Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 1-00038 - Pubblicato il 4 aprile 2023, nella seduta n. 53 – Nicola Irto cofirmatario

Il Senato,
premesso che:
le donne ricoprono un ruolo fondamentale nella società e il miglioramento delle loro condizioni sociali e di salute è condizione imprescindibile per migliorare le condizioni generali di vita della collettività;
nonostante le donne vivano più a lungo degli uomini e, secondo i dati ISTAT, nel nostro Paese la loro speranza di vita nel 2021 fosse di 84,7 anni contro i 80,3 anni degli uomini, la loro salute differisce in termini di patologia e di presa in carico da quella degli uomini; le donne effettuano molte più visite mediche, presentano differente metabolismo dei farmaci e rispondono in maniera differente alle terapie sia dal punto farmacocinetico che farmacodinamico, per ragioni complesse e multifattoriali che dipendono sia dal diverso assetto ormonale e metabolico (più evidente in giovane età), sia da fattori di tipo psico-sociali e di accesso alle cure. Esistono differenti risposte tra uomini e donne agli xenobiotici (inquinanti ambientali, metalli pesanti, fumo di tabacco) e nel consumo dei farmaci: nonostante vivano più a lungo, le donne si ammalano di più e hanno un consumo superiore di farmaci del 20-30 per cento rispetto agli uomini;
nel 2010 l’OMS ha delineato una strategia globale per la salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti, riconoscendone il valore strategico per il progresso e ribadendo l’importanza della prevenzione; un impegno che è stato rafforzato da una call to action del 2015;
la promozione della salute della donna interessa tutte le fasi della vita, dall’infanzia, all’adolescenza fino all’età adulta, pertanto si rende necessario garantire un’adeguata azione di prevenzione e di informazione per ogni specifica fase, prevedendo percorsi di sensibilizzazione differenti, al fine di accrescere la loro consapevolezza sulle tematiche di salute e di renderle partecipi alle campagne di screening;
il nostro Paese presenta dati allarmanti per quanto riguarda la salute della donna, soprattutto in riferimento all’aderenza agli screening che risulta tra i più bassi a livello europeo. A non sottoporsi agli screening sono principalmente le donne con un basso livello di istruzione e che appartengono a nuclei familiari più svantaggiati;
il 22 aprile è la Giornata nazionale per la salute della donna, istituita e promossa dal Ministero della salute. Tale ricorrenza costituisce un’occasione per porre al centro dell’attenzione delle Istituzioni e dell’opinione pubblica i temi legati alla salute della donna e alla sua tutela, nonché la necessità di promuovere la cultura della prevenzione;

considerato che:
la salute della donna è strettamente correlata ai determinanti socio-economici di salute, che vedono il genere femminile spesso svantaggiato in termini di occupazione e reddito;
lo svantaggio socio-economico rappresenta un fattore determinante di salute, poiché aumenta l'incidenza delle patologie e causa un minore accesso alle cure e alla prevenzione. In Italia, secondo ISTAT e “Save the Children”, più di un milione di donne povere sono madri. Nel Mezzogiorno la condizione di povertà delle madri è particolarmente accentuata. Inoltre, le madri sole presentano un rischio maggiore di povertà, con un'incidenza della povertà relativa del 15,7 per cento;
a oltre due anni dall’inizio della pandemia la prevenzione oncologica, soprattutto quella riferibile alle donne, è uno degli aspetti sanitari maggiormente trascurati, nonostante l’impatto di queste patologie;
secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istituto superiore di Sanità, la debole adesione agli screening colpisce maggiormente le regioni del sud, dove la risposta è pari al 69 per cento (con coperture minime per alcune regioni come il Molise con 63 per cento o la Campania e la Calabria con 65 per cento) rispetto all’85 per cento nelle regioni del nord e centro Italia (91 per cento nella provincia autonoma di Bolzano);
il carcinoma della mammella è la neoplasia maligna più frequente e nel 2022 si è registrato un aumento dello 0,5 per cento dei casi diagnosticati secondo i dati del Ministero della salute, in parte a causa della pandemia, che ha rallentato l’adesione agli screening. Si pensi che nella maggior parte delle regioni del Sud la metà delle donne non esegue la mammografia come da protocolli previsti dal Servizio sanitario nazionale;
le modalità di chiamata attiva agli screening previsti dal Servizio sanitario nazionale possono essere aggiornate o affiancate da altri strumenti, come il ricorso al fascicolo sanitario elettronico insieme ad ulteriori strumenti digitali, soprattutto a vantaggio delle donne più giovani;
rilevato che:
la debole adesione agli screening interessa trasversalmente tutte le patologie, compresi i tumori HPV-correlati. Secondo l’Istituto superiore di Sanità, tra il 2020 e il 2021, solo il 77 per cento delle donne fra i 25 e i 64 anni di età si è sottoposta allo screening cervicale all’interno di programmi organizzati gratuiti o per iniziativa personale. Si pensi che nel periodo 2016 - 2019 il tasso di aderenza era pari all’80 per cento;
le malattie sessualmente trasmissibili sono in aumento nei giovani e nelle donne. Alcune di esse, come la clamidia, possono avere un importante impatto sulla fertilità;
la vaccinazione anti-HPV si è dimostrata molto efficace nel prevenire nelle donne il carcinoma della cervice uterina, inducendo una protezione maggiore prima di un eventuale contagio con il virus HPV. La copertura vaccinale media per HPV nelle ragazze e` al di sotto della soglia ottimale prevista dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale (95 per cento nel 12° anno di vita). Anche a livello regionale, nessuna Regione/PP.AA. raggiunge il 95 per cento in nessuna delle coorti;
sono innumerevoli le evidenze nazionali e internazionali che mostrano come efficaci campagne di prevenzione e promozione della salute, associate ad un'alta aderenza da parte della popolazione a rischio, producano un impatto positivo non soltanto sulla salute, ma anche sui costi diretti e indiretti del Servizio sanitario nazionale;
l’importanza della prevenzione, tanto primaria quanto secondaria, è ribadita anche nel Piano oncologico nazionale 2023-2027, che sottolinea in tal senso la necessità di favorire l’ammodernamento del parco tecnologico per la diagnostica;
secondo l’Osservatorio di Confindustria, il parco diagnostico del nostro Paese risulta spesso vetusto e inadeguato, con circa 18.000 macchinari diagnostici come TAC e risonanze ormai obsoleti,

impegna il Governo:
1) a sostenere la medicina di genere come approccio necessario alla valorizzazione delle differenze di genere e come strumento di rimozione degli ostacoli diagnostici, terapeutici e di accesso ai servizi sanitari;
2) a promuovere attività di sensibilizzazione e divulgazione sull’importanza di sottoporsi agli screening, coinvolgendo in prima linea i medici di medicina generale, i ginecologi, i consultori, i dipartimenti di prevenzione, assicurandosi che tali iniziative siano promosse in modo adeguato e capillare;
3) ad incrementare l’attività di comunicazione e di informazione da parte delle autorità sanitarie sulle modalità di prevenzione primaria e secondaria, rivolte a luoghi di aggregazione come scuole, università e luoghi di lavoro;
4) ad adottare le iniziative necessarie a rimuovere gli squilibri sanitari e sociali, al fine di ridurre il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud e di garantire a tutta la popolazione femminile l’accesso ai servizi sanitari e alle campagne di prevenzione, in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale;
5) ad ampliare il target delle campagne di screening, con particolare attenzione alla diagnosi precoce del tumore della mammella, uniformando su tutto il territorio nazionale il progetto sperimentale avviato già da alcune regioni (Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia) che estende lo screening gratuito a tutte le donne tra i 45 e i 74 anni, nonché a promuovere campagne informative volte a incentivare le donne a sottoporsi a visite senologiche ed ecografie già a partire dai 25-30 anni;
6) ad individuare strumenti innovativi per la chiamata attiva delle prestazioni di screening erogate gratuitamente, prevedendo altri mezzi di comunicazione oltre alla tradizionale lettera “a casa” differenziate in base alla fascia d'età e alla digital literacy;
7) ad organizzare iniziative e campagne di screening gratuiti allo scopo di recuperare le prestazioni di prevenzione perse a causa della pandemia;
8) a promuovere la vaccinazione per HPV nelle fasce d'età raccomandate, sviluppando iniziative mirate alla popolazione giovane, target del vaccino, valutando la gratuità del vaccino anche per le fasce d'età non soggette a chiamata attiva o a piani di recupero;
9) a stanziare le risorse necessarie per avviare il rinnovo della strumentazione diagnostica, elemento imprescindibile per la corretta diagnosi precoce delle patologie, avviando ove necessario una ricognizione degli strumenti del parco diagnostico;
10) a celebrare la Giornata nazionale della salute della donna, il 22 aprile, organizzando iniziative finalizzate a promuovere la salute globale del genere.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00323 - Pubblicato il 4 aprile 2023, nella seduta n. 53 - Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro della giustizia

