Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-02412 Pubblicato il 23 settembre 2025, nella seduta n. 344 Nicola Irto cofirmatario


Ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali. -

Premesso che:

in Italia, nel primo semestre 2025, da quanto emerge da statistiche diffuse a mezzo stampa, i canoni di affitto sono aumentati di più del doppio rispetto ai prezzi delle case in vendita. Tra inizio gennaio e fine giugno 2025 l’aumento dei costi di affitto di abitazioni è stato del 5,5 per cento, con le locazioni che hanno così raggiunto il costo in media di 14,3 euro al metro quadro;

l’aumento si pone in continuità con il trend dell’ultimo decennio dei mercati immobiliari delle principali città capoluogo italiane nelle quali, secondo quanto più volte evidenziato dal CENSIS, si sono verificati picchi di aumenti superiori al 40 per cento, in modo direttamente proporzionale all’aumento generalizzato dei prezzi al metro quadro dei beni immobili delle maggiori città europee;

considerato che:

tra il 2015 e il 2023, i prezzi delle abitazioni in Unione europea hanno registrato un aumento medio del 48 per cento, mentre gli affitti sono saliti del 18 per centro;

a fare le spese di questo aumento generalizzato dei costi degli affitti sono purtroppo le fasce più deboli della popolazione, come gli studenti, i giovani lavoratori, le famiglie monoreddito e gli anziani che rappresentano il 24,3 per cento della popolazione italiana;

recenti dati diffusi dall’ISTAT sottolineano che il 5,6 per cento della popolazione italiana (circa 3,3 milioni di persone) vive in condizioni di grave deprivazione abitativa, non soltanto a causa dell’aumento dei prezzi ma anche per la cronica mancanza di strutture abitative idonee;

alla problematica dell’emergenza abitativa non solo non è stata data alcuna risposta efficace in termini di riordino della normativa in materia urbanistica e di programmazione di nuove soluzioni abitative, ma si è addirittura scelto di azzerare il finanziamento del fondo nazionale per il contributo affitto e morosità incolpevole, istituito nel 2016 e che negli anni è servito ad arginare gli sfratti;

particolare allarme desta la condizione degli anziani i quali, a quanto risulta da notizie apprese a mezzo stampa, sono i più colpiti dal “caro affitti”, non solo a causa dell’aumento dei prezzi connesso all’inflazione, ma anche perché in alcune città del Sud Italia si è diffusa la prassi, in uso a numerose agenzie di locazione degli immobili, di non stipulare contratti di affitto con anziani e pensionati titolari di pensioni sociali;

tale prassi viola il principio di non discriminazione per ragioni legate all’età sancito dall’articolo 3 della Costituzione e si pone anche in contrasto con il bilanciamento tra il principio di libera iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione e l’obbligo che il medesimo principio non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla dignità umana, nello specifico discriminando una fascia debole della popolazione come gli anziani,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti;

quali misure necessarie ed urgenti intendano assumere al fine di garantire ai titolari di pensioni sociali il libero accesso all’affitto di immobili.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-02279 - Pubblicato il 22 luglio 2025, nella seduta n. 331.

