorare e crescere grazie ai fondi del PNRR e alle migliaia di interventi previsti nell'ambito dello stesso, al suo impatto e all'importante contributo alla mitigazione del calo demografico; la precarietà è infatti un ostacolo lavorativo da superare a 360 gradi ed in tutti gli ambiti, anche al fine di evitare lo svuotamento demografico soprattutto dei giovani della nostra Nazione, che inevitabilmente fuggono alla ricerca di situazioni migliori;
- le amministrazioni e gli enti locali sono in perenne carenza di organico, già messi a dura prova dalle attività ordinarie;
- è opportuno che si cristallizzi il notevole rafforzamento amministrativo apportato da queste risorse umane, che serve e servirà anche in futuro, e non solo in relazione al PNRR, ma anche in ossequio al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione; - lo stesso Ministro in indirizzo, qualche tempo fa, dichiarava alla stampa, "Servono soluzioni straordinarie. Serve avere visione, programmazione, snellimento e impegni vincolanti […] per evitare che l'Italia faccia quello che non può permettersi di fare: sbattere contro un muro";
- le attività che gli enti locali e le pubbliche amministrazioni sono chiamate a realizzare nell'ambito del PNRR impongono di stabilizzare il personale e di farlo tempestivamente,

si chiede di sapere:
- se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda intervenire con soluzioni strutturali e definitive volte a colmare con solerzia questo discrimen di trattamento tra lavoratori dell'amministrazione centrale, periferica e quindi degli enti locali, garantendo loro tutela e stabilità;
- se intenda provvedere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di garantire la stabilizzazione nei propri ruoli di tutti i 2.800 tecnici assunti ai sensi dell'articolo 1, comma 179, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, nella qualifica ricoperta alla scadenza del contratto a termine.

Allegati:
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“Tante sono le criticità che emergono nel nuovo codice degli appalti. A partire dalla mancata inclusione del principio della parità di genere. Sono molti i temi inoltre che avrebbero bisogno di approfondimenti e adeguati correttivi: penso alle disposizioni sull’autonomia contrattuale della Pa, ai rapporti tra Pa ed Enti del terzo settore e al principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali”.

Lo afferma il senatore del Pd Nicola Irto. “La semplificazione è uno dei cardini fondamentali del nuovo Codice – sottolinea il parlamentare dem – e tuttavia, emergono, su più fronti, evidenti spinosità: non appaiono condivisibili la riduzione dei compiti dell’Anac e l’indebolimento delle disposizioni di contrasto alle frodi, alla corruzione, al conflitto d’interessi nello svolgimento delle procedure di presidio della concorrenza, della tutela del lavoro e della parità di trattamento tra operatori. Nel semplificare i livelli della progettazione, da tre a due livelli, il nuovo codice poi non introduce misure finalizzate alla valorizzazione della qualità della progettazione; cancella la compatibilità geologica, geomorfologica e idrogeologica da valutarsi in elaborati specialistici dedicati; non prevede l’introduzione, già nella fase di progettazione, di pratiche di valutazione d’impatto ex post delle opere pubbliche in termini non soltanto ambientali ma economico-finanziari.

In tema di tutela del lavoro e sicurezza sul lavoro, il ricorso ad una diffusa semplificazione delle norme del Codice fa emergere poi preoccupanti carenze con particolare riferimento alla manodopera necessaria alla realizzazione dei lavori, dei servizi e delle forniture. Per quanto concerne l’appalto emergono ulteriori criticità, con particolare riferimento ai meccanismi di controllo necessari ad evitare potenziali inefficienze e contenziosi. Alcune delle disposizioni previste dallo schema di decreto legislativo mostrano evidenti difetti di delega. Altre disposizioni prefigurano casi di eccessi di delega.

Va sottolineato infine che alcune delle novità introdotte non appaiono conformi alla normativa europea e per quanto riguarda il tema della sostenibilità ambientale, che il legislatore nella legge delega ha esplicitamente evidenziato con la loro valorizzazione economica all’interno delle gare, sarebbe opportuno fare una specifica riflessione perché di questa valorizzazione nell’attuale testo non vi è traccia” conclude il parlamentare democratico.

