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Premesso che:
con il recepimento della direttiva dell'Unione europea Red II (decreto legislativo n. 199 del 2021), l'Italia ha compiuto un passo in avanti nel campo delle cosiddette comunità energetiche rinnovabili (CER), un modello innovativo di gestione dell'energia già ampiamente diffuso in altre aree europee;
le CER sono associazioni composte da enti pubblici locali, aziende, attività commerciali o cittadini privati, che scelgono di dotarsi di infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili e l'autoconsumo attraverso un modello basato sulla condivisione: una forma energetica collaborativa nata per favorire la gestione congiunta e ridurre la dipendenza energetica;
in Italia le CER faticano però a diffondersi. Nonostante siano una soluzione utile e concreta per contrastare il caro bollette, l'emergenza climatica e la povertà energetica, sono, infatti, pochissime quelle realmente attive o che stanno ricevendo gli incentivi statali erogati dal Gestore dei servizi elettrici (GSE);
a pesare sull'avvio delle CER si contano: lungaggini burocratiche, la mancanza degli incentivi da parte del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il ritardo di ARERA sull'emanazione delle regole attuative, che si uniscono alle difficoltà nel ricevere le informazioni necessarie a identificare l'ambito di sviluppo delle CER, così come le registrazioni e il ricevimento degli incentivi o i preventivi onerosi per allacci alla rete;
in particolare, la norma contenuta nell'articolo 8 del decreto legislativo n. 199 del 2021, che indicava 180 giorni per aggiornare i meccanismi di incentivazione, ovvero entro maggio 2022, risulta ad oggi disattesa;
sino all'adozione di tali provvedimenti, continua quindi ad applicarsi la disciplina sperimentale e transitoria di cui all'articolo 42-bis del decreto-legge n. 162 del 2019, che prevede che i consumatori finali o produttori di energia possano associarsi per "condividere" l'energia elettrica localmente prodotta da nuovi impianti alimentati da fonte rinnovabile di piccola taglia con riferimento a nuovi impianti alimentati a fonti di energia rinnovabili (FER) con potenza complessiva non superiore ai 200 kilowatt, entrati in esercizio a partire dal 1° marzo 2020 e fino al 12 febbraio 2022 (intesi i 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 199 del 2021 di recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 Red II);
considerato che:
il sostegno allo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili (CER) è un obiettivo di primaria importanza, sia per lo sviluppo e diffusione di energia da fonti rinnovabili, sia per le finalità di natura sociale;
la consultazione pubblica, necessaria per delineare lo strumento più adatto per il sostegno alle CER, si è conclusa ormai da tempo fornendo al Ministero dell'ambiente, grazie al contributo dei numerosi partecipanti, tutte le indicazioni utili per agevolare la diffusione capillare delle CER e garantire i benefici attesi, in termini sia economici che energetici, ai soggetti che vorranno aderire a questa modalità nuova di gestione dell'energia in condivisione;
le recenti vicende che hanno condizionato l'incremento dei costi energetici e le difficoltà del nostro Paese nell'approvvigionamento delle risorse energetiche rendono sempre più urgente la definizione di un apposito piano nazionale per il risparmio energetico e per interventi finalizzati ad aumentare drasticamente la quota di rinnovabili prodotte in Italia. In tale contesto, le CER potrebbero rappresentare un importante strumento di sviluppo, contribuendo al raggiungimento dell'obiettivo di almeno 85 gigawatt di rinnovabili in più entro il 2030 e alla creazione di circa 500.000 nuovi posti di lavoro;
i ritardi che si stanno accumulando sia nell'emanazione dei decreti di sostegno alle CER e la mancata definizione di un apposito piano nazionale per il risparmio energetico e per interventi finalizzati ad aumentare drasticamente la quota di rinnovabili prodotte in Italia, oltre a non risultare comprensibili, rischiano di allontanare il raggiungimento da parte del nostro Paese degli obiettivi di sviluppo e diffusione di energia da fonti rinnovabili e quelli di risparmio energetico e conseguentemente per il contrasto ai cambiamenti climatici,
si chiede di sapere:
in considerazione del ruolo strategico svolto dalle energie rinnovabili per il contrasto ai cambiamenti climatici, quando il Ministro in indirizzo intenda adottare i citati provvedimenti attuativi del decreto legislativo n. 199 del 2021 riguardanti la disciplina dell'autoconsumo e delle comunità energetiche, essendo i termini previsti già ampiamente scaduti, e se intenda chiarire le motivazioni che hanno determinato tale ritardo;
se non ritenga opportuno ed urgente adottare un piano nazionale per il risparmio energetico e per interventi finalizzati ad aumentare drasticamente la quota di rinnovabili prodotte in Italia, da affiancare al PNIEC e alle misure già previste nel PNRR, al fine di garantire un più rapido raggiungimento da parte del nostro Paese degli obiettivi di sviluppo e diffusione di energia da fonti rinnovabili e di risparmio energetico e conseguentemente per rafforzare le misure per il contrasto ai cambiamenti climatici.