Premesso che:

la crisi epidemiologica da COVID-19 e la conseguente necessità di incentivare le forme di comunicazione a distanza rispetto ai colloqui in presenza nonché la necessità di consentire più frequenti contatti tra le persone detenute e l’ambiente esterno hanno portato all’introduzione di significative novità normative con riferimento ai colloqui e alle telefonate tra detenuti e familiari;

in particolare, l’articolo 221, comma 10, del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 34, ha previsto una disciplina particolare dei colloqui “a distanza” tra le persone detenute e l’esterno. Nel dettaglio, è stato stabilito che, su richiesta dell’interessato o quando la misura risulti indispensabile per la salvaguardia della salute, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati possano essere svolti a distanza mediante, ove possibile, le apparecchiature e i collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria o mediante corrispondenza telefonica, la quale, negli stessi casi, può essere autorizzata oltre i limiti stabiliti dall’articolo 39, comma 2, del regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230;

la misura è stata nel corso degli anni successivi ripetutamente prorogata visto il permanere dello stato di crisi, creando una costanza di rapporti e contatti con i familiari inedita e dagli indubbi effetti benefici per i detenuti;

i colloqui e le telefonate svolgono, infatti, generalmente una funzione fondamentale sul piano trattamentale, vista la conservazione delle relazioni sociali e affettive nel corso dell’esecuzione penale, uno strumento indispensabile dunque per garantire il benessere psicologico delle persone detenute e internate, al fine di attenuare quel senso di lontananza dalla famiglia e dal mondo delle relazioni affettive che è alla base delle manifestazioni di disagio psichico che, non di rado, possono sfociare in eventi drammatici;

tuttavia, nonostante il positivo riscontro della misura adottata, il decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, recante disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, all’articolo 16, ha disposto la cessazione della previsione alla data del 31 dicembre 2022 e nelle carceri italiane i colloqui telefonici sono tornati alla precedente disciplina;

considerato che:

a seguito della cessazione della previsione, nelle carceri italiane si è tornati ai tempi antecedenti alla crisi pandemica, soprattutto per quanto riguarda i colloqui telefonici. I detenuti potranno infatti chiamare i familiari per soli 10 minuti e una sola volta a settimana e non godranno più, quindi, della possibilità di effettuare chiamate giornaliere con i propri familiari;

nella circolare inviata dal DAP inviata, in data 26 settembre 2022, ai direttori degli istituti penitenziari si legge che le diverse disposizioni di legge già vigenti “attribuiscono alle Direzioni di istituto, nei casi in cui viene in rilievo la loro competenza, un’ampia discrezionalità nell’autorizzare le indicate forme di comunicazione tra le persone detenute o internate e i loro riferimenti socio-familiari. Sarà Loro compito esercitare tale discrezionalità nel contesto dell’assoluta necessità che dette autorizzazioni vengano accordate in maniera consapevolmente ampia (ovvero oltre i limiti ordinari stabiliti dai citati articoli 37 e 39, regolamento di esecuzione), in specie in presenza, oltre che delle situazioni già tipizzate dalle norme richiamate, di difficoltà per i visitatori a raggiungere gli istituti in ragione delle distanze dal luogo di residenza o di concorrenti impegni lavorativi o familiari”;

in altri Paesi europei la disciplina delle comunicazioni tra detenuti e familiari è improntata ad una maggiore elasticità, consentendo un maggior numero di colloqui telefonici nel corso della settimana e spesso anche telefonate giornaliere quale misura strutturale;

la cessazione di una previsione dall’indubbio impatto positivo nel trattamento penale dei detenuti appare ingiustificata e finanche punitiva;

con un emendamento del relatore, sen. Mirabelli, è stato inserito nel decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, il nuovo articolo 2-quinquies che stabilisce, ad eccezione dei detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme in materia di ordinamento penitenziario, la possibilità di concedere stabilmente l’autorizzazione per i colloqui telefonici oltre i limiti stabiliti dal comma 2 dell’articolo 39, in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, nonché in caso di trasferimento del detenuto e, soprattutto, che essa possa essere disposta, addirittura una volta al giorno, ove la corrispondenza telefonica si svolga con figli minori o figli maggiorenni portatori di una disabilità grave oppure con il coniuge, con l’altra parte dell’unione civile, con persona stabilmente convivente o legata all’internato da relazione stabilmente affettiva, con il padre, la madre, il fratello o la sorella del condannato qualora essi siano ricoverati presso strutture ospedaliere,

si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno consentire attraverso proprie iniziative il ripristino delle disposizioni in materia di colloqui telefonici dei detenuti adottate nel corso della crisi pandemica, anche valutando una loro messa a regime, alla luce delle positive ricadute che esse hanno avuto nel corso degli ultimi due anni.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00318 - Pubblicato il 23 marzo 2023, nella seduta n. 52 - Nicola Irto cofirmatario

Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti.
Premesso che:

l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 14 gennaio 2023, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 marzo 2023, n. 23 (disposizioni urgenti in materia di trasparenza dei prezzi dei carburanti e di rafforzamento dei poteri di controllo del Garante per la sorveglianza dei prezzi, nonché di sostegno per la fruizione del trasporto pubblico), istituisce un fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali finalizzato a riconoscere un buono da utilizzare per l'acquisto di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale ovvero per i servizi di trasporto ferroviario nazionale in favore delle persone fisiche che nell'anno 2022 hanno conseguito un reddito complessivo non superiore a 20.000 euro;

tale comma prevede che il buono possa essere impiegato per gli acquisti per l'anno 2023 a decorrere dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che definisce le modalità di presentazione delle domande per il rilascio del buono;

il comma 2 stabilisce che il decreto avrebbe dovuto essere approvato entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, vale a dire entro lo scorso 14 febbraio, ma non risulta approvato a distanza di oltre un mese;

già tramite la simile interrogazione 3-00248, pubblicata il 23 febbraio, il Governo era stato sollecitato all’adozione del decreto;

tale ritardo appare incomprensibile, in quanto il buono introdotto dal decreto-legge altro non è che la riproposizione, seppur con qualche modifica, del bonus trasporti introdotto dall'articolo 9 del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 (misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industria);

considerato che:

l'adozione tempestiva del decreto attuativo è fondamentale per consentire a tutti i possibili beneficiari di recarsi al proprio luogo di lavoro e di studio senza gravare sulle proprie fragili condizioni economiche;

l’assenza del decreto da più di un mese dalla scadenza ha già costretto molti potenziali beneficiari ad acquistare a proprie spese biglietti e abbonamenti, tradendo lo spirito della norma, che va ad aiutare le fasce più deboli della popolazione,

si chiede di sapere:

quali siano le ragioni che hanno impedito la tempestiva pubblicazione del decreto;

se i Ministri in indirizzo intendano chiarire quali siano i tempi previsti per l'emanazione, al fine di consentire l'erogazione del buono trasporti anche per l'anno 2023;

se non ritengano necessario prevedere forme di compensazione rivolte a chi ha acquistato abbonamenti a proprie spese nei primi mesi del 2023 pur avendo diritto al buono.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00297 - Pubblicato il 21 marzo 2023, nella seduta n. 50 - Nicola Irto cofirmatario

Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali e per la famiglia, la natalità e le pari opportunità. -

Premesso che:
il piano nazionale di ripresa e resilienza, oltre alla finalità di sostenere la ripresa e realizzare una piena transizione ecologica e digitale, ha quale obiettivo il recupero dei ritardi che penalizzano storicamente il Paese attraverso la definizione di tre priorità trasversali, vale a dire donne, giovani e differenze territoriali e prevede l’impegno ad assicurare che l’intero meccanismo di recovery possa determinare un impatto significativo e prevedibile sulla crescita dell’occupazione femminile e giovanile;
il PNRR prevede esplicitamente, a pagina 36, l’introduzione di disposizioni dirette a condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di giovani e donne anticipando che “con specifici interventi normativi, sarà previsto l’inserimento nei bandi gara, tenuto anche conto della tipologia di intervento, di specifiche clausole con cui saranno indicati, come requisiti necessari e, in aggiunta, premiali dell’offerta, criteri orientati verso tali obiettivi”. Il dispositivo di condizionalità prevede, in sintesi, un vincolo per gli operatori economici aggiudicatari di bandi di fondi PNRR e del piano nazionale degli investimenti complementari (PNC) che impone di destinare ai giovani under 36 e alle donne senza limiti di età almeno il 30 per cento dell’occupazione aggiuntiva creata in esecuzione del contratto per le attività essenziali connesse;
in attuazione di tali obiettivi, l’articolo 47 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, al comma 4 stabilisce che le stazioni appaltanti sono tenute a prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani, fino ai 36 anni, e donne, prevedendo altresì nei successivi commi misure premiali in favore degli operatori che adempiono a tale previsione ovvero l’applicazione di penali in caso di inadempienza;
al comma 8, prevede che con linee guida del Presidente del Consiglio dei ministri ovvero dei Ministri o delle autorità delegati per le pari opportunità e della famiglia e per le politiche giovanili e il servizio civile universale, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro per le disabilità, siano definiti le modalità e i criteri applicativi delle misure previste per le pari opportunità e l’inclusione lavorativa nei contratti pubblici relativi al PNRR e al PNC, nonché indicate le misure premiali e predisposti i modelli di clausole da inserire nei bandi di gara differenziati per settore, tipologia e natura del contratto o del progetto;
le stazioni appaltanti, in relazione ai progetti del PNRR, hanno già predisposto numerosi bandi di gara, avvisi ed inviti, nei quali non sono stati previsti, di fatto, i requisiti premiali previsti dal citato articolo 47, orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani. A quanto si apprende da un recente articolo pubblicato dal quotidiano “la Repubblica”, che cita dati ANAC non ancora pubblicati, circa il 70 per cento degli oltre 48.000 affidamenti registrati da luglio a oggi prevedono una deroga totale alle clausole di condizionalità, previste dal PNRR, che impongono di destinare ai giovani di età inferiore ai 36 anni e alle donne almeno il 30 per cento delle assunzioni necessarie a realizzare l’affidamento, mentre 1.343 affidamenti hanno usufruito di una deroga parziale delle suddette clausole. Su tali attendibili dati dell’ANAC, risulta inoltre una grave mancanza di trasparenza da parte dei portali ufficiali sul monitoraggio dell’attuazione del PNRR, a partire dalla piattaforma governativa “Italia domani”;
le linee guida di cui all’articolo 47, comma 8, non risultano ancora adottate, di fatto confermando l’orientamento del Governo alla deroga permanente all’applicazione della clausola di condizionalità per infondati timori e presunti rischi di complicazione delle procedure o incremento dei costi dei progetti;
ad aggravare la situazione si rammenta, altresì, il contenuto del codice dei contratti pubblici predisposto dal Governo, la cui pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dovrà avvenire entro il 31 marzo 2023. In tale importante riforma legata al PNRR è emersa, durante l’esame dello schema di decreto legislativo nelle Commissioni parlamentari, la mancata inclusione della parità di genere tra i principi generali del codice, atteggiamento confermato anche nel resto del provvedimento. La parità di genere è stata inserita nello schema soltanto nell’allegato II.3, nell'ambito dei soggetti con disabilità o svantaggiati. Si tratta di un preoccupante arretramento rispetto alla previgente normativa, confermato dal fatto che le disposizioni relative alla certificazione della parità di genere di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (codice delle pari opportunità tra uomo e donna), sono stati traslati dalla normativa di rango primario agli allegati al nuovo codice, ragion per cui non vi è alcuna garanzia che la questione possa trovare adeguata copertura nei regolamenti da emanare successivamente,