IRTO - Al Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. -

Premesso che:
il comparto agricolo del comprensorio di Rocca Imperiale/Trebisacce, in Calabria, riveste un ruolo di primaria importanza per l'economia regionale, con la produzione del limone IGP, che costituisce una delle eccellenze del settore e contribuisce significativamente al PIL della Regione;
gli anni passati sono stati caratterizzati da una grave siccità che ha già lasciato segni evidenti sugli impianti e sulla pezzatura del prodotto agricolo, e, nonostante le piogge invernali, la persistente scarsità di provviste idriche continua a destare forte preoccupazione;
nel mese di marzo, è stato siglato un "accordo di programma per il governo delle risorse idriche" tra la Regione Basilicata e la Regione Puglia, che ha concluso i lavori con la proposta di non erogare acqua al Consorzio di bonifica dei bacini dello Jonio Cosentino dall'invaso di Monte Cutugno, circostanza che ha trovato la sottoscrizione del verbale dei partecipanti e che è da considerarsi un "fatto gravissimo";
ciò evidenzia una grave assenza della Regione Calabria, e più precisamente del Consorzio di bonifica predetto e dell’Assessorato regionale all’Agricoltura, dai tavoli di confronto e di ragionamento sulla crisi idrica che hanno coinvolto le regioni Puglia, Basilicata, Campania e Molise;
in passato, con il Governo Oliverio, fu sottoscritto un protocollo di portata storica per l'aumento della dotazione idrica, sfociato in un finanziamento per la realizzazione di una condotta dedicata al comprensorio Rocca Imperiale/Trebisacce;
a quanto pare, ad oggi, le rassicurazioni, giunte dall’assessore regionale all'Agricoltura, circa un aumento di portata d'acqua per uso irriguo sono da considerarsi insufficienti;
il comparto agricolo del comprensorio Rocca Imperiale/Trebisacce necessita di una portata di almeno 300 l/s per il mese di maggio/giugno e di circa 550 l/s per i mesi di luglio/agosto per garantire la sopravvivenza degli impianti e la qualità del prodotto, mentre la prevista portata di 330 l/s per luglio (attualmente disposta in via eccezionale) e inferiore ai 450 l/s per luglio/agosto (anche in considerazione di eventuali contrazioni da siccità) metterebbe a serio rischio le produzioni di eccellenza del comprensorio;
la situazione rischia di distruggere l'intero comparto agricolo del comprensorio Rocca Imperiale/Trebisacce, che conta circa 1.200 ettari di aree irrigabili, di cui 600 ettari ricadenti nel Comune di Rocca Imperiale,

si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali urgenti iniziative intenda intraprendere, anche in coordinamento con le Regioni interessate e con Acque del Sud per garantire al comprensorio irriguo Rocca Imperiale/Trebisacce una dotazione idrica sufficiente e pari ad almeno 500 litri di acqua al secondo nei mesi di luglio e agosto, così come richiesto dagli operatori del settore per salvaguardare le produzioni;
quali azioni il Governo intenda mettere in atto per affrontare la disparità di trattamento riservata alla Regione Calabria e, in particolare, al Consorzio di bonifica dei bacini dello Jonio Cosentino, escluso dall'accordo di programma sulla gestione delle risorse idriche dell'invaso di Monte Cutugno;
quali soluzioni valide, oltre al mero aumento di portata, il Ministero intenda considerare per affrontare strutturalmente la crisi idrica nel comprensorio, anche alla luce dei precedenti protocolli e finanziamenti per la realizzazione di infrastrutture idriche dedicate.

 