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Ai Ministri dell'economia e delle finanze, dell'ambiente e della sicurezza energetica e delle imprese e del made in Italy
Premesso che:
l'articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, stabilisce che, sino al 2025, i soggetti che sostengono spese per gli interventi rientranti nella disciplina prevista dall'articolo 119 possono optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione spettante, per la cessione di un credito d'imposta corrispondente alla detrazione;
la disciplina sulla cessione dei crediti di cui al suddetto articolo 121 è stata oggetto di numerose modifiche nel corso degli ultimi mesi, rese necessarie per rafforzare i presidi antifrode, in conseguenza delle quali sono emerse serie problematiche attuative con ricadute sia sulle piccole imprese che sulle famiglie e una drastica riduzione del numero dei cessionari disponibili, lasciando molto spazio ai «gestori energetici» nell'acquisizione dei crediti fiscali;
in molti casi i crediti fiscali maturati con l'esecuzione della prima «tranche» dei lavori, che la normativa vigente individua con il raggiungimento del 30 per cento dell'opera, e la loro successiva acquisizione da parte di istituti finanziari, non hanno più trovato la dovuta ricezione per le successive tranche da parte di banche e istituti di credito che avevano sottoscritto con i condomini o i proprietari di case unifamiliari i contratti di cessione dei crediti;
la situazione è resa ancor più grave a causa dell'improvvisa interruzione dell'acquisizione dei crediti fiscali da parte delle citate società energetiche. In tale contesto, a titolo esemplificativo, da più parti viene segnalato che la società ENEL X, una delle società energetiche attive nell'acquisizione dei crediti generati dagli interventi di efficientamento energetico degli edifici, ha improvvisamente chiuso le operazioni di acquisizione dei crediti già a fine novembre 2022, anche in relazione a lavori già avviati. Molte imprese e cittadini sono stati portati a conoscenza del congelamento dell'acquisizione dei crediti fiscali con una semplice e-mail, con la precisazione che il tutto vale sia per le opportunità già in essere sia per quelle nuove;
tale situazione ha dato luogo a due conseguenze:
la richiesta, da parte delle imprese coinvolte dal congelamento attuato da ENEL X, del saldo dei lavori svolti direttamente alle famiglie che hanno dovuto far fronte a pagamenti molto più consistenti rispetto a quanto prospettato nelle fasi di formulazione dell'intera operazione;
le imprese a cui ENEL X aveva concesso «plafond» di acquisizione crediti che ammontano anche a qualche milione di euro, non avendo la possibilità di cedere il credito maturato, sono state costrette a non avviare i lavori anche a fronte di significative spese sostenute per arrivare a delibere assembleari, produzione di progetti depositati presso gli enti comunali, sovente previa autorizzazione delle Soprintendenze, e comunicazioni di «inizio lavori»;
con il decreto-legge sugli incentivi fiscali, le misure del superbonus e gli altri incentivi fiscali, così come la cessione del credito, hanno subito un ulteriore blocco che rischia di aggravare ulteriormente la situazione descritta e provocare una grave crisi per il settore delle costruzioni e della relativa filiera, con conseguente fallimento di migliaia di imprese e la perdita di migliaia di occupati, nonché di mettere in seria difficoltà economica migliaia di famiglie,
si chiede di sapere:
quali iniziative i Ministri in indirizzo, ciascuno per quanto di competenza, intendano adottare per risolvere le problematiche descritte in premessa e per tutelare i proprietari di immobili e gli operatori del comparto edile che, a causa delle disposizioni che hanno portato al blocco della cessione del credito, si trovano oggi in gravi difficoltà;
quali iniziative intendano adottare al fine di consentire ai «gestori energetici» come ENEL X S.r.l. (società del Gruppo ENEL di cui lo Stato italiano è il principale azionista) di mantenere gli impegni assunti nei confronti delle imprese a cui avevano concesso «plafond» di acquisizione di crediti fiscali;
quali misure intendano adottare per garantire la continuità, il rafforzamento e una maggiore efficacia dei vigenti strumenti di finanziamento degli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare del Paese, e se intendano adottare misure volte a garantire la prosecuzione degli interventi di riqualificazione energetica e la rimozione di tutti gli ostacoli che attualmente bloccano la circolazione dei credili fiscali.
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IRTO - Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Premesso che:
secondo i dati diffusi dalla Commissione europea il complesso degli edifici, di cui il 65 per cento ad uso residenziale, è responsabile a livello UE di circa il 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra. Il riscaldamento, il raffrescamento e l'utilizzo di acqua calda per uso domestico rappresentano l'80 per cento dell'energia consumata dalle famiglie. Il 35 per cento del parco immobiliare della UE ha più di 50 anni e quasi il 75 per cento è inefficiente dal punto di vista energetico, mentre il tasso di ristrutturazione annua è di circa l'1 per cento;
il 15 dicembre 2021 la Commissione ha presentato una proposta di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia. Tale revisione è strettamente collegata con le iniziative del programma "Fit for 55", ovvero la revisione delle direttive sulla promozione dell'energia da fonti rinnovabili (RED II) e sull'efficienza energetica (EED). La proposta, oggetto di negoziato a livello europeo, mira a far sì che tutti gli edifici nuovi siano a emissioni zero entro il 2030 e gli edifici esistenti lo divengano entro il 2050, con alcune eccezioni per gli edifici storici, i luoghi di culto e gli edifici utilizzati a scopi di difesa. Il Consiglio del 25 ottobre 2022 ha raggiunto un orientamento generale sulla proposta della Commissione convenendo che per quanto riguarda i soli edifici nuovi, dal 2028, quelli di proprietà di enti pubblici dovrebbero essere a emissioni zero, e tutti gli altri edifici nuovi dal 2030;
gli Stati membri hanno convenuto: a) per gli edifici residenziali esistenti, di fissare norme minime di prestazione energetica sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del parco immobiliare per renderlo ad emissioni zero entro il 2050, come indicato nei piani nazionali di ristrutturazione edilizia. Allo stato attuale rimane confermato che non è previsto alcun obbligo di ristrutturazione degli edifici esistenti al 2030 e non si prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati; b) di fissare requisiti che garantiscano che tutti i nuovi edifici siano progettati per ottimizzare il potenziale di produzione di energia solare e hanno concordato prescrizioni finalizzate a mettere a disposizione infrastrutture per la mobilità sostenibile; c) di pubblicare piani nazionali di ristrutturazione edilizia contenenti una tabella di marcia con obiettivi nazionali per il 2030, il 2040 e il 2050 per quanto riguarda il tasso annuo di ristrutturazione energetica, il consumo di energia primaria e finale del parco immobiliare nazionale e le relative riduzioni delle emissioni operative di gas a effetto serra. I primi piani saranno pubblicati entro il 30 giugno 2026 e successivamente ogni 5 anni;
presso il Parlamento europeo, l'atto dovrebbe giungere alla discussione in plenaria indicativamente nella seduta del 13 marzo 2023. Una volta adottata la posizione negoziale potranno essere avviati i "triloghi" con Consiglio e Commissione europea;
nella prospettiva della Commissione UE, gli investimenti nella riqualificazione energetica dovrebbero costituire anche un'opportunità per l'economia e in particolare per il settore edile, che rappresenta circa il 9 per cento del PIL europeo e impiega 25 milioni di posti di lavoro, in circa 5 milioni di imprese, in prevalenza piccole e medie. Il parco immobiliare italiano, come risulta dalla strategia nazionale per la riqualificazione energetica, è costituito per la maggior parte da edifici a uso residenziale (12,42 milioni) aventi più di 45 anni (oltre il 65 per cento) e in prevalenza rientranti nelle classi energetiche F e G (rispettivamente il 25 per cento e il 37,3 per cento degli immobili censiti dal SIAPE nel periodo 2016-2019). Appare inoltre fondamentale considerare anche il patrimonio immobiliare pubblico, con particolare riferimento agli istituti scolastici, alle strutture sanitarie, ai tribunali e alle carceri, garantendo la continuità degli strumenti di finanziamento degli interventi, quali a esempio il conto termico e prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche;
il proseguimento degli interventi per l'efficientamento energetico e la messa in sicurezza antisismica del patrimonio immobiliare nazionale possono costituire una vera opportunità per il sistema Italia di migliorare le prestazioni energetiche degli immobili e di rinnovare un patrimonio immobiliare avente caratteristiche uniche al mondo;