si chiede di sapere:
quali iniziative urgenti si intenda adottare al fine di salvaguardare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei divari di genere e generazionali esplicitamente previsti dal PNRR, anche al fine di evitare il rischio di una sospensione o di una riduzione degli importi delle rate semestrali da parte della Commissione europea;
quali iniziative si intenda adottare per dare piena ed immediata attuazione ai contenuti dell’articolo 47 del decreto-legge n. 77 del 2021, e affinché le stazioni appaltanti prevedano nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani;
se si intenda, altresì, chiarire la tempistica prevista per l’adozione delle linee guida di cui all’articolo 47, comma 8, del decreto-legge n. 77 del 2021;
se si intenda operare affinché sia rapidamente garantita la massima trasparenza sui dati relativi all’attuazione del PNRR, in particolare relativamente al raggiungimento degli obiettivi previsti dalle priorità trasversali;
se si intenda prevedere interventi finalizzati a garantire l’inserimento della parità di genere tra i principi e nell’articolato del nuovo codice dei contratti pubblici, non solo come condizionalità ma come premialità, evitando un preoccupante ed inopportuno arretramento rispetto alla previgente normativa.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 1-00033 - Pubblicato il 21 marzo 2023, nella seduta n. 50 Nicola Irto cofirmatario

Il Senato,

premesso che:

secondo i dati della Commissione europea gli edifici sono responsabili a livello UE di circa il 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra legate al consumo di energia. I dati sono riferiti al complesso degli edifici che, secondo la relazione sullo Stato dell'Unione dell'energia del 2021, è per il 65 per cento ad uso residenziale. Il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti e l'acqua calda per uso domestico rappresentano l'80 per cento dell'energia consumata dalle famiglie. Il 35 per cento del parco immobiliare UE ha più di 50 anni e quasi il 75 per cento è inefficiente dal punto di vista energetico, mentre il tasso di ristrutturazione annua è di circa l'1 per cento;

il 15 dicembre 2021 la Commissione ha presentato una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, che rientra nelle iniziative del pacchetto "Fit for 55” per allineare la normativa dell'Unione in materia di clima ed energia all'obiettivo della riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), nella prospettiva del conseguimento della neutralità climatica entro il 2050;

tale revisione è strettamente collegata con le restanti iniziative del "Fit for 55", ovvero la revisione delle direttive sulla promozione dell'energia da fonti rinnovabili (“renewable energy directive”, RED II) e sull'efficienza energetica (“energy efficiency directive”, EED). In estrema sintesi, la proposta di revisione della Commissione mira a far sì che tutti gli edifici nuovi siano a emissioni zero entro il 2030 e gli edifici esistenti lo divengano entro il 2050. La proposta originaria è oggetto di negoziato a livello europeo. Il Consiglio del 25 ottobre 2022 ha raggiunto un orientamento generale sulla proposta della Commissione convenendo che per quanto riguarda i soli edifici nuovi, dal 2028, quelli di proprietà di enti pubblici dovrebbero essere a emissioni zero, e tutti gli altri edifici nuovi dal 2030;

si pone in evidenza e appare condivisibile la possibilità prevista per gli Stati membri di applicare delle eccezioni per alcuni edifici, tra cui gli edifici storici, i luoghi di culto e gli edifici utilizzati a scopi di difesa. Per gli edifici residenziali esistenti, gli Stati membri hanno convenuto di fissare norme minime di prestazione energetica sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del loro parco immobiliare per renderlo a emissioni zero entro il 2050, come indicato nei loro piani nazionali di ristrutturazione edilizia;

come dichiarato in una lettera al “Il Sole-24ore” del 19 gennaio 2023, il ministro Pichetto Fratin, presente al Consiglio dello scorso 25 ottobre, ha quindi confermato che non è previsto alcun obbligo di ristrutturazione degli edifici esistenti al 2030, non sono previsti obblighi per i proprietari dato che la realizzazione degli obiettivi di ristrutturazione è in capo agli Stati membri, non si prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati. Il Ministro ha quindi ribadito che si tratta di una misura che consente ampi margini di elasticità, che declina un impegno già assunto dal nostro Paese, la neutralità carbonica al 2050, e che tiene conto delle peculiarità del nostro Paese indicando, per gli edifici esistenti, un percorso a tappe da qui ai prossimi 27 anni;

gli Stati membri hanno poi convenuto di fissare requisiti che garantiscano che tutti i nuovi edifici siano progettati per ottimizzare il loro potenziale di produzione di energia solare e hanno concordato prescrizioni finalizzate a mettere a disposizione infrastrutture per la mobilità sostenibile, tra cui punti di ricarica per automobili e biciclette elettriche all'interno o in prossimità degli edifici, cablaggio per infrastrutture future e parcheggi per biciclette. Hanno inoltre introdotto passaporti di ristrutturazione volontari per gli edifici. Gli Stati membri hanno convenuto di pubblicare piani nazionali di ristrutturazione edilizia contenenti una tabella di marcia con obiettivi nazionali per il 2030, il 2040 e il 2050 per quanto riguarda il tasso annuo di ristrutturazione energetica, il consumo di energia primaria e finale del parco immobiliare nazionale e le relative riduzioni delle emissioni operative di gas a effetto serra. I primi piani saranno pubblicati entro il 30 giugno 2026 e successivamente ogni 5 anni;

il Parlamento europeo, in data 13 marzo 2023, ha approvato la suddetta direttiva sull’efficientamento energetico. Per il conseguimento di tali più ambiziosi obiettivi di ristrutturazione del parco edilizio europeo gli Stati membri potranno prevedere incentivi finanziari di varia natura anche a valere sulle risorse disponibili stabilite a livello della UE, quali tra l'altro il fondo sociale per il clima, il dispositivo per la ripresa e la resilienza e i fondi della politica di coesione. Nella prospettiva della Commissione, gli investimenti nella riqualificazione energetica dovrebbero costituire anche un'opportunità per l'economia e in particolare per il settore edile, che rappresenta circa il 9 per cento del PIL europeo ed impiega 25 milioni di posti di lavoro, in circa 5 milioni di imprese, in prevalenza PMI;

per quanto attiene al nostro Paese, il CRESME, nel XXXIII rapporto congiunturale sul mercato edilizio, nel giudicare positivamente gli effetti dei bonus edilizi dal lato dell'impatto sull'economia, chiarisce che tra il 2020 e il 2022 essi hanno avuto un peso sul PIL pari al 13,9 per cento (il più alto in Europa) e che il solo superbonus ha contribuito con un 22 per cento in più alla crescita totale del PIL. Questo si è tradotto in 460.000 occupati in più nel 2022 rispetto al 2019;

il parco immobiliare italiano, come risulta dalla strategia nazionale per la riqualificazione energetica, è costituito per la maggior parte da edifici ad uso residenziale (12,42 milioni) aventi più di 45 anni (oltre il 65 per cento) e in prevalenza rientranti nelle classi energetiche F e G (rispettivamente il 25 e il 37,3 per cento degli immobili censiti dal sistema informativo sugli attestati di prestazione energetica nel periodo 2016-2019, sulla base delle elaborazioni dell'ENEA). Secondo l’ENEA un’avanzata riqualificazione del parco edilizio che non rientra in interventi di ristrutturazione integrale pone attualmente ancora non poche criticità, anche e soprattutto in quei contesti fortemente urbanizzati sottoposti a vincoli, anche dal punto di vista paesaggistico, storico e ambientale;

tuttavia il nostro Paese non è all’anno zero: per contrastare le difficoltà appena descritte, tra i meccanismi di incentivi implementati, il rapporto annuale efficienza energetica dell’ENEA richiama il superbonus. In particolare, si legge che al 30 settembre del 2022, il numero degli interventi incentivati raggiunge quota 307.191 e un ammontare di investimenti ammessi a detrazione di oltre 51 miliardi di euro (35,3 per lavori già terminati) Il risparmio energetico conseguito risulta pari a 9.410,5 gigawattora all'anno. Per quanto riguarda l’ecobonus, si legge sempre nel rapporto, nel 2021 si è assistito ad un notevole incremento degli interventi agevolati attraverso tale strumento, il cui numero risulta più che doppio rispetto al 2020, superando la soglia del milione (1,04 milioni di euro). Questo risultato spinge il numero di interventi effettuati dal 2014 a 3,7 milioni di euro. Dal 2007, anno di avvio della misura, il numero di interventi incentivati dall’ecobonus è di circa 5,5 milioni. In termini di investimenti, nel 2021 sono stati mobilitati circa 7,5 miliardi di euro. I risparmi energetici ottenuti grazie agli interventi effettuati nel 2021 ammontano ad un totale di 2.652 gigawattora all’anno (95 per cento in più rispetto al 1362,14 del 2020) portando a 11.152 gigawattora all’anno il contributo della misura dal 2014 e a circa 21.700 dall’avvio;