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-02057. Pubblicato il 16 luglio 2025, nella seduta n. 329. Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro dell'interno. -

Premesso che:
in località Baronello, frazione di Castellace, nel comune di Oppido Mamertina (Reggio Calabria), sorge un uliveto di circa 11 ettari confiscato alla criminalità organizzata e affidato alla gestione della cooperativa sociale “Valle del Marro - Libera terra” impegnata nel riutilizzo a fini produttivi e sociali dei beni sottratti alla mafia;
l’uliveto, simbolo di legalità e riscatto, è da anni oggetto di gravi atti intimidatori e vandalici: nel 2011 un incendio doloso ha infatti distrutto 500 ulivi secolari, vanificando 5 anni di lavoro di recupero del fondo agricolo; nel 2012 un secondo incendio ha distrutto un escavatore confiscato e assegnato alla cooperativa per i lavori di espianto degli alberi danneggiati; e nel 2015, sono stati abbattuti 96 alberelli dei 1.200 che la cooperativa aveva messo a dimora nel 2013;
in data 11 luglio 2025, un nuovo incendio doloso ha devastato circa 830 alberi distribuiti su quasi 4 ettari, distruggendo la parte più produttiva del fondo, causando un danno economico diretto di circa 30.000 euro, con una perdita di oltre 20.000 chilogrammi di olive, e un danno indiretto di ulteriori 18.000 euro, legato alla perdita di produttività dei prossimi 3 anni e ai costi di ripristino;
sempre in territorio calabrese, a Gioia Tauro (Reggio Calabria), la stessa cooperativa ha denunciato, in data 15 maggio 2025, furti e sabotaggi agli impianti di irrigazione di due terreni confiscati, coltivati a clementine e a kiwi, nonché, in data 17 giugno, l’incendio in località Pontevecchio di un campo di grano duro di 5,5 ettari;
nelle ultime settimane, sono stati diversi i fenomeni intimidatori a danno di cooperative agricole che gestiscono beni confiscati alla criminalità organizzata anche in altre regioni;
presso la cooperativa “Beppe Montana - Libera terra”, nel comune di Lentini (Siracusa), in data 8 luglio, ignoti hanno dato fuoco ad un appezzamento di grano duro biologico di 20 ettari in località Cuccumella, colpendo duramente l’attività agricola e la tenuta economica della cooperativa;
il 3 giugno, la stessa cooperativa ha denunciato il danneggiamento del cancello d’ingresso e il furto dal centro congressi di diverse attrezzature e il 24 giugno, presso uno degli appezzamenti di agrumeto confiscati e gestiti dalla cooperativa a Ramacca (Catania), sono stati rubati quadretti, pompe e valvole necessari al funzionamento del sistema di irrigazione;
solo pochi mesi fa un altro episodio criminoso è avvenuto all’interno dei terreni confiscati assegnati al villaggio della legalità di “Libera” a Borgo Sabotino (Latina), e analoghi episodi hanno riguardato in passato la cooperativa “Libera masseria” di Cisliano (Milano), un complesso immobiliare confiscato alla famiglia della ‘ndrangheta Valle-Lampada;
considerato inoltre che:
tali atti non rappresentano semplici episodi vandalici, ma costituiscono azioni intimidatorie sistematiche, che inquietano in quanto rivolte a realtà che rappresentano un’alternativa concreta al potere delle organizzazioni criminali;
spesso si tratta di cooperative gestite da giovani che con coraggio scelgono di restare in quei territori e che non solo generano lavoro vero e legale, rafforzando l’inclusione sociale, ma incarnano una visione di sviluppo fondata su legalità, sostenibilità e giustizia,