le misure del superbonus e gli altri incentivi fiscali sono gli strumenti utilizzati nel nostro Paese per rispondere agli obiettivi di riqualificazione edilizia, antisismica ed energetica degli edifici. Negli ultimi due anni, grazie a questi strumenti, sono stati ristrutturati dal punto di vista energetico, con il superbonus 110 per cento, 86 milioni di metri quadrati per 359.440 edifici già completati e ulteriori 122.000 edifici in fase di completamento per un totale di quasi 482.000 edifici. Il successo di queste misure è legato alla possibilità di cedere il credito d'imposta maturato con l'intervento, ma, a causa delle ripetute modifiche alla disciplina, il funzionamento della cessione del credito è stato fortemente rallentato in ragione della capacità fiscale esaurita del sistema, a partire da banche ed altri intermediari finanziari. Le soluzioni avanzate dal Governo per risolvere il blocco nel decreto "aiuti quater" (decreto-legge n. 176 del 2022) e nella legge di bilancio per il 2023 sono risultate del tutto insufficienti e non rispondenti alle attese e alle proposte avanzate a tal fine;
con la recente emanazione del decreto-legge sugli incentivi fiscali, le misure del superbonus e gli altri incentivi fiscali, così come la cessione del credito, hanno subito un ulteriore blocco che rischia di provocare una preoccupante crisi per il settore delle costruzioni e nella filiera, con conseguente fallimento di migliaia di imprese e la perdita di migliaia di occupati, nonché di mettere in seria difficoltà economica migliaia di famiglie,
si chiede di sapere:
- se il Governo intenda confermare presso le competenti sedi europee l'impegno del Paese al raggiungimento degli obiettivi stabiliti a livello nazionale in vista della programmata riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 e della neutralità climatica nel 2050 e quali iniziative negoziali intenda intraprendere nelle competenti sedi europee al fine di garantire che il testo finale della direttiva citata assicuri al nostro Paese la necessaria flessibilità, anche temporale, in fase di attuazione in ragione della peculiarità del patrimonio edilizio nazionale;
quali iniziative di competenza abbia adottato o intenda adottare in sede di UE affinché gli ambiziosi obiettivi di efficientamento energetico siano accompagnati da adeguati strumenti finanziari stanziati a livello europeo e affinché i costi degli interventi non ricadano sulle famiglie, in particolare modo sulle fasce economicamente più deboli, e sulle imprese;
quali misure intenda adottare per garantire la continuità, il rafforzamento e una maggiore efficacia dei vigenti strumenti di finanziamento degli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico del Paese, prestando particolare attenzione alla riqualificazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche e agli edifici adibiti a edilizia residenziale pubblica, e se intenda adottare iniziative volte a superare le recenti disposizioni del "decreto-legge incentivi" e a garantire la prosecuzione degli interventi di riqualificazione energetica finanziati dagli strumenti vigenti rimuovendo gli ostacoli che attualmente bloccano la circolazione dei credili fiscali anche mediante l'eventuale coinvolgimento di CDP S.p.A. o l'utilizzo di strumenti come l'F24;
- se intenda procedere ad un progressivo riordino, condiviso con tutte le parti interessate, della legislazione vigente in materia di incentivi fiscali edilizi, anche mediante stesura di un testo unico, che razionalizzi, stabilizzi, metta a sistema e preveda che tali strumenti siano commisurati in modo proporzionale agli interventi caratterizzati da maggiore efficacia dal punto di vista antisismico e dell'efficientamento energetico, al fine di consentire un orizzonte temporale di lungo termine per gli investimenti di famiglie e imprese; se a tal fine intenda predisporre un piano nazionale di ristrutturazione degli immobili di durata pluriennale, che includa oltre agli edifici residenziali privati anche gli edifici pubblici e quelli di edilizia residenziale pubblica, corredato da una valutazione d'impatto economico degli interventi nel corso degli anni.
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Ai Ministri dell'interno e dell'istruzione e del merito.
Premesso che:
il 18 febbraio 2023 a Firenze due studenti sono stati aggrediti con pugni e calci di fronte al liceo "Michelangiolo";
il movente politico del pestaggio è reso evidente dall'appartenenza degli studenti aggrediti al collettivo SUM (associazione studentesca di sinistra) e dall'appartenenza degli aggressori ad un'associazione di estrema destra ben nota nel capoluogo toscano;
l'aggressione ai danni degli studenti del SUM risulta documentata da vari video ora all'attenzione delle autorità inquirenti;
le stesse autorità inquirenti hanno al momento proceduto alla denuncia di sei persone per violenza privata e manifestazione non autorizzata, tre adulti e tre minorenni, facenti parte dell'organizzazione giovanile di estrema destra "Azione studentesca", da sempre vicina al partito Fratelli d'Italia;
sono in corso, stando a quanto riportato da organi di stampa, indagini anche su una vicenda simile avvenuta pochi giorni prima presso il liceo "Pascoli", sempre a Firenze;
un'azione violenta di questa natura presso una scuola rappresenta un fatto gravissimo, in alcun modo sottovalutabile, e tale da richiedere a tutti, e al massimo livello in sede politica, condanne ferme, nette, circostanziate, senza ambiguità e minimizzazioni,
si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti, quali siano le loro valutazioni in proposito e quali iniziative di competenza urgenti intendano assumere al fine di prevenire il ripetersi di simili episodi.
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IRTO - Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Premesso che:
la zona costiera alle porte della città di Crotone, di fronte all'area "ex Pertusola", di proprietà di Eni Rewind S.p.A. oggi versa in uno stato di totale abbandono;
sono evidenti le rovine di quella che più di 20 anni fa era la zona industriale, in cui sono ammassate ingentissime quantità di rifiuti, anche radioattivi, senza dubbio pericolosi per i cittadini dell'intera area urbana;
lo stato attuale della zona rappresenta un serio pericolo per la salute di un'intera comunità e un freno per lo sviluppo turistico ed economico della città e della provincia di Crotone;
in data 24 ottobre 2019 in conferenza dei servizi tenutasi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a cui avevano partecipato, tra gli altri, i rappresentanti di Syndial S.p.A. (oggi Eni Rewind) e, in videoconferenza, anche della Regione Calabria e del Comune di Crotone, si era provveduto ad esaminare gli interventi di bonifica da effettuare all'interno e nei pressi della zona;
nel corso della conferenza, in particolare, si era preso in esame il progetto relativo al sito di bonifica di interesse nazionale "Crotone-Cassano-Cerchiara", discariche fronte mare e aree industriali, progetto di bonifica fase 2 (POB 2) trasmesso in precedenza da Syndial;
il verbale redatto riportava che, durante l'illustrazione ai presenti del provvedimento PAUR (provvedimento autorizzatorio unico regionale) relativo al POB 2, l'architetto responsabile aveva rappresentato che all'interno del provvedimento stesso era stata inserita una serie di prescrizioni, "la cui principale era che, in ogni caso, il destino dei rifiuti (TENORM E NON TENORM) doveva essere posto fuori dal territorio regionale" e che "la richiesta di portare i rifiuti all'esterno del territorio regionale nasceva, sin dalle fasi iniziali della valutazione del progetto, dalla necessità, condivisa da tutte le amministrazioni locali, di non aggravare la situazione già presente localmente mediante la realizzazione di nuove discariche";
il verbale riportava altresì che il sindaco di Crotone, già residente della Provincia, aveva espresso parere favorevole in particolare sulla questione dei rifiuti fuori dal territorio del comune e della provincia;
la conferenza dei servizi, all'unanimità, sulla base dei pareri e delle determinazioni fornite dalle amministrazioni interessate e dagli enti tecnici presenti, aveva concluso i lavori esprimendo parere favorevole sul progetto;
considerato che:
a distanza di soli 3 anni, il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica ha convocato una nuova conferenza dei servizi istruttoria per il 9 febbraio 2023 con il seguente ordine del giorno: presentazione del documento "Discariche fronte mare e aree industriali di pertinenza Eni Rewind SpA. Progetto Operativo di Bonifica Fase 2 (…) Variante al POB fase 2 'Realizzazione di una discarica di scopo per rifiuti TENORM con amianto derivante dalle operazioni di bonifica della discarica ex Fosfotec Farina - Trappeto all'interno del sito Eni Rewind di Crotone";
sono stati invitati, tra gli altri, la Regione Calabria (Dipartimento territorio e tutela dell'ambiente e Dipartimento urbanistica), la Provincia di Crotone (settore ambiente), il Comune di Crotone e ARPACAL,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e se intenda adottare provvedimenti volti a comprendere quale sia la reale portata e la pericolosità dei rifiuti presenti nell'area;
se ritenga opportuno che sia convocata, con urgenza, una nuova conferenza dei servizi dopo quella decisoria del 2019;
se intenda chiarire il motivo per cui si deve richiedere nuovamente un parere alle amministrazioni laddove già espresso in precedenza sulla medesima situazione;
quale sia la posizione del Ministero sulla questione in essere e nei confronti delle proposte formulate da Eni Rewind.