il centro studi CNI stima che negli ultimi due anni sono stati ristrutturati dal punto di vista energetico, attraverso il superbonus 110 per cento, 86 milioni di metri quadrati per 359.440 edifici già completati e ulteriori 122.000 edifici in fase di completamento per un totale di quasi 482.000 edifici che hanno effettuato il doppio salto di classe energetica;

i dati riportati finora indicano in maniera non discutibile che soprattutto a partire dal 2020, nella filiera dell'edilizia, sono stati prodotti notevoli effetti espansivi in termini di produzione di reddito e di occupazione, con effetti di innovazione, di riorganizzazione e di riqualificazione della filiera stessa e dei servizi di ingegneria e architettura, di riqualificazione del patrimonio edilizio residenziale e di risanamento anche interno delle abitazioni con un sensibile abbattimento dell'inquinamento indoor e dei relativi costi sociali, diretti e indiretti, e con l’acquisizione da parte dell’intero settore di un know how specifico per tutto quello che riguarda l’efficientamento energetico, la messa in sicurezza antisismica, la produzione di energia e calore in modalità ecosostenibile;

il superbonus e gli altri incentivi fiscali per la riqualificazione edilizia, antisismica ed energetica possono dunque rappresentare un utile modello di riferimento da considerare anche su scala più elevata per valutarne l'applicabilità, con i necessari adeguamenti, ad interventi più ampi di rigenerazione urbana, nella misura in cui forme di incentivazione possano rivelarsi utili a favorire un maggiore coinvolgimento di capitali privati nelle politiche di trasformazione urbana finalizzate alla transizione ecologica delle città e, in particolare, delle grandi aree metropolitane;

è evidente che il proseguimento degli interventi per l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza antisismica del patrimonio immobiliare nazionale possono costituire, infine, una vera opportunità per il sistema Italia di migliorare le prestazioni energetiche degli immobili e di rinnovare un patrimonio immobiliare avente caratteristiche uniche al mondo attraverso un’ulteriore azione di politica industriale che favorisca lo sviluppo di materiali e processi innovativi, affidando ad ENEA il compito di effettuare direttamente ovvero di coordinare, a livello nazionale, lo studio e l'aggiornamento, in accordo con l'evoluzione tecnologica, delle tecniche e dei materiali utilizzati in particolare per quanto riguarda il processo di efficientamento energetico degli edifici e la ricerca di nuove soluzioni per installare il fotovoltaico anche nelle città storiche che ospitano gran parte del patrimonio immobiliare italiano, anche con l'introduzione, per un periodo di tempo in forma sperimentale, di strumenti di incentivazione, anche di natura non fiscale, che, in coerenza con la logica sottesa agli incentivi già vigenti, mirino a promuovere operazioni di rigenerazione urbana di gruppi di edifici, aree dismesse e lotti interclusi, con particolare riferimento agli interventi di sostituzione edilizia, garantendo un effetto moltiplicativo in termini di abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni, maggiore sostenibilità urbana, ambientale e sociale e concorso agli obiettivi di contrasto alla crisi climatica;

il successo di questa misura è determinato principalmente dalla possibilità di cedere il credito, possibilità che ha reso accessibile a tutti la riqualificazione del proprio immobile;

anche alla luce del virtuoso percorso già avviato da circa un decennio, sono senz’altro condivisibili gli obiettivi generali della direttiva UE che mira a ridurre le emissioni di gas a effetto serra degli edifici, ad aumentare il tasso e la profondità delle ristrutturazioni edilizie, a migliorare le informazioni sul rendimento energetico degli edifici e a garantire che tutti gli edifici siano in linea con gli obiettivi climatici dell’Unione. Inoltre, la direttiva va nella direzione di una maggiore garanzia di sicurezza energetica e contribuirà a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e a diminuire la domanda di gas naturale;

avere edifici più efficienti significa anche rendere le famiglie e le imprese più resistenti agli shock dei prezzi dell’energia la cui volatilità potrà essere sensibilmente ridotta;

occorre però prestare particolare attenzione alla differente classificazione, a livello di singolo Stato dell’Unione, delle nuove classi energetiche (energy performance contract). Come evidenziato dalla BCE, stabilire criteri comuni per le classi migliori e peggiori per ogni Stato membro, senza armonizzare le definizioni e metodologie, rischia di ridurre la comparabilità tra gli Stati con riferimento ai possibili squilibri tra le banche europee;

appare inoltre fondamentale perseguire e continuare la riqualificazione energetica anche del patrimonio immobiliare pubblico, con particolare riferimento agli istituti scolastici, alle strutture sanitarie, ai tribunali e alle carceri, garantendo la continuità degli strumenti di finanziamento degli interventi, quali il conto termico, e prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche. Occorre inoltre prevedere la proroga della misura del superbonus per gli edifici adibiti ad edilizia residenziale pubblica, che spesso coincidono con quelli abitati da famiglie in condizioni di povertà energetica,

impegna il Governo:

1) a confermare presso le competenti sedi europee l’impegno del Paese al raggiungimento degli obiettivi stabiliti a livello nazionale in vista dell’obiettivo della riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 e della neutralità climatica nel 2050 e ad adottare, contestualmente, le opportune iniziative negoziali nelle competenti sedi europee volte a garantire che il testo finale della direttiva assicuri al nostro Paese la necessaria flessibilità, anche temporale, in fase di attuazione in ragione della peculiarità del patrimonio edilizio nazionale, e confermi la possibilità di escludere dall’ambito di applicazione della citata direttiva taluni edifici, quali gli edifici protetti, quelli di valore architettonico o storico, i luoghi di culto e attività di culto e gli edifici utilizzati a scopi di difesa e a prevedere una metodologia più armonizzata per la definizione delle nuove classi EPC, anche al fine di evitare impatti negativi sulle esposizioni immobiliari degli istituti di credito;

2) in vista dell’adozione della nuova direttiva, ad intervenire in sede di Unione europea affinché gli ambiziosi obiettivi di efficientamento energetico siano accompagnati da adeguati strumenti finanziari stanziati a livello europeo, un vero e proprio nuovo piano industriale green, affinché i costi degli interventi non ricadano sulle famiglie, in particolare modo sulle fasce economicamente più deboli, e sulle imprese;

3) a garantire la continuità, il rafforzamento e una maggiore efficacia degli strumenti di finanziamento degli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico del Paese, prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche e prevedendo la proroga della misura del superbonus per gli edifici adibiti ad edilizia residenziale pubblica; a garantire la prosecuzione degli interventi di riqualificazione energetica finanziati dagli strumenti vigenti rimuovendo gli ostacoli che attualmente bloccano la circolazione dei crediti fiscali anche mediante l’eventuale coinvolgimento di CDP S.p.A.;

4) a valutare le azioni necessarie al raggiungimento dei nuovi obiettivi e la predisposizione del piano nazionale di ristrutturazione degli immobili anche attraverso il monitoraggio nel corso degli anni dei dati relativi al numero di immobili che hanno ottenuto un miglioramento della classe energetica, anche beneficiando delle detrazioni previste a tal fine, tra cui il superbonus, che presenta come requisito il conseguimento di due classi energetiche più elevate e all’esito dello svolgimento di indagini conoscitive da parte del Parlamento in materia;

5) a prevedere un riordino della legislazione vigente in materia di incentivi fiscali edilizi, anche mediante la stesura di un testo unico, che razionalizzi, stabilizzi, metta a sistema e preveda che tali strumenti siano commisurati in modo proporzionale agli interventi caratterizzati da maggiore efficacia dal punto di vista dell’efficientamento energetico, al fine di consentire un orizzonte temporale di lungo termine per gli investimenti di famiglie e imprese.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00295 - Pubblicato il 21 marzo 2023, nella seduta n. 50 - Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro dell'interno.