“Il decreto su Ischia che il Senato si appresta a convertire in legge è l’emblema di un modo sbagliato di governare, lo Stato è colpevole nei confronti dei suoi cittadini quando aspetta il verificarsi di un evento estremo o di una vera e propria tragedia come quella che nella notte tra il 25 e il 26 novembre 2022 ha colpito Ischia. La logica dovrebbe essere quella della prevenzione, l’abusivismo edilizio e il consumo scellerato del suolo vanno combattuti, non si può rincorrere l’emergenza specie di fronte a un territorio fragile per il dissesto idrogeologico e ai cambiamenti climatici.
Dopo questa tragedia ci aspettiamo che si apra una riflessione generale sulle questioni legate alla prevenzione del dissesto idrogeologico, alla cura del territorio e alle modalità più congrue per affrontare i cambiamenti climatici in atto, cominciando dalla base e dai provvedimenti più semplici: contrastare ogni nuova possibilità di condono e fornire alle amministrazioni locali e ai prefetti gli strumenti idonei per abbattere gli immobili abusivi”. Lo ha detto in Aula il senatore del Pd Nicola Irto, componente della Commissione Ambiente e Lavori pubblici. “Ci preoccupa molto – ha proseguito Irto – che sia sparita la compatibilità geologica e idrogeologica delle opere dal nuovo Codice degli appalti, in esame nelle commissioni ambiente di Camera e Senato. È da anni che viene ribadito in Italia che la prevenzione costa allo Stato la decima parte di quello che costa la ricostruzione. Ma evidentemente la prevenzione non è redditizia, si lucra di più sulle macerie. In questo scenario lo Stato rischia di diventare complice”.

 

Il senatore dem boccia il ddl Calderoli: «Iniquo e ingiusto, una “cambiale” di Salvini ai governatori del Nord. I medici cubani? Un bluff»

Corriere Suem torna sul rapporto fra autonomia differenziata e sanità regionale, con un’intervista al senatore dem Nicola Irto, segretario del Pd calabrese, già presidente del Consiglio regionale della Calabria e al suo primo mandato a Palazzo Madama. Mercoledì scorso avevamo sentito la deputata M5S Anna Laura Orrico e ieri il deputato leghista Domenico Furgiuele. Secondo Irto, «l’impatto dell’autonomia differenziata sarebbe devastante in ogni materia e avrebbe conseguenze molto gravi anche sulla sanità della Calabria». «Già con l’impianto legislativo attuale, le differenze tra le varie Regioni, sia per quel che riguarda i Lea che le strutture e i servizi sanitari in genere, sono molto evidenti e – sostiene il senatore del Partito democratico – lo Stato, almeno fin qui, non è riuscito a riequilibrare il sistema. La pandemia, che evidentemente non ci ha insegnato alcunché, ha dimostrato con estrema chiarezza i limiti del servizio sanitario calabrese e le sue fragilità».
«L’autonomia non farebbe altro che – rimarca Irto – acuire le differenze già in atto e rendere ancora più evidente lo scarto tra il Servizio sanitario che le Regioni più ricche sarebbero in grado di offrire, rispetto a quelle che già oggi arrancano o, addirittura, sono ancora sottoposte a Piano di rientro, così com’è per la Calabria. Il risultato finale sarebbe quello di indebolire ancora la sanità calabrese, favorendo l’aumento della migrazione sanitaria verso le Regioni più ricche e alimentando un circolo vizioso che azzererebbe ogni possibilità di sviluppo e ammodernamento del comparto».