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Premesso che:
nel nucleo industriale della Val di Sangro insiste lo stabilimento SEVEL, oggi FCA Italy, facente parte del gruppo Stellantis. Lo stabilimento ex SEVEL è specializzato nella produzione dei seguenti veicoli commerciali leggeri: Ducato, Citroen Jumper, Peugeot Boxer e Opel-Vauxhall Movano;
quello dell’automotive è uno dei settori maggiormente strategici per l’economia nazionale e abruzzese, oltre che per l’area industriale della Val di Sangro, con il relativo indotto produttivo. Sono presenti nel territorio sia aziende dell’indotto che aziende di trasformazione del Ducato, come la Trigano Van;
lo stabilimento nel 2021 ospitava oltre 6.000 dipendenti. Lo scorso anno circa 1.000 lavoratori somministrati non sono stati confermati alla scadenza del contratto di lavoro. Ulteriori dipendenti stanno, inoltre, ricevendo offerte da parte dell’azienda come incentivo all’esodo;
il gruppo Stellantis, dal 2019 ha avviato la produzione degli stessi veicoli prodotti nello stabilimento ex SEVEL anche nell’ex stabilimento Opel di Gliwice in Polonia. Quest’ultimo è stato ristrutturato per la nuova produzione ed è altamente automatizzato con una capacità produttiva di circa 107.000 furgoni l’anno. Lo stabilimento polacco, oltre a sottrarre la produzione dello stabilimento della Val di Sangro, apre un processo di competizione, sia per gli aiuti dello Stato Polacco, sia per il basso costo di produzione favorito dall’utilizzo di tecnologie di ultima generazione. Nessuna ristrutturazione, al contrario, è stata finora prevista per lo stabilimento ex SEVEL, i cui impianti risalgono al 2000;
considerato che:
la fornitura di semiconduttori è stata rallentata durante il periodo della pandemia e ciò non ha consentito una produzione completa, sia dello stabilimento ex SEVEL così come dello stabilimento polacco, facendo attestare la produzione dei due stabilimenti poco al di sotto dei 250.000 furgoni rispetto ad una capacità produttiva di circa 350.000 furgoni;
la produzione dello stabilimento ex SEVEL, prima della pandemia, si attestava intorno ai 300.000 furgoni, di cui il 55 per cento a marchio FCA e il 45 per cento a marchio PSA. Ora la produzione prevista si dovrebbe attestare intorno ai 250.000 furgoni anche se l’anno scorso si sono prodotti 206.000 furgoni;
nello stabilimento polacco la produzione prevista era di 41.000 furgoni e ne sono stati realizzati meno di 30.000;
nonostante l’accordo fatto con la Toyota per la produzione di nuovi furgoni, la situazione produttiva per il 2023 sembra essere simile a quella del 2022 per lo stabilimento di Atessa, mentre per lo stabilimento di Gliwice sembrerebbe profilarsi un aumento i volumi produttivi. I volumi Toyota non garantiranno un sensibile aumento delle produzioni, pertanto, sembra che anche per il 2023 i volumi si attesteranno sotto i 250.000 furgoni previsti;
Stellantis, per far fronte a questa situazione produttiva, sta pensando di internalizzare alcune attività spostando il problema occupazionale verso le imprese dell’indotto, che risultano essere una realtà di fondamentale importanza per il territorio della Val di Sangro,
si chiede di sapere:
quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda adottare affinché sia garantita la competitività, la produzione e il mantenimento dei livelli occupazionali nello stabilimento ex SEVEL di Atessa, di fondamentale importanza per il territorio della regione Abruzzo, e se, a tal fine, non ritenga indispensabile richiedere a Stellantis delucidazioni in merito al Piano industriale, agli investimenti e alle produzioni che intende porre in essere con riferimento a tale stabilimento;
se intenda istituire, presso il proprio Ministero, un tavolo di confronto permanente, con il coinvolgimento di Stellantis, delle rappresentanze sindacali, delle imprese dell’indotto e delle istituzioni locali, che affronti e risolva le problematiche dello stabilimento ex SEVEL e delle imprese dell’indotto presenti nel territorio;
se, attraverso la Regione Abruzzo, intenda attivare percorsi di ammodernamento delle imprese dell’indotto legate al settore dell’automotive con l’obiettivo di valorizzare le professionalità acquisite, favorire la riconversione delle produzioni verso la transizione ecologia e una maggiore apertura al mercato delle forniture in luogo della mono-committenza.
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Premesso che:
nelle date del 6 e 7 febbraio 2023, sui principali organi di stampa, è stato diffuso il contenuto di conversazioni intrattenute e dichiarazioni di Matteo Messina Denaro;
si tratta, in particolare, del contenuto di alcuni messaggi vocali inviati da Messina Denaro prima dell'arresto a due conoscenti, pazienti come lui nella clinica "La Maddalena" e contenenti affermazioni gravissime relative alla figura di Giovanni Falcone e alle celebrazioni in suo onore;
si tratta altresì, fatto ancora più grave, del contenuto di alcune conversazioni intrattenute da Messina Denaro in carcere, in occasione della ripresa del ciclo di terapie antitumorali cui è sottoposto, nel corso delle quali egli avrebbe commentato il contenuto di trasmissioni televisive relative alle vicende del suo arresto e, più in generale, alla sua figura criminale;
nel primo caso, la divulgazione riguarda dunque, con ogni probabilità, atti acquisiti al fascicolo delle indagini; nel secondo caso, invece, a trapelare è il contenuto di conversazioni intrattenute da Messina Denaro in carcere, pur trattandosi di detenuto sottoposto al regime restrittivo di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354;
considerato che:
sono pertanto state divulgate informazioni per loro natura riservate la cui diffusione mette a rischio l'andamento di indagini della massima delicatezza;
non è in discussione la massima tutela della libertà di informazione e della riservatezza delle fonti cui i giornalisti fanno riferimento, semmai quanto accaduto evidenzia la necessità di evitare che notizie così riservate e delicate possano trapelare e, allo stesso tempo, la necessità di assicurare un equilibrio ragionevole tra la tutela della riservatezza delle attività degli organi inquirenti e il diritto-dovere di informare ed essere informati,
si chiede di sapere come sia stato possibile che conversazioni intrattenute da un detenuto alle condizioni previste dall'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 siano trapelate dal carcere e se il Ministro in indirizzo non intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, opportune iniziative anche di carattere ispettivo per verificare quanto avvenuto.