Premesso che:
la Giunta del Comune di Grosseto, in data 30 gennaio 2023, ha avviato il procedimento finalizzato a una revisione della toponomastica cittadina, consistente nel cambio di denominazione di due strade trasverse di via della Pacificazione nazionale, da intitolare rispettivamente a Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante;
tale decisione ha suscitato un acceso dibattito in seno alla comunità cittadina; innanzitutto, perché la decisione della Giunta, al riparo di un intento asseritamente pacificatorio, accomuna due figure profondamente diverse tra loro e che un assai diverso ruolo hanno svolto nelle vicende che hanno condotto alla fondazione della Repubblica e all’approvazione della Costituzione;
da un lato Enrico Berlinguer, che lottò per il ritorno alla democrazia e, nel corso di tutta la sua attività politica e fino alla morte, non ha mai risparmiato le sue energie per contribuire alla difesa della Costituzione, alla sua piena attuazione e al consolidamento della democrazia nel nostro Paese;
dall’altro, Giorgio Almirante che, da tutt’altra posizione, è stato dapprima coinvolto negli ultimi tragici anni di azione del regime fascista, ricoprendo addirittura il ruolo di segretario di redazione della rivista “La difesa della razza” dal 1938 al 1942 e firmando articoli dal tenore inequivocabilmente razzista tra cui quello, tristemente noto, del 5 maggio 1942 nel quale, tra l’altro, scrisse che: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza”;
successivamente, ha svolto un ruolo di primo piano nella Repubblica sociale italiana, sia nella Guardia nazionale repubblicana sia come capo di gabinetto del Ministro della cultura popolare Fernando Mezzasoma; in tale qualità, tra l’altro, firmò un manifesto, affisso nella primavera 1944 in molti comuni toscani, nel quale si minacciava l’applicazione della pena di morte per tutti coloro che, tra i soldati ritenuti renitenti e disertori dopo l’8 settembre 1943 e tra i partigiani, rifiutassero di consegnarsi alle truppe nazifasciste entro il 25 maggio 1944; proprio nel clima generale prodotto anche da tale manifesto, avvennero anche nel grossetano, tra la primavera e l’estate 1944, sanguinose stragi di civili, tra cui quella della Niccioleta;
dopo l’avvento della Repubblica, sia prima che durante la propria attività quale segretario del Movimento sociale italiano, Giorgio Almirante ha sempre ribadito la linea politica del partito cui apparteneva, racchiusa nel motto “Non rinnegare, non restaurare”, dunque rifiutando di assumere qualsivoglia posizione critica nei confronti del regime fascista;
proprio per questo, la comunità grossetana ha reagito con sdegno e in modo trasversale alla decisione della Giunta comunale in un dibattito che, nelle ultime settimane, ha visto coinvolti associazioni, esponenti della società civile, ex amministratori e semplici cittadine e cittadini;
in particolare, il comitato provinciale “Norma Parenti” dell’ANPI e le sezioni dell’ANPI di Grosseto “Carla Nespolo” ed “Elvio Palazzoli” hanno sottolineato che “Giorgio Almirante è stato un fascista al servizio dei nazisti che occuparono l’Italia, un ferale connubio che ha causato tanti lutti anche nella nostra provincia”, invocando il ricordo e il rispetto delle vittime delle stragi nazifasciste avvenute anche nel grossetano;
come riportato da “Il Tirreno” in data 17 marzo 2023, anche l’ex sindaco di Grosseto, Alessandro Antichi, che fu a capo di una Giunta di centrodestra, ha dichiarato la propria contrarietà all’intitolazione;
considerato che l’intitolazione di una via a Giorgio Almirante non ha nulla a che vedere con un intento di pacificazione ma anzi, soprattutto a Grosseto e nel grossetano, implica la riapertura, innecessaria e grave, di ferite che affondano nella memoria dei tragici fatti della primavera 1944, cui Almirante non fu estraneo; d’altra parte, la pacificazione nazionale è avvenuta il 25 aprile 1945 con la liberazione dell’Italia dal nazifascismo e, successivamente, con l’approvazione della Costituzione repubblicana che nuovamente riunito la comunità nazionale attorno ai valori della libertà, dell’eguaglianza e della democrazia;

considerato altresì che:
ai sensi dell’articolo 1 della legge 23 giugno 1927, n. 1188, “Nessuna denominazione può essere attribuita a nuove strade e piazze pubbliche senza l’autorizzazione del prefetto”;
secondo quanto riportato in data 16 marzo 2023 dai locali organi di stampa, tale autorizzazione non sarebbe ancora pervenuta in quanto, più in generale, la Giunta comunale non avrebbe nemmeno inoltrato l’apposita istanza, allegando alla medesima la relativa delibera di Giunta e la planimetria dell’area interessata;
esiste ancora un margine per fare in modo che, grazie a un'assunzione di responsabilità da parte del prefetto, sia risparmiata a Grosseto l’onta di una così grave offesa alla memoria,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intenda porre in atto, anche attraverso le opportune interlocuzioni con la locale Prefettura, per evitare che si dia seguito alla decisione della Giunta comunale di Grosseto.

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Legislatura 19ª - Disegno di legge n. 603 Disposizioni in favore delle persone affette da fibromialgia COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 16 MARZO 2023 – Nicola Irto cofirmatario

Il presente disegno di legge riprende sostanzialmente il testo dell'atto senato n. 299, a prima firma della senatrice Boldrini, presentato nella XVIII legislatura e adottato come testo base dalla Commissione sanità del Senato.
La sindrome fibromialgica, malattia neurologica riconosciuta dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dal 1992 con la cosiddetta Dichiarazione di Copenhagen e inclusa nella decima revisione dell'International statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10, codice M79-7), colpisce in Italia, secondo lo studio Prevalence of fibromyalgia: a survey in five european countries, circa 2-3 milioni di persone, corrispondenti al 3-4 per cento dell'intera popolazione; sei volte su sette la patologia riguarda donne in età giovanile.
La fibromialgia è una sindrome dolorosa cronica da sensibilizzazione centrale caratterizzata dalla disfunzione dei circuiti neurologici preposti all'elaborazione degli impulsi provenienti dalle afferenze del dolore (nocicettive) dalla periferia al cervello.
La predetta patologia si manifesta, secondo i principali criteri diagnostici, con dolore muscolo-scheletrico diffuso e con la presenza di specifiche aree dolorose alla digito-pressione (tender points), l'affaticamento costante, una rigidità generalizzata, un sonno non ristoratore, il mal di testa, la vescica iperattiva, la dismenorrea, l'ipersensibilità al freddo, il cosiddetto fenomeno di Raynoud, la sindrome delle gambe senza riposo, l'intorpidimento, il formicolio atipico, il prurito, la sensazione di pressione e di stringimento, l'allodinia, una scarsa resistenza all'esercizio fisico e una generale sensazione di debolezza. Sovente si manifestano anche altri sintomi come l'astenia, l'insonnia e risvegli notturni, disturbi cognitivi (confusione mentale, alterazione della memoria e della concentrazione), dolori addominali e colon irritabile (60 per cento), dispepsia, intolleranza al freddo o al caldo, secchezza delle mucose, sintomi urinari e genitali.
Anche soltanto uno di questi sintomi spesso limita fortemente la persona che ne soffre nell'eseguire attività normali e ha riflessi nell'inserimento nel mondo del lavoro, nella capacità lavorativa e nelle stesse relazioni sociali.
Lo stress, l'ansia e la depressione hanno una netta correlazione con questa patologia e molti pazienti fibromialgici presentano sintomi poliformi associabili a malattie autoimmuni come la tiroidite di Hashimoto, il lupus eritematoso sistemico, l'artrite reumatoide e la sindrome di Sjoegren e, uno su tre, positività agli anticorpi anti nucleo.
Nonostante la fibromialgia sia una condizione grave che colpisce un elevato numero di persone e pur essendo, per l'ampio spettro di sintomatologie da considerare, di interesse multidisciplinare, essa non è ancora riconosciuta come malattia invalidante a tutti gli effetti. Appare pertanto evidente l'urgenza di un approccio sistemico che consideri tale patologia nel suo insieme e non come sommatoria di tanti sintomi.
La subdola eterogeneità della fibromialgia comporta inoltre il fatto che le persone che ne sono affette non riescono a ricevere in tempi ragionevoli cure adeguate. Il mancato riconoscimento della causa del dolore e delle conseguenze che questo provoca nella persona sono i principali motivi di isolamento e sono causa di ulteriore sofferenza.
La difficoltà diagnostica dà infatti spesso il via a un percorso nosocomiale che si protrae per anni, un costoso calvario pieno di sofferenza e contraddistinto da crescente disabilità.
Anche se non esiste una cura specifica, essendo una malattia cronica la fibromialgia richiede trattamenti multidisciplinari a lungo termine, farmacologici convenzionali e non convenzionali, ossigenoterapia iperbarica e ozono terapia. Sono importanti anche approcci personalizzati per le specifiche esigenze dei pazienti: terapie antalgiche (agopuntura o criostimolazione), fitoterapiche, l'approccio nutraceutico e nutrizionistico, la ginnastica dolce, il linfodrenaggio, la fisioterapia, l'acqua antalgica e la psicoterapia.
Essendo la sua caratteristica principale il dolore, i malati di fibromialgia dovrebbero rientrare pienamente nella categoria delle persone che necessitano di terapia del dolore e dei livelli essenziali di assistenza.
Secondo il dettato dell'articolo 32 della Costituzione, « La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti(...) ». Appare pertanto di tutta evidenza l'obbligo dello Stato di riconoscere anche a chi soffre di fibromialgia le cure, le spese mediche e gli esami diagnostici necessari, così come per altre malattie invalidanti.
Sebbene di per sé la patologia de quo non abbia implicazioni dirette sull'aspettativa di vita, è indubbia la persistente limitazione che da essa deriva, nonché la necessità di interventi di attenuazione del dolore, che garantiscano almeno una parziale autonomia del paziente con possibilità reali di autosufficienza e conseguentemente un consistente miglioramento della qualità di vita.
La caratteristica dominante nella fibromialgia è il dolore: esso viene considerato cronico se ha una durata superiore a tre mesi e colpisce un europeo su cinque, con un trend purtroppo in costante crescita. Anche dal punto di vista dei costi di gestione dei pazienti, il dolore cronico è tra le forme di sofferenza a più alto costo nei Paesi industrializzati con almeno 500 milioni di giorni di lavoro persi ogni anno in Europa, corrispondenti a un costo di circa 34 miliardi di euro.
Sebbene siano passati ventisei anni dall'inserimento da parte dell'OMS della fibromialgia nel Manuale di classificazione internazionale delle malattie e benché altre organizzazioni mediche di carattere internazionale la ritengano una malattia cronica, ancora oggi non tutti i Paesi europei condividono tale posizione e, tra essi. anche l'Italia.
Il disegno di legge in oggetto muove pertanto da queste considerazioni, al fine di garantire risposte adeguate da parte delle istituzioni: occorre recepire le istanze e i bisogni di queste persone, promuovere forme di aiuto e di sostegno, prevedere che lo Stato, nelle sue articolazioni, si faccia carico di questa patologia per garantire le risposte più efficaci dal punto di vista clinico, sociale e relazionale.
Riconoscere la fibromialgia come malattia invalidante ne consentirebbe l'inserimento tra le patologie che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le correlate prestazioni sanitarie, stanti le condizioni di forte disagio e malessere psico-fisico che si manifestano nelle persone che ne sono affette; comporterebbe altresì l'individuazione sul territorio nazionale sia di strutture sanitarie pubbliche idonee alla diagnosi e alla riabilitazione di questa patologia, sia di centri di ricerca per lo studio di tale sindrome, al fine di garantire la formazione continua – anche alla luce delle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 – la diagnosi e, infine, i relativi protocolli terapeutici.
Un riconoscimento « legislativo » della predetta patologia o, almeno, l'attenzione al fenomeno, al livello regionale risulta a macchia di leopardo. In assenza dell'inserimento nel nomenclatore del Ministero della salute, la fibromialgia non è prevista come diagnosi nei tabulati di dimissione ospedaliera, con conseguente inapplicabilità di alcuna forma di esenzione alla partecipazione alla spesa.
Alcune regioni hanno approvato leggi in materia. A livello nazionale è dunque opportuno dare uniformità al sistema e seguito effettivo alle raccomandazioni dell'OMS e del Parlamento europeo, assicurare omogeneità di trattamento a tutti i soggetti affetti da questa patologia nonché superare le disomogeneità derivanti dalle differenti normative regionali relative al riconoscimento della fibromialgia come malattia invalidante.
Il presente disegno di legge si compone di dieci articoli.
In particolare, l'articolo 1 reca le finalità della legge.
L'articolo 2 prevede il riconoscimento della fibromialgia come malattia invalidante.
L'articolo 3 prevede disposizioni per l'esenzione dalla spesa sanitaria per le persone affette da tale patologia.
L'articolo 4 reca disposizioni per l'individuazione di specifiche strutture sanitarie per la cura della fibromialgia, per la predisposizione di specifici protocolli terapeutici e riabilitativi e per la rilevazione statistica dei soggetti affetti.
L'articolo 5 disciplina l'istituzione del Registro nazionale della fibromialgia.
L'articolo 6 si occupa della formazione del personale medico e paramedico.
L'articolo 7 riguarda la promozione di studi e di ricerche per identificare criteri diagnostici validati capaci di individuare la fibromialgia, in particolare le loro forme più gravi e invalidanti, terapie innovative e la loro efficacia, le prestazioni specialistiche più appropriate ed efficaci, l'impiego di farmaci per il controllo dei sintomi, il monitoraggio e la prevenzione degli eventuali aggravamenti.
L'articolo 8 prevede la definizione di accordi per favorire l'inserimento e la permanenza lavorativa delle persone affette da fibromialgia.
L'articolo 9 concerne la promozione di campagne di informazione.
L'articolo 10 reca norme finanziarie per la copertura delle spese previste dalla legge.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-00304 - Pubblicato il 15 marzo 2023, nella seduta n. 49 - Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro delle imprese e del made in Italy.