Come si pone il Pd calabrese rispetto al tema dell’autonomia differenziata?
«La posizione del Pd calabrese è la stessa di quella assunta dal Pd nazionale. Il ddl Calderoli, così come formulato, non è accettabile. È iniquo, ingiusto, presenta alcuni profili di incostituzionalità ed è stato già bocciato dalla Conferenza Stato-Regioni. Affidare i Lep ad una Commissione interministeriale, poi, non fa altro che privare il Parlamento delle sue competenze e, in ogni caso, finisce con il legare i finanziamenti alle Regioni al criterio della spesa storica, senza prevedere alcun tipo di perequazione. Chiaramente un impianto di questo genere rischia di dividere in due il Paese con conseguenze molto gravi per le Regioni meridionali che già hanno un importante gap da recuperare nei confronti del Nord del Paese».

Secondo il politologo Isaia Sales, i presidenti Zaia e Fedriga tirano la giacchetta a Salvini per tutelare gli interessi delle loro regioni. L’accelerazione sull’autonomia differenziata ne sarebbe una riprova.Qual è il suo punto di vista nel merito?

«Mi sembra un’interpretazione aderente alla realtà. Il risultato ottenuto dalla Lega alle elezioni è stato inferiore alle aspettative e, per la prima volta, la leadership di Salvini è stata messa in discussione. I potenti governatori del Nord chiedono adesso che venga mantenuto quanto promesso e, dunque, che si arrivi all’autonomia nel più breve tempo possibile. Questo spiega l’accelerazione, altrimenti ingiustificata, impressa da Calderoli. Si tratta, invece, di una riforma importante che richiederebbe ben altro tipo di concertazione e di approfondimento e che non può essere trattata come una cambiale elettorale da estinguere anche in vista delle prossime regionali in Lombardia».

Salvini ha detto che l’autonomia differenziata sarà pronta entro il 2023. Lei ci crede? Come si sta muovendo, al riguardo, il Pd calabrese?
«Mi auguro che anche le altre forze del centrodestra riflettano sul tema e rallentino l’iter legislativo per arrivare ad una riforma equa che tenga in debito conto gli interessi di tutte le aree del Paese. Il Pd calabrese, così come quello nazionale, farà tutto quello che è possibile per bloccare un ddl che, così come formulato, non può trovare approvazione».

Ritiene che l’iter per l’autonomia differenziata possa influenzare il dibattito politico sulla modifica dei criteri di ripartizione del Fondo sanitario? Se sì, in che modo?
«Non credo si possano fare previsioni precise al riguardo. Quello che è certo che con 21 Servizi sanitari diversi si avranno ancora maggiori sperequazioni nel senso indicato prima. E, al momento, ci sarebbe invece la necessità di interventi decisi per migliorare la sanità nelle Regioni del Sud».

Come valuta la riorganizzazione in atto della sanità della Calabria? Nel contesto, l’autonomia differenziata può essere un pericolo oppure un vantaggio?
«I Lea in Calabria non migliorano nonostante da lunghi anni la sanità sia commissariata e sia aumentato il disavanzo. Una vera e propria riorganizzazione non esiste, anche perché si è costretti ad inseguire le emergenze senza avere né i fondi necessari né l’autonomia per programmare la spesa. Non è la parola “autonomia” che deve fare paura, ma il modo in cui viene declinata dal centrodestra e dalla Lega, cioè in un’ottica che vuole cristallizzare le inaccettabili differenze già in atto».

Di che cosa avrebbe bisogno il Servizio sanitario calabrese per garantire il diritto alla salute e ridurre la migrazione sanitaria?
«La Calabria deve ritornare alla gestione ordinaria e risolvere il problema del debito. I calabresi non possono essere chiamati a rispondere del debito prodotto durante la gestione dei commissari inviati da Roma. Servono poi i fondi necessari per potere avere strutture all’altezza, a cominciare da quelle dell’emergenza-urgenza. Indispensabile è poi fare una scelta decisa, complessiva, verso una sanità pubblica con investimenti in grado di risolvere il problema degli organici e degli stipendi. Sperare di ridurre la migrazione con bluff come quelli del ricorso ai medici cubani non porterà ad alcun miglioramento di tipo strutturale».

Corriere della Calabria del 20 gennaio 2023

 

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