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Premesso che:
secondo le stime rese note dall'ISTAT il 5 gennaio 2023, nel mese di dicembre 2022 l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,3 per cento su base mensile e dell'11,6 per cento su base annua. In media, nel 2022 i prezzi al consumo hanno registrato una crescita del più 8,1 per cento (più 1,9 per cento nel 2021) segnando l'aumento più ampio dal 1985 quando fu pari al 9,2 per cento. Al netto degli energetici e degli alimentari freschi (l'"inflazione di fondo"), i prezzi al consumo sono cresciuti del 3,8 per cento (più 0,8 per cento nel 2021) e al netto dei soli energetici del 4,1 per cento (più 0,8 per cento nel 2021);
per quanto riguarda l'indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA), secondo l'ISTAT la variazione media annua del 2022 è stata pari a più 8,7 per cento (più 1,9 per cento nel 2021). A dicembre 2022 è stato rilevato un aumento dello 0,2 per cento su base mensile e del 12,3 per cento su base annua (da più 12,6 per cento di novembre). Il dato italiano è nettamente superiore sia alla media della zona Euro (più 9,2 per cento) che ai livelli di Paesi come Germania (più 9,6 per cento), Francia (più 6,7 per cento) e Spagna (più 5,6 per cento);
alla luce di tali andamenti, l'ISTAT ha stimato che l'inflazione già acquisita, o trascinamento, per il 2023, ossia la crescita media che si avrebbe nell'anno se i prezzi rimanessero stabili fino al prossimo dicembre, è pari al 5,1 per cento;
considerato che:
tali incrementi dei prezzi colpiscono principalmente: i) i lavoratori a reddito fisso, come gran parte del lavoro dipendente, e i pensionati il cui meccanismo di indicizzazione è stato indebolito dalla legge di bilancio per il 2023; ii) le fasce più deboli della popolazione, le famiglie a basso reddito e i lavoratori precari, che spendono in proporzione di più per energia e generi alimentari; iii) i risparmiatori che hanno investito, direttamente o indirettamente, in titoli a tassi di interesse fissi, che sono spesso risparmiatori meno sofisticati e con importi di risparmio limitati;
l'Ufficio parlamentare di bilancio, nel documento presentato in audizione sul disegno di legge di bilancio per il 2023, ha evidenziato, infatti, che l'impatto della crescita dei prezzi registrata nel periodo tra giugno 2021 e dicembre 2022, presenta un profilo fortemente regressivo, poiché gli aumenti dei prezzi hanno riguardato beni di prima necessità (alimentari ed energia) che incidono molto sulla spesa dei soggetti più poveri. Di conseguenza, la variazione della spesa per il decile di famiglie più povere è stata pari al 15,1 per cento, mentre per il decile di famiglie più ricche è stato del 6,8 per cento. Ad attenuare questa grave situazione hanno contribuito le misure di mitigazione adottate dal Governo pro tempore Draghi, fra cui l'azzeramento o la riduzione degli oneri di sistema sulle bollette, il potenziamento dei bonus sociali luce e gas, il taglio delle accise sui carburanti e gli interventi di sostegno del reddito dei lavoratori dipendenti e dei pensionati;
tenuto conto che:
l'attuale andamento dell'inflazione, innescato dallo shock sui prezzi dei beni energetici, rischia di diventare un fenomeno persistente, indipendentemente dall'andamento dei prezzi energetici, e difficile da correggere senza adeguate politiche di intervento. Quando l'inflazione sale in modo significativo, infatti, tende a rimanere alta per diverso tempo, perché aumenta le aspettative di inflazione futura e innesta una rincorsa tra diversi prezzi e retribuzioni. La BCE ha risposto all'alta inflazione degli ultimi mesi con rialzi dei tassi di interesse, peraltro ancora limitati. Tuttavia, nonostante la corretta decisione, i primi effetti positivi, sulla base di stime econometriche, si avranno non prima di diversi trimestri;
le decisioni di politica fiscale del precedente Governo sono state improntate quanto più possibile al contenimento dei costi sia della bolletta elettrica per imprese e famiglie sia dei carburanti. Per questi ultimi è stata prevista una rideterminazione delle aliquote di accisa sulla benzina e sull'olio da gas e gasolio usato come carburante, a partire dall'articolo 1 del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, la cui efficacia è stata prorogata fino al 31 dicembre 2022;
il Governo Meloni ha prorogato le misure di contenimento dei prezzi per le bollette elettriche soltanto fino al mese di marzo 2023, mentre ha deciso, in palese contraddizione con quanto scritto nei programmi elettorali delle forze di maggioranza, di annullare il taglio delle aliquote di accise sui carburanti in un lasso di tempo molto breve: più 10 centesimi dal 1° dicembre 2022 e più 15 centesimi dal 1° gennaio 2023. Per effetto di tale decisione, si è assistito a partire dal 1° dicembre 2022 ad un immediato e costante aumento dei prezzi dei carburanti su tutto il territorio nazionale, che prefigurano ulteriori ricadute negative sull'andamento futuro dell'inflazione. I dati ufficiali del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica evidenziano come gli aumenti medi siano equivalenti all'aumento delle accise: la responsabilità dell'impennata dei prezzi deriva quindi fondamentalmente dalle scelte del Governo, al di là di episodi speculativi il cui peso risulta oggettivamente assai meno rilevante di quanto sostenuto strumentalmente dagli esponenti della maggioranza;
il decreto annunciato dal Governo il 10 gennaio 2023 in risposta al forte incremento dei prezzi dei carburanti non prevede alcun taglio delle accise e si limita a prevedere misure di trasparenza, ponendo a carico dei distributori l'obbligo di esporre accanto al prezzo di vendita dei carburanti anche il prezzo medio nazionale e a prorogare i buoni benzina del valore massimo di 200 euro a lavoratore. Misure che sono da più parti giudicate del tutto insufficienti rispetto all'obiettivo del contenimento dei prezzi dei carburanti e che prefigurano ulteriori rincari per i beni di consumo a partire dagli alimentari,
si chiede di sapere:
quali iniziative intenda intraprendere il Ministro in indirizzo nelle sedi istituzionali europee al fine di concordare politiche e strumenti comuni di intervento finalizzati ad evitare che la persistenza dell'inflazione abbia ricadute negative sulla diseguaglianza sociale (in termini di distribuzione del reddito e della ricchezza) e sulla continuità operativa delle imprese, sull'occupazione e sulle famiglie;
quali iniziative urgenti intenda adottare, al di là del contenimento del costo dei beni energetici, per sostenere i soggetti maggiormente colpiti dall'attuale andamento dei prezzi, in particolare i soggetti più poveri e le famiglie i cui redditi nominali non variano al variare dell'inflazione;
se intenda adottare, con urgenza, misure per la rideterminazione delle aliquote di accisa sulla benzina e sull'olio da gas e gasolio usato come carburante, al fine di contenere i rincari che si stanno registrando su tutto il territorio, e in caso contrario se intenda chiarire le motivazioni che ne impediscono l'adozione con grave pregiudizio per le famiglie e le imprese;
quali misure intenda adottare per sostenere le imprese dei settori maggiormente colpiti dagli effetti negativi dell'incremento dei prezzi al consumo e dei tassi d'interesse.