Premesso che:
lo stabilimento Montefibre di Acerra (Napoli) è stata un'azienda nata nel 1972 nell’ambito della razionalizzazione delle aziende del gruppo Montedison; essa sorgeva nell’area di sviluppo industriale di Acerra ed è stata per moltissimi anni un'importante realtà industriale nella produzione di fibre di poliestere, in cui per il ciclo produttivo sono state utilizzate le tecnologie più avanzate del momento;
tra il 1979 ed il 2003 il livello occupazionale ha superato le 2.000 unità;
nel 1996 dopo il fallimento del progetto Enimont, Montefibre è stata ceduta al gruppo Orlandi e nel 1999 è stato chiuso tutto il comparto dei fili in poliestere, con la conseguente perdita di 300 posti di lavoro;
dal 2000 al 2010, l'azienda ha subito una pluralità di cessioni, dismissioni, riorganizzazioni, che hanno coinvolto anche investitori stranieri, ma, a fronte della perdurante crisi economica internazionale, gli investitori hanno concluso il proprio programma di investimenti;
l’azienda ha operato sino al 2013 e successivamente la produzione si è progressivamente ridotta fino a fermarsi in tutti gli stabilimenti, per giungere al fallimento nel 2018;
a seguito di un’attività dismissiva lenta ma costante, il numero dei dipendenti si è via via ridotto a sole 450 unità collocate in cassa integrazione a zero ore fino a quando sono finiti nelle liste di mobilità, percependo un'indennità mensile di soli 550 euro. Ad oggi, si contano 125 ex dipendenti che sono troppo anziani per ricollocarsi nel mondo del lavoro e troppo giovani per accedere ai trattamenti di quiescenza;
la gestione relativa alle vicende della Montefibre, pur essendo stata più volte posta all’attenzione del Ministero dello sviluppo economico, non è mai stata risolta, con gravissime conseguenze sui lavoratori, sulle famiglie e su tutto il tessuto sociale del comune di Acerra. Nel corso degli anni sul sito originariamente occupato dall’azienda si sono formati nuovi insediamenti industriali, tra i quali anche il termovalorizzatore, ma, nonostante gli accordi sottoscritti con le istituzioni, nessuno dei lavoratori ex Montefibre vi è stato riassorbito;
l’ex azienda si trova in territorio facente parte di un’area di crisi industriale complessa caratterizzata da difficoltà di reinserimento lavorativo che necessiterebbe di misure e strumenti rafforzati di supporto per assicurare agli ex operai la continuità lavorativa, come già realizzato ad esempio in altre aree di crisi industriale, ad esempio nelle aree di crisi complessa di Frosinone e Rieti, ove, il 23 febbraio 2023, a seguito di un accordo quadro sottoscritto tra l’amministrazione regionale e le parti sociali per la gestione delle risorse destinate agli ammortizzatori sociali, è stata predisposta l’attivazione di progetti finalizzati al contrasto della disoccupazione di lunga durata;
il 22 febbraio i lavoratori ex Montefibre hanno manifestato ancora una volta davanti al sito dell’ex azienda per chiedere un incontro urgente tra le istituzioni locali e il Ministero, al fine di riassorbire nei siti industriali di nuova formazione coloro che sono ancora nella fascia d’età per riprendere a lavorare e, inoltre, hanno chiesto la ripresa delle procedure per l’accertamento dell’esposizione ad amianto, al fine di consentire, a coloro che sono vicini ad un’età pensionabile, di accedere ai benefici previdenziali connessi a tale condizione,

si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza della situazione e se non abbia valutato la convocazione di un tavolo, con la partecipazione delle amministrazioni competenti e dei rappresentanti dei lavoratori interessati, al fine di favorire procedure di concertazione per individuare le misure più idonee al riassorbimento nel tessuto lavorativo locale degli ex dipendenti della Montefibre.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-00308 - Pubblicato il 15 marzo 2023, nella seduta n. 49 - Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Premesso che:
lo stabilimento Montefibre nasce nella metà degli anni '70 ed è stato un'importante realtà industriale nella produzione di fibre di poliestere inserita nell'area di sviluppo industriale di Acerra (Napoli); per il ciclo produttivo sono sempre state utilizzate le tecnologie più avanzate del momento e il complesso industriale è stato costituito dai seguenti impianti e servizi: a) impianto per la produzione di dimetiltereftalato; b) impianto per la produzione di polimero polyetilentereftalato; c) impianto per la produzione di fibre tessili e filati di poliestere; d) centrale termoelettrica a metano; e) impianti per la produzione di fluidi di servizi come azoto, aria compressa, acqua refrigerata, acqua di torre, acqua demineralizzata; f) impianto biologico a fanghi attivi per la depurazione dei reflui industriali del sito;
negli anni, lo stabilimento a livello occupazionale ha superato stabilmente le 1.000 unità (tra diretti e indotti); nel corso del periodo dal 2000 al 2010, l'azienda ha subito una pluralità di cessioni e riorganizzazioni, anche con il coinvolgimento di investitori stranieri; tra la fine del 2012 e la metà del 2013 è stato avviato, da parte della Montefibre, un vero e proprio programma di smantellamento degli impianti; a marzo 2015 tutti i lavoratori ex Montefibre sono stati posti in mobilità; attualmente i lavoratori superstiti vivono con un trattamento di mobilità in deroga di circa 500 euro e a distanza di tanti anni dalla perdita del lavoro, nonché in considerazione dell’età anagrafica raggiunta, questi ex lavoratori si trovano nella paradossale condizione di non poter essere riassorbiti in ambito lavorativo e di non poter accedere al trattamento pensionistico;
molti lavoratori ex Montefibre hanno lavorato a lungo con esposizione all’amianto;
tutta la letteratura scientifica è concorde sui risultati dei dati epidemiologici relativi alle conseguenze dell'esposizione alle fibre di amianto, che colpiscono in modo subdolo non soltanto i lavoratori esposti direttamente, ma anche le famiglie dei lavoratori ed i cittadini dei luoghi dove si trovano stabilimenti che contengono amianto; inoltre l’esposizione ad amianto può comportare l’insorgere delle patologie asbesto correlate anche decenni dopo il contatto con la sostanza;
con il riconoscimento che l’esposizione all’amianto è gravemente nociva per la salute, la legge n. 257 del 1992 ha non soltanto stabilito la cessazione dell’impiego di amianto in qualsiasi tipo di attività, ma ha fissato i criteri per l'accesso anticipato, in favore dei lavoratori esposti all'amianto, al trattamento pensionistico per un periodo pari al 50 per cento di dimostrata qualificata esposizione, purché decennale, oppure senza alcuna limitazione per coloro che avessero contratto patologie asbesto correlate;
al fine della descrizione del ciclo produttivo e del riconoscimento dell’esposizione all’amianto dei lavoratori ex Montefibre e dei relativi benefici contributivi e previdenziali, la Procura della Repubblica di Nola ha disposto nel 2005 una perizia tecnica dalla quale è emerso che nel ciclo lavorativo dell’azienda Montefibre di Acerra il rischio amianto era presente sin dall’inizio della sua attività; si trattava di un rischio diffuso in tutti i reparti dovuto, in particolare, alla presenza di materiali contenenti amianto a carattere friabile, soggetto ad usura e costantemente ripristinato attraverso interventi di manutenzione, pertanto l’applicazione agli ex lavoratori della società ex Montefibre, al pari di altri lavoratori ugualmente in condizione di esposizione, di quanto previsto dall’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, laddove si prevede che “per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5”, sarebbe oltre che doveroso, anche necessario, al fine di contribuire a riconoscere un diritto ai lavoratori esposti ad amianto, che hanno subito i processi di ristrutturazione e dismissione di cui sopra, consentendo di accedere ai trattamenti pensionistici a coloro che si trovano in una condizione anagrafica idonea; purtroppo i termini per la richiesta dei benefici previdenziali connessi al riconoscimento di esposizione ad amianto sono scaduti e non sono stati più riaperti;
ad oggi ci sono ancora centinaia di lavoratori, come gli operai ex Montefibre, che sono affetti da patologie asbesto correlate, ma che non rientrano nei benefici previdenziali e, dunque, sono danneggiati da una situazione di disuguaglianza alla quale deve essere posto rimedio, nonostante nelle scorse Legislature molti siano stati gli interventi normativi finalizzati ad estendere la platea dei soggetti beneficiari e a riconoscere maggiori facilitazioni agli ex lavoratori affetti da patologia correlata all'asbesto,