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Ai Ministri della salute, delle imprese e del made in Italy e del lavoro e delle politiche sociali.
Premesso che:
il Ministero della salute, in data il 27 gennaio 2020, all’inizio dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, ha attivato il numero di pubblica utilità 1500, al fine di garantire alla cittadinanza informazioni e assistenza;
il servizio vede impegnati 500 operatori di Almaviva dei siti produttivi di Palermo, Catania, Rende, Napoli e Milano;
considerato che:
dal comunicato inviato, in data 29 dicembre 2022, dalle segreterie nazionali dei sindacati SLC CGIL, FISTEL CISL, UILCOM UIL, si apprende della comunicazione ad Almaviva contact, da parte del Ministero della salute, di procedere alla cessazione del servizio 1500 a decorrere dal 31 dicembre 2022, condannando i 500 lavoratori alla collocazione in cassa integrazione straordinaria a zero ore e senza alcuna prospettiva occupazionale;
nel corso del tavolo tecnico che si è tenuto lo scorso 7 dicembre 2022 tra le organizzazioni sindacali, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero della salute, quest’ultimo aveva affermato la volontà di garantire la continuità lavorativa del personale, valorizzando le competenze acquisite in questi 3 anni e trasformando il servizio 1500 in un numero di pubblica utilità da dedicare all’assistenza agli utenti in ambito sanitario;
in riferimento alla vertenza, in data 12 dicembre 2022, si è tenuto un incontro tra il Governo regionale e i rappresentanti sindacali dei lavoratori del call center, nel corso del quale l’assessore per le attività produttive, Edy Tamajo, e l’assessora per il lavoro, Nuccia Albano, hanno preannunciato l’avvio di un’interlocuzione con il ministro Urso, nonché la programmazione di un tavolo tecnico con i responsabili dell’azienda;
considerato inoltre che:
- i licenziamenti colpiranno i siti produttivi delle città di Palermo e Catania;
- le regioni del Mezzogiorno sono già notoriamente colpite da una storica crisi occupazionale e, in particolare, secondo i dati Eurostat riferiti al 2021 Sicilia, Campania, Calabria e Puglia sono tra le 4 delle 5 regioni europee con il minor tasso di occupazione,
si chiede di sapere quali iniziative urgenti i Ministri in indirizzo abbiano adottato al fine di rispettare gli impegni presi con le sigle sindacali nel corso dell’incontro che si è tenuto con i rappresentanti del Governo regionale lo scorso 12 dicembre, al fine di tutelare i lavoratori di Almaviva, considerata anche la recente determinazione del Ministero della salute di non disperdere le professionalità e le competenze acquisite in questi anni, ma, al contrario, di valorizzarle dando luogo ad un servizio di pubblica utilità.
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Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Premesso che:
sebbene il momento peggiore dell’emergenza epidemiologica sembri ormai superato, non vi è dubbio che le ultime rilevazioni mostrano un nuovo incremento dei contagi che impone la necessità di mantenere invariato il livello di prevenzione limitando la circolazione del COVID-19 sui luoghi di lavoro e appare altresì necessario riproporre le tutele normative approntate in fase di crisi pandemica per proteggere i lavoratori fragili la cui salute, in ragione dell’età, di una patologia cronica o di un handicap con connotazione di gravità pregressi, rischi di essere irrimediabilmente compromessa dal virus;
come noto, l’articolo 26 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica, ha introdotto un insieme di misure allo scopo di salvaguardare questi lavoratori, ovvero l’equiparazione del periodo di assenza per malattia da COVID-19 al ricovero ospedaliero, il rimborso forfettario per i lavoratori non aventi diritto all’assicurazione e il diritto di svolgere la prestazione lavorativa ordinariamente in modalità agile, in cosiddetto smart working;
le misure normative sono state più volte prorogate, anche se in maniera residuale e sempre più scarna; da ultimo, l’articolo 25-bis del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2022, n. 142, decreto “aiuti bis”, ha prorogato fino al 31 dicembre 2022 il diritto allo smart working, esteso anche ai lavoratori con figli fino a 14 anni; questi ultimi possono usufruirne a condizione che il tipo di prestazione lavorativa sia compatibile con il lavoro agile e che l'altro genitore lavori e non goda nello stesso periodo di ammortizzatori sociali;
a giudizio degli interroganti le misure si sono dimostrate valide per per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro, in special modo lo smart working, dal momento che, da quanto si apprende a mezzo stampa, l’osservatorio del Politecnico di Milano in Italia ha stimato che la pandemia ha provocato una brusca accelerazione del ricorso al lavoro agile, considerando che prima dell’emergenza lo smart working riguardava poco più di 500.000 lavoratori mentre durante il lockdown si è raggiunto la quota di 6,5 milioni;
il Governo attuale non ha inserito nel testo del disegno di legge di bilancio per il 2023 alcuna norma volta a ripristinare le tutele di cui all’articolo 26 del decreto-legge n. 18 del 2020 e non ha neppure chiarito se il ricorso allo smart working, in scadenza al 31 dicembre 2022 verrà nuovamente prorogato,
si chiede di sapere quali iniziative necessarie e urgenti di propria competenza il Ministro in indirizzo intenda adottare intraprendere al fine di ripristinare tutte le misure a tutela dei lavoratori fragili, specie in questa fase di accertata ripresa dei contagi da COVID-19.
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Al Ministro dell'università e della ricerca.