si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo stia adeguatamente monitorando la situazione;
se non ritenga di avviare un'interlocuzione con l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, finalizzata all’emanazione di un provvedimento volto al riconoscimento dell’esposizione all’amianto dei lavoratori ex Montefibre ed alla certificazione di esposizione ai fini dell’accesso ai benefici previdenziali previsti dall’articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 e successive modifiche;
se non intenda adottare immediate iniziative, anche legislative, per rendere, in tempi celeri e certi, esigibili dai singoli lavoratori che hanno già maturato i requisiti previsti i benefici previdenziali connessi alla esposizione all'amianto previsti delle leggi susseguitesi a partire dalla legge n. 257 del 1992, sino all'articolo 1, comma 277, della legge n. 208 del 2015.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00257 - Pubblicato il 1° marzo 2023, nella seduta n. 44 - Nicola Irto cofirmatario

Premesso che:
con il recepimento della direttiva dell'Unione europea Red II (decreto legislativo n. 199 del 2021), l'Italia ha compiuto un passo in avanti nel campo delle cosiddette comunità energetiche rinnovabili (CER), un modello innovativo di gestione dell'energia già ampiamente diffuso in altre aree europee;
le CER sono associazioni composte da enti pubblici locali, aziende, attività commerciali o cittadini privati, che scelgono di dotarsi di infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili e l'autoconsumo attraverso un modello basato sulla condivisione: una forma energetica collaborativa nata per favorire la gestione congiunta e ridurre la dipendenza energetica;
in Italia le CER faticano però a diffondersi. Nonostante siano una soluzione utile e concreta per contrastare il caro bollette, l'emergenza climatica e la povertà energetica, sono, infatti, pochissime quelle realmente attive o che stanno ricevendo gli incentivi statali erogati dal Gestore dei servizi elettrici (GSE);
a pesare sull'avvio delle CER si contano: lungaggini burocratiche, la mancanza degli incentivi da parte del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il ritardo di ARERA sull'emanazione delle regole attuative, che si uniscono alle difficoltà nel ricevere le informazioni necessarie a identificare l'ambito di sviluppo delle CER, così come le registrazioni e il ricevimento degli incentivi o i preventivi onerosi per allacci alla rete;
in particolare, la norma contenuta nell'articolo 8 del decreto legislativo n. 199 del 2021, che indicava 180 giorni per aggiornare i meccanismi di incentivazione, ovvero entro maggio 2022, risulta ad oggi disattesa;
sino all'adozione di tali provvedimenti, continua quindi ad applicarsi la disciplina sperimentale e transitoria di cui all'articolo 42-bis del decreto-legge n. 162 del 2019, che prevede che i consumatori finali o produttori di energia possano associarsi per "condividere" l'energia elettrica localmente prodotta da nuovi impianti alimentati da fonte rinnovabile di piccola taglia con riferimento a nuovi impianti alimentati a fonti di energia rinnovabili (FER) con potenza complessiva non superiore ai 200 kilowatt, entrati in esercizio a partire dal 1° marzo 2020 e fino al 12 febbraio 2022 (intesi i 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 199 del 2021 di recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 Red II);
considerato che:
il sostegno allo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili (CER) è un obiettivo di primaria importanza, sia per lo sviluppo e diffusione di energia da fonti rinnovabili, sia per le finalità di natura sociale;
la consultazione pubblica, necessaria per delineare lo strumento più adatto per il sostegno alle CER, si è conclusa ormai da tempo fornendo al Ministero dell'ambiente, grazie al contributo dei numerosi partecipanti, tutte le indicazioni utili per agevolare la diffusione capillare delle CER e garantire i benefici attesi, in termini sia economici che energetici, ai soggetti che vorranno aderire a questa modalità nuova di gestione dell'energia in condivisione;
le recenti vicende che hanno condizionato l'incremento dei costi energetici e le difficoltà del nostro Paese nell'approvvigionamento delle risorse energetiche rendono sempre più urgente la definizione di un apposito piano nazionale per il risparmio energetico e per interventi finalizzati ad aumentare drasticamente la quota di rinnovabili prodotte in Italia. In tale contesto, le CER potrebbero rappresentare un importante strumento di sviluppo, contribuendo al raggiungimento dell'obiettivo di almeno 85 gigawatt di rinnovabili in più entro il 2030 e alla creazione di circa 500.000 nuovi posti di lavoro;
i ritardi che si stanno accumulando sia nell'emanazione dei decreti di sostegno alle CER e la mancata definizione di un apposito piano nazionale per il risparmio energetico e per interventi finalizzati ad aumentare drasticamente la quota di rinnovabili prodotte in Italia, oltre a non risultare comprensibili, rischiano di allontanare il raggiungimento da parte del nostro Paese degli obiettivi di sviluppo e diffusione di energia da fonti rinnovabili e quelli di risparmio energetico e conseguentemente per il contrasto ai cambiamenti climatici,
si chiede di sapere:
in considerazione del ruolo strategico svolto dalle energie rinnovabili per il contrasto ai cambiamenti climatici, quando il Ministro in indirizzo intenda adottare i citati provvedimenti attuativi del decreto legislativo n. 199 del 2021 riguardanti la disciplina dell'autoconsumo e delle comunità energetiche, essendo i termini previsti già ampiamente scaduti, e se intenda chiarire le motivazioni che hanno determinato tale ritardo;
se non ritenga opportuno ed urgente adottare un piano nazionale per il risparmio energetico e per interventi finalizzati ad aumentare drasticamente la quota di rinnovabili prodotte in Italia, da affiancare al PNIEC e alle misure già previste nel PNRR, al fine di garantire un più rapido raggiungimento da parte del nostro Paese degli obiettivi di sviluppo e diffusione di energia da fonti rinnovabili e di risparmio energetico e conseguentemente per rafforzare le misure per il contrasto ai cambiamenti climatici.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00251 - Pubblicato il 28 febbraio 2023, nella seduta n. 43 - Nicola Irto cofirmatario

Ai Ministri dell'economia e delle finanze, dell'ambiente e della sicurezza energetica e delle imprese e del made in Italy

Premesso che:
l'articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, stabilisce che, sino al 2025, i soggetti che sostengono spese per gli interventi rientranti nella disciplina prevista dall'articolo 119 possono optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione spettante, per la cessione di un credito d'imposta corrispondente alla detrazione;
la disciplina sulla cessione dei crediti di cui al suddetto articolo 121 è stata oggetto di numerose modifiche nel corso degli ultimi mesi, rese necessarie per rafforzare i presidi antifrode, in conseguenza delle quali sono emerse serie problematiche attuative con ricadute sia sulle piccole imprese che sulle famiglie e una drastica riduzione del numero dei cessionari disponibili, lasciando molto spazio ai «gestori energetici» nell'acquisizione dei crediti fiscali;
in molti casi i crediti fiscali maturati con l'esecuzione della prima «tranche» dei lavori, che la normativa vigente individua con il raggiungimento del 30 per cento dell'opera, e la loro successiva acquisizione da parte di istituti finanziari, non hanno più trovato la dovuta ricezione per le successive tranche da parte di banche e istituti di credito che avevano sottoscritto con i condomini o i proprietari di case unifamiliari i contratti di cessione dei crediti;
la situazione è resa ancor più grave a causa dell'improvvisa interruzione dell'acquisizione dei crediti fiscali da parte delle citate società energetiche. In tale contesto, a titolo esemplificativo, da più parti viene segnalato che la società ENEL X, una delle società energetiche attive nell'acquisizione dei crediti generati dagli interventi di efficientamento energetico degli edifici, ha improvvisamente chiuso le operazioni di acquisizione dei crediti già a fine novembre 2022, anche in relazione a lavori già avviati. Molte imprese e cittadini sono stati portati a conoscenza del congelamento dell'acquisizione dei crediti fiscali con una semplice e-mail, con la precisazione che il tutto vale sia per le opportunità già in essere sia per quelle nuove;
tale situazione ha dato luogo a due conseguenze:
la richiesta, da parte delle imprese coinvolte dal congelamento attuato da ENEL X, del saldo dei lavori svolti direttamente alle famiglie che hanno dovuto far fronte a pagamenti molto più consistenti rispetto a quanto prospettato nelle fasi di formulazione dell'intera operazione;
le imprese a cui ENEL X aveva concesso «plafond» di acquisizione crediti che ammontano anche a qualche milione di euro, non avendo la possibilità di cedere il credito maturato, sono state costrette a non avviare i lavori anche a fronte di significative spese sostenute per arrivare a delibere assembleari, produzione di progetti depositati presso gli enti comunali, sovente previa autorizzazione delle Soprintendenze, e comunicazioni di «inizio lavori»;
con il decreto-legge sugli incentivi fiscali, le misure del superbonus e gli altri incentivi fiscali, così come la cessione del credito, hanno subito un ulteriore blocco che rischia di aggravare ulteriormente la situazione descritta e provocare una grave crisi per il settore delle costruzioni e della relativa filiera, con conseguente fallimento di migliaia di imprese e la perdita di migliaia di occupati, nonché di mettere in seria difficoltà economica migliaia di famiglie,
si chiede di sapere:
quali iniziative i Ministri in indirizzo, ciascuno per quanto di competenza, intendano adottare per risolvere le problematiche descritte in premessa e per tutelare i proprietari di immobili e gli operatori del comparto edile che, a causa delle disposizioni che hanno portato al blocco della cessione del credito, si trovano oggi in gravi difficoltà;
quali iniziative intendano adottare al fine di consentire ai «gestori energetici» come ENEL X S.r.l. (società del Gruppo ENEL di cui lo Stato italiano è il principale azionista) di mantenere gli impegni assunti nei confronti delle imprese a cui avevano concesso «plafond» di acquisizione di crediti fiscali;
quali misure intendano adottare per garantire la continuità, il rafforzamento e una maggiore efficacia dei vigenti strumenti di finanziamento degli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare del Paese, e se intendano adottare misure volte a garantire la prosecuzione degli interventi di riqualificazione energetica e la rimozione di tutti gli ostacoli che attualmente bloccano la circolazione dei credili fiscali.