Premesso che:
il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) dell'Italia è stato presentato in via ufficiale dal Governo italiano il 30 aprile 2021, a conclusione di un lungo processo di elaborazione che ha visto a più riprese il contributo del Parlamento, con attività conoscitive e di indirizzo, e approvato il 13 luglio 2021 con decisione di esecuzione del Consiglio, che ha recepito la proposta di decisione della Commissione europea. Alla decisione di esecuzione del Consiglio è annesso un ampio allegato, con cui vengono definiti, in relazione a ciascun investimento e riforma, precisi obiettivi e traguardi, cadenzati temporalmente, al cui conseguimento si lega l'assegnazione delle risorse su base semestrale;
la relazione sullo stato di attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza, presentata il 5 ottobre 2022, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, nell'ambito dei traguardi e obiettivi da conseguire entro il 30 giugno 2022, al paragrafo 1.1.2.4 "Istruzione e ricerca", illustra come "tra le riforme in materia di ricerca, il Ministro dell'università e della ricerca ha adottato tre decreti ministeriali diretti a incentivare la mobilità nel settore della ricerca e dello sviluppo (R&S). In particolare, le disposizioni hanno l'obiettivo di introdurre un approccio più sistemico alle attività di R&S, facilitare la mobilità di personalità di alto profilo (come ricercatori e dirigenti) tra università, infrastrutture di ricerca e imprese e semplificare la gestione dei fondi (M4C2-4). Ai fini dell'attuazione, oltre alla istituzione di una cabina di regia cui partecipa anche il Ministero dello sviluppo economico, sono state adottate disposizioni per la semplificazione della gestione dei fondi e per la mobilità tra le posizioni apicali di ricerca. A corredo della riforma, in sede di conversione del decreto-legge n. 36 del 2022 è stata introdotta una revisione dei percorsi di carriera dei ricercatori universitari";
come specificato nell'ultimo periodo del precedente paragrafo, la legge 29 giugno 2022, n. 79, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, recante ulteriori misure urgenti per l'attuazione del PNRR, all'articolo 14 prevede, ai commi da 6-septies a 6-vicies semel, nonché al comma 6-vicies ter, disposizioni in materia di reclutamento del personale della ricerca delle università, intervenendo sul segmento del pre-ruolo universitario successivo al conseguimento del dottorato di ricerca, in attuazione della missione 4, componente 2, riforma 1.1. ("Attuazione di misure di sostegno alla R&S per favorire la semplificazione e mobilità"), del PNRR;
in particolare, il comma 6-sepites, richiamando la finalità di "dare attuazione alle misure di cui alla citata Riforma 1.1 della Missione 4, Componente 2", novella l'articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, mediante l'introduzione del "contratto di ricerca", ovvero una figura di ricercatore in post dottorato; il nuovo articolo 22 sopprime lo strumento dell'assegno di ricerca, utilizzabile dalle università fino al 31 dicembre 2022, ai sensi del comma 6-quaterdecies;
premesso inoltre che:
nel corso della XVIII Legislatura, la commissione 7ª del Senato della Repubblica ha svolto un'indagine conoscitiva sulla condizione studentesca nelle università e il precariato nella ricerca universitaria, approvata all'unanimità nella seduta del 3 agosto 2021, nella quale si raccomandava la "revisione dell'attuale disciplina normativa dell'assegno di ricerca", evidenziando come esso costituisse "l'anello debole del sistema nazionale di pre-ruolo, con un utilizzo abnorme e surrettizio che ha indotto negli anni una pesante precarizzazione del sistema a scapito della qualità e della potenzialità di migliaia di ricercatori. A tal proposito, è emersa la necessità di potenziare il ciclo del post-dottorato nel suo complesso (evitando, ad esempio, una frammentazione dell'assegno su più annualità) e di rafforzare le tutele contrattuali dei titolari dell'assegno assimilandole, per quanto possibile, a quelle tipiche di contratti subordinati, ossia, in ipotesi, al pari delle condizioni previste per il ricercatore confermato a tempo indeterminato a tempo pieno"; tale indicazione è stata, come noto, appieno recepita nella novella introdotta dal richiamato articolo 14 del decreto-legge n. 36 del 2022;
tra l'altro, già nel 2016, a seguito delle prese di posizione negative del servizio giuridico della DG Ricerca della Commissione europea, era venuta meno la possibilità per gli stakeholder italiani di rendicontare le tipologie lavorative corrispondenti, tra le altre, ad "assegni di ricerca" come costi del personale nei progetti finanziati nell'ambito del programma quadro ricerca e innovazione "Horizon 2020"; la questione, in fine risolta, ha evidenziato la peculiarità (in senso negativo, per la Commissione) della fattispecie dell'assegno di ricerca adottata nell'ordinamento italiano, unicum nel quadro degli altri Paesi UE;
l'abolizione dell'assegno di ricerca, inoltre, ha tenuto conto dell'opportunità di agire in conformità al diritto dell'Unione europea (in particolare alle clausole 4 e 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE del 28 giugno 1999) circa il rapporto di lavoro dei ricercatori universitari assunti a tempo determinato. Infatti, il contratto di ricerca (nuovo articolo 22 della legge n. 240 del 2010) si configura sulla base del ricercatore a tempo determinato di tipo A (ex articolo 24, comma 3, lettera a)), superando i limiti intrinsechi allo strumento dell'assegno di ricerca. Per cui, sulla base di quanto rilevato esplicitamente dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, la fissazione della durata massima del contratto e l'autorizzazione a una sola proroga limitata nel tempo costituiscono, in coerenza con quanto previsto dalla clausola 5, punto 1, dell'accordo europeo, misure sufficienti per prevenire efficacemente il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato; al contrario, come si può dedurre, dell'assegno di ricerca;
considerato che:
con nota n. 9732 del 28 luglio 2022 la Direzione generale delle istituzioni della formazione superiore del Ministero dell'università e della ricerca ha comunicato che, circa il contratto di ricerca, "nelle more della definizione contrattuale dell'importo dei contratti e della conseguente possibilità di indire le relative procedure di reclutamento, le Università potranno provvisoriamente fare riferimento al costo minimo biennale del ricercatore confermato a tempo definito (circa 75.000 euro)";
nella circolare ministeriale n. 9393 dell'8 luglio 2022, inoltre, veniva specificato che "con riferimento al comma 6 del nuovo articolo 22, nella parte in cui prevede che 'la spesa complessiva per l'attribuzione dei contratti di cui al presente articolo non può essere superiore alla spesa media sostenuta nell'ultimo triennio per l'erogazione degli assegni di ricerca, come risultante dai bilanci approvati', si fa presente che - essendo stata tale disposizione inserita al fine di garantire la sostenibilità finanziaria dell'introduzione della nuova figura - tale limite non può che riferirsi alla spesa media sostenuta con fondi interni degli atenei, con esclusione, quindi, delle cc.dd. risorse esterne (tra le quali, in particolare, quelle provenienti da progetti di ricerca finanziati, in tutto o in parte, da soggetti esterni), con le quali i contratti di ricerca potranno essere finanziati senza limitazioni", ovvero successivamente all'allocazione di ulteriori risorse, specificamente destinate al reclutamento di cui all'articolo 22 citato, nel fondo per il finanziamento ordinario delle università, di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537;