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IRTO - Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica.

Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00241 pubblicato il 23 febbraio 2023, nella seduta n. 42 - Nicola Irto primo firmatario

Premesso che:
secondo i dati diffusi dalla Commissione europea il complesso degli edifici, di cui il 65 per cento ad uso residenziale, è responsabile a livello UE di circa il 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra. Il riscaldamento, il raffrescamento e l'utilizzo di acqua calda per uso domestico rappresentano l'80 per cento dell'energia consumata dalle famiglie. Il 35 per cento del parco immobiliare della UE ha più di 50 anni e quasi il 75 per cento è inefficiente dal punto di vista energetico, mentre il tasso di ristrutturazione annua è di circa l'1 per cento;
il 15 dicembre 2021 la Commissione ha presentato una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia. Tale revisione è strettamente collegata con le iniziative del programma "Fit for 55", ovvero la revisione delle direttive sulla promozione dell'energia da fonti rinnovabili (RED II) e sull'efficienza energetica (EED). La proposta, oggetto di negoziato a livello europeo, mira a far sì che tutti gli edifici nuovi siano a emissioni zero entro il 2030 e gli edifici esistenti lo divengano entro il 2050, con alcune eccezioni per gli edifici storici, i luoghi di culto e gli edifici utilizzati a scopi di difesa. Il Consiglio del 25 ottobre 2022 ha raggiunto un orientamento generale sulla proposta della Commissione convenendo che per quanto riguarda i soli edifici nuovi, dal 2028, quelli di proprietà di enti pubblici dovrebbero essere a emissioni zero, e tutti gli altri edifici nuovi dal 2030;
gli Stati membri hanno convenuto: a) per gli edifici residenziali esistenti, di fissare norme minime di prestazione energetica sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del parco immobiliare per renderlo ad emissioni zero entro il 2050, come indicato nei piani nazionali di ristrutturazione edilizia. Allo stato attuale rimane confermato che non è previsto alcun obbligo di ristrutturazione degli edifici esistenti al 2030 e non si prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati; b) di fissare requisiti che garantiscano che tutti i nuovi edifici siano progettati per ottimizzare il potenziale di produzione di energia solare e hanno concordato prescrizioni finalizzate a mettere a disposizione infrastrutture per la mobilità sostenibile; c) di pubblicare piani nazionali di ristrutturazione edilizia contenenti una tabella di marcia con obiettivi nazionali per il 2030, il 2040 e il 2050 per quanto riguarda il tasso annuo di ristrutturazione energetica, il consumo di energia primaria e finale del parco immobiliare nazionale e le relative riduzioni delle emissioni operative di gas a effetto serra. I primi piani saranno pubblicati entro il 30 giugno 2026 e successivamente ogni 5 anni;
presso il Parlamento europeo, l'atto dovrebbe giungere alla discussione in plenaria indicativamente nella seduta del 13 marzo 2023. Una volta adottata la posizione negoziale potranno essere avviati i "triloghi" con Consiglio e Commissione europea;
nella prospettiva della Commissione UE, gli investimenti nella riqualificazione energetica dovrebbero costituire anche un'opportunità per l'economia e in particolare per il settore edile, che rappresenta circa il 9 per cento del PIL europeo e impiega 25 milioni di posti di lavoro, in circa 5 milioni di imprese, in prevalenza piccole e medie. Il parco immobiliare italiano, come risulta dalla strategia nazionale per la riqualificazione energetica, è costituito per la maggior parte da edifici a uso residenziale (12,42 milioni) aventi più di 45 anni (oltre il 65 per cento) e in prevalenza rientranti nelle classi energetiche F e G (rispettivamente il 25 per cento e il 37,3 per cento degli immobili censiti dal SIAPE nel periodo 2016-2019). Appare inoltre fondamentale considerare anche il patrimonio immobiliare pubblico, con particolare riferimento agli istituti scolastici, alle strutture sanitarie, ai tribunali e alle carceri, garantendo la continuità degli strumenti di finanziamento degli interventi, quali a esempio il conto termico e prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche;
il proseguimento degli interventi per l'efficientamento energetico e la messa in sicurezza antisismica del patrimonio immobiliare nazionale possono costituire una vera opportunità per il sistema Italia di migliorare le prestazioni energetiche degli immobili e di rinnovare un patrimonio immobiliare avente caratteristiche uniche al mondo;
le misure del superbonus e gli altri incentivi fiscali sono gli strumenti utilizzati nel nostro Paese per rispondere agli obiettivi di riqualificazione edilizia, antisismica ed energetica degli edifici. Negli ultimi due anni, grazie a questi strumenti, sono stati ristrutturati dal punto di vista energetico, con il superbonus 110 per cento, 86 milioni di metri quadrati per 359.440 edifici già completati e ulteriori 122.000 edifici in fase di completamento per un totale di quasi 482.000 edifici. Il successo di queste misure è legato alla possibilità di cedere il credito d'imposta maturato con l'intervento, ma, a causa delle ripetute modifiche alla disciplina, il funzionamento della cessione del credito è stato fortemente rallentato in ragione della capacità fiscale esaurita del sistema, a partire da banche ed altri intermediari finanziari. Le soluzioni avanzate dal Governo per risolvere il blocco nel decreto "aiuti quater" (decreto-legge n. 176 del 2022) e nella legge di bilancio per il 2023 sono risultate del tutto insufficienti e non rispondenti alle attese e alle proposte avanzate a tal fine;
con la recente emanazione del decreto-legge sugli incentivi fiscali, le misure del superbonus e gli altri incentivi fiscali, così come la cessione del credito, hanno subito un ulteriore blocco che rischia di provocare una preoccupante crisi per il settore delle costruzioni e nella filiera, con conseguente fallimento di migliaia di imprese e la perdita di migliaia di occupati, nonché di mettere in seria difficoltà economica migliaia di famiglie,

si chiede di sapere:
- se il Governo intenda confermare presso le competenti sedi europee l'impegno del Paese al raggiungimento degli obiettivi stabiliti a livello nazionale in vista della programmata riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 e della neutralità climatica nel 2050 e quali iniziative negoziali intenda intraprendere nelle competenti sedi europee al fine di garantire che il testo finale della direttiva citata assicuri al nostro Paese la necessaria flessibilità, anche temporale, in fase di attuazione in ragione della peculiarità del patrimonio edilizio nazionale;
quali iniziative di competenza abbia adottato o intenda adottare in sede di UE affinché gli ambiziosi obiettivi di efficientamento energetico siano accompagnati da adeguati strumenti finanziari stanziati a livello europeo e affinché i costi degli interventi non ricadano sulle famiglie, in particolare modo sulle fasce economicamente più deboli, e sulle imprese;
quali misure intenda adottare per garantire la continuità, il rafforzamento e una maggiore efficacia dei vigenti strumenti di finanziamento degli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico del Paese, prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche e agli edifici adibiti a edilizia residenziale pubblica, e se intenda adottare iniziative volte a superare le recenti disposizioni del "decreto-legge incentivi" e a garantire la prosecuzione degli interventi di riqualificazione energetica finanziati dagli strumenti vigenti rimuovendo gli ostacoli che attualmente bloccano la circolazione dei credili fiscali anche mediante l'eventuale coinvolgimento di CDP S.p.A. o l'utilizzo di strumenti come l'F24;
- se intenda procedere ad un progressivo riordino, condiviso con tutte le parti interessate, della legislazione vigente in materia di incentivi fiscali edilizi, anche mediante stesura di un testo unico, che razionalizzi, stabilizzi, metta a sistema e preveda che tali strumenti siano commisurati in modo proporzionale agli interventi caratterizzati da maggiore efficacia dal punto di vista antisismico e dell'efficientamento energetico, al fine di consentire un orizzonte temporale di lungo termine per gli investimenti di famiglie e imprese; se a tal fine intenda predisporre un piano nazionale di ristrutturazione degli immobili di durata pluriennale, che includa oltre agli edifici residenziali privati anche gli edifici pubblici e quelli di edilizia residenziale pubblica, corredato da una valutazione d'impatto economico degli interventi nel corso degli anni.

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