considerato inoltre che:
con decreto direttoriale n. 1409 del 14 settembre 2022 del Ministero è stato pubblicato il programma PRIN (progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale) 2022, con una dotazione pari a 420 milioni di euro, destinato al finanziamento di progetti di ricerca pubblica, al fine di promuovere il sistema nazionale della ricerca, di rafforzare le interazioni tra università ed enti di ricerca in linea con gli obiettivi tracciati dal PNRR e favorire la partecipazione italiana alle iniziative relative al programma quadro di ricerca e innovazione dell'Unione europea;
il bando, all'articolo 1, comma 4, lettera l), individua per coordinatore scientifico (o "principal investigator", PI), tra gli altri, un ricercatore a tempo determinato di cui agli articoli 22 (come modificato dal comma 6-septies di cui sopra, che ha introdotto la nuova figura del contratto di ricerca di durata biennale) e 24 (con riferimento sia ai ricercatori di tipo a) e b) che alla nuova figura di ricercatori introdotta dalle modifiche apportate all'articolo 24 dal decreto-legge n. 36 del 2022) della legge n. 240 del 2010 e successive modificazioni;
tenuto conto che:
nella seduta congiunta di martedì 22 novembre 2022 delle commissioni 7ª del Senato della Repubblica e VII della Camera dei deputati, il Ministro in indirizzo, in sede di replica, ha affermato che il contratto di ricerca "è pericoloso", che "non può entrare in vigore ora"; tali affermazioni, come evidente, risultano in contraddizione con l'immediata esecutività del citato articolo 14, comma 6-septies, della legge n. 79 del 2022, pubblica nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 150 del 29 giugno 2022, entrata in vigore 30 giugno 2022 e, tra gli altri, con il citato decreto direttoriale n. 1409; oltre che da quanto affermato nell'indagine conoscitiva sulla condizione studentesca nelle università e il precariato nella ricerca universitaria, approvata all'unanimità nella seduta del 3 agosto 2021;
anche in virtù delle riforme citate, il Ministero dell'economia e delle finanze ha inviato alla Commissione europea la richiesta relativa al pagamento della seconda rata dei fondi del PNRR, per l'importo pari a 21 miliardi di euro (suddivisi fra 10 miliardi di sovvenzioni e 11 miliardi di prestiti),
si chiede di sapere:
quali misure il Ministro in indirizzo intenda adottare al fine di dare piena operatività alla riforma M4C2-4, al cui corredo è stato introdotto il contratto di ricerca e il ricercatore "in tenure track" (rispettivamente, novellando gli articoli 22 e 24 della legge n. 240 del 2010), senza compromettere i bandi in corso (per esempio, il PRIN 2022 citato) e la nuova programmazione degli atenei;
se non ritenga urgente provvedere all'individuazione, considerata l'imminenza dell'approvazione del disegno di legge di bilancio per il 2023, di ulteriori specifiche risorse a valere sul fondo di finanziamento ordinario delle università, volte a sostenere l'attività di ricerca di base mediante la stipula di contratti di ricerca (nuovo articolo 22 della legge n. 240 del 2010).
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Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Premesso che:
il Mare Adriatico, secondo l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), oltre a presentare preoccupanti fenomeni di inquinamento, versa in un marcato stato di sovrasfruttamento dei principali stock ittici, che potrebbe portare gradualmente al collasso dell'ecosistema;
la fascia costiera del Piceno e` inserita nella legge 6 dicembre 1991, n. 349 (legge quadro sulle aree protette) tra le aree marine di reperimento da destinarsi ad aree marine protette;
nonostante ciò, tale bacino presenta un grosso deficit in rapporto agli obiettivi di tutela della biodiversità fissati dall'Unione europea e programmati dalla stessa normativa italiana;
tenuto conto che in linea con l'obiettivo della Strategia europea per la biodiversità 2030, l'Italia ha recentemente aderito ai "Blue Leaders", alleanza mondiale dei Paesi più impegnati per la salvezza dei mari del pianeta di fronte alla crisi climatica, alla pesca eccessiva, all'inquinamento e ad altre minacce;
considerato che:
come espresso dalle amministrazioni locali della provincia di Ascoli Piceno interessate, il Parco marino del Piceno si inserisce in una idea moderna di "parco", ovvero nella concezione di una gestione integrata, per lo sviluppo sostenibile della fascia costiera, tendente in primo luogo a recuperare l'ambiente costiero e contestualmente a farlo convivere con le attività umane;
gli stessi Enti locali dell'area hanno intrapreso nel tempo una serie di iniziative in tal senso e sottoscritto nel 1998 un accordo di programma per l'istituzione del "Parco Marino del Piceno"; iniziative che si sono pero` interrotte nel 2010, a seguito dell'espressione il 29 aprile 2010, da parte della Conferenza Unificata, di un parere favorevole dello schema di decreto istitutivo dell'area marina protetta "Costa del Piceno";
nel giugno 2021, i sette sindaci dei Comuni della provincia di Ascoli Piceno, inclusi nel citato schema di decreto istitutivo dell'area marina protetta, hanno sottoscritto congiuntamente un documento nel quale si sostiene tra l'altro che «nella complessa congiuntura legata alla pandemia il progetto del "Parco Marino del Piceno" possa rappresentare oltre che un progetto innovativo per la doverosa transizione ecologica dell'economia, una importante opportunità per la qualificazione del territorio, migliorando il suo contesto ambientale e la sua riconoscibilità nazionale ed internazionale con ricadute benefiche sul comparto turistico e sugli altri settori dell'economia locale» e si esprime formalmente «la volontà delle rispettive Amministrazioni di procedere senza ulteriori indugi» di riprendere l'iter finalizzato a «pervenire nel minor tempo possibile all'istituzione dell'AMP Costa del Piceno»;
a seguito della suddetta iniziativa istituzionale, il Ministero della transizione ecologica, dopo un primo confronto con i sindaci delle amministrazioni coinvolte, avvenuto il 19 luglio 2021, ha convocato formalmente un tavolo istituzionale, tenutosi il 27 settembre 2021, nel corso del quale si e` stabilito di incaricare l'ISPRA dell'aggiornamento degli studi biologici e socio-economici elaborati a supporto dell'originario percorso istitutivo nel 2008;
a distanza di oltre un anno da tale determinazione, non si hanno notizie riguardo all'avvio delle attività scientifiche e delle consultazioni da svolgere; ciò mentre nelle comunità locali interessate si sta sviluppando, a cura degli enti interessati e di una rappresentativa associazione di volontariato appositamente costituita, una intensa azione di informazione, di sensibilizzazione e di confronto tra i vari soggetti socio-economici del territorio finalizzata alla condivisione delle possibili soluzioni alle fisiologiche criticità legate all'istituzione della riserva,
si chiede di sapere
quali iniziative di propria competenza il Ministro in indirizzo intenda adottare ai fini della istituzione dell'area marina protetta della costa del Piceno in attuazione della già citata legge 6 dicembre 1991, n. 349 e quali tempi preveda siano necessari al fine completarne l'iter istitutivo, laddove dagli studi di cui si e` stabilito l'aggiornamento venissero confermate le condizioni già verificate nel 2010.