si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza della situazione e se non ritenga opportuno intervenire al fine di assicurare che i beni confiscati risultino reali strumenti di riscatto e sviluppo dei territori, senza che sia lasciato spazio ai tentativi di intimidazione e sabotaggio da parte delle organizzazioni mafiose;
quali iniziative urgenti intenda adottare, al fine di garantire piena sicurezza e tutela alle cooperative impegnate nel riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, a partire dalle cooperative interessate dai recenti episodi intimidatori;
se abbia intenzione di attivare con urgenza un tavolo interministeriale che coinvolga le realtà del terzo settore, le prefetture e le forze dell’ordine al fine di un monitoraggio sistematico delle condizioni dei beni confiscati e delle cooperative affidatarie;
se non ritenga opportuno potenziare i fondi e gli strumenti di sostegno, anche economico e assicurativo, per garantire la continuità operativa delle cooperative danneggiate dalle azioni criminali.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato n. 3-01958. Pubblicato il 10 giugno 2025, nella seduta n. 313. Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro della salute. -
Premesso che:
la missione 6 del piano nazionale di ripresa e resilienza, con un finanziamento di 15,63 miliardi di euro (più 2,89 miliardi inizialmente previsti dal piano complementare PNC, poi ridimensionati), mira a: rafforzare l’assistenza territoriale con case e ospedali di comunità, l’assistenza domiciliare e le centrali operative territoriali; digitalizzare i dipartimenti di emergenza-urgenza e il fascicolo sanitario elettronico; potenziare i reparti di terapia intensiva, ammodernare le grandi apparecchiature sanitarie; promuovere formazione, ricerca biomedica e il riordino degli IRCCS;
in data 22 maggio 2025 l’Ufficio parlamentare di bilancio ha pubblicato un focus in cui viene esaminato lo stato di avanzamento della missione, mediante un’analisi che “va oltre la questione del rispetto formale delle scadenze previste per il raggiungimento degli obiettivi concentrandosi, soprattutto, sulla concreta possibilità di successo della sfida di riorganizzare e potenziare il Servizio sanitario nazionale” considerato che “le scadenze concordate a livello europeo della Missione Salute sono state sinora rispettate, ma le prossime tappe saranno le più difficili da completare, in particolare laddove si tratti di chiudere rapidamente i cantieri aperti (l’81,7 per cento dei progetti è in fase esecutiva o conclusiva) e portare a compimento anche i lavori ancora non avviati” e sottolineando come l’attuale situazione richieda “performance decisamente migliori rispetto alla tradizionale lunghezza della durata dei lavori pubblici in Italia” anche dal punto di vista finanziario, dove “la spesa risulta pari a 2,8 miliardi, un importo di poco inferiore a quanto previsto dal cronoprogramma (3,1 miliardi), ma lontano dall’ammontare complessivo delle risorse da utilizzare”;
nel focus viene riportato che “nel presente stadio di realizzazione degli investimenti, si avverte una possibile discrasia tra l’impostazione adottata nella fase di programmazione e l’esecuzione concreta. Nell’ambito della programmazione del PNRR, infatti, le Regioni meridionali sono state sostenute dal vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse territorializzabili al Mezzogiorno, ma in presenza di una revisione verso il basso dei target relativi agli interventi edilizi, senza indicazione di obiettivi regionali coerenti con la programmazione” aggiungendo che “anche se le scadenze fossero rispettate con la completa adesione ai traguardi europei, potrebbe non essere assicurato il previsto riequilibrio territoriale”. In particolare, in relazione ai principali investimenti edilizi, ovvero “quelli nelle case della comunità (CdC), che hanno goduto di una riserva di risorse elevata al 45 per cento, e negli ospedali di comunità (OdC), il vincolo doveva garantire un riequilibrio con le Regioni con dotazioni infrastrutturali maggiori”. A tal riguardo si specifica che delle 1.038 case di comunità previste (target ridotto da 1.350), 943 cantieri risultano attivati o conclusi, ma solo 38 collaudati, e anche tra gli ospedali di comunità (target rivisto a 307), la situazione riporta di 310 cantieri avviati, ma solo 14 collaudati. In Molise non risulta attivo alcun cantiere per le case di comunità mentre in Sardegna e Calabria i cantieri sono solo una frazione del previsto e la spesa conferma tale situazione dal momento che il Sud ha utilizzato solo il 18,5 per cento delle risorse per le case di comunità e il 19,1 per cento per gli ospedali di comunità. Ancora più preoccupante è il quadro relativo ai servizi dove solo il 3 per cento delle case di comunità offre oggi i servizi obbligatori previsti dal decreto ministeriale n. 77 del 23 maggio 2022 con gravi carenze di personale medico e infermieristico;
tenuto conto che:
il documento dell’Ufficio parlamentare di bilancio riporta come “l’utilizzo del Fascicolo sanitario elettronico è ancora limitato; quanto all’assistenza domiciliare, le Centrali operative territoriali (COT) sono in funzione, le informazioni disponibili sulla platea degli assistiti in assistenza domiciliare integrata risalgono al 2023, quando l’incremento non appariva omogeneo sul territorio, e per la telemedicina, i progetti regionali sono stati approvati e la piattaforma nazionale è attiva, ma l’obiettivo di 300.000 pazienti assistiti entro il 2025 è stato rimodulato a causa dei ritardi”. Relativamente alla digitalizzazione dei dipartimenti di emergenza-urgenza nel paper dell’UPB viene riportato che solo il 21 per cento delle risorse è stato fatturato con forti ritardi in Abruzzo, Umbria e Marche ed anche il fascicolo sanitario elettronico soffre di “limiti strutturali quali problemi di interoperabilità, frammentazione regionale e ritardi nei caricamenti dei documenti”. Riguardo all’intervento relativo ai posti in terapia intensiva e semi-intensiva, vengono poi segnalati sviluppi differenziati tra le Regioni;
l’UPB sottolinea come “il successo della Missione Salute è anche legato alla capacità di popolare di professionisti, appositamente formati, le strutture nuove o potenziate. Attualmente, pochi servizi sono assicurati nelle Case e negli Ospedali di comunità, soprattutto nel Mezzogiorno, e non è chiaro in che misura i nuovi posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva siano dotati di apposito personale aggiuntivo per assistere i pazienti” in ragione anche dei fondi del PNRR che coprono in gran parte investimenti in conto capitale, lasciando aperto il problema della sostenibilità operativa delle nuove strutture essendo difficile reperire infermieri, medici di medicina generale e specialisti;
il 19 maggio la cabina di regia PNRR ha approvato una proposta di revisione tecnica del piano che è stata sottoposta all’esame del Parlamento e in cui la missione salute verrebbe solo marginalmente coinvolta dalle revisioni, che consisterebbero essenzialmente in modifiche definitorie e anticipi di target;
considerato che, come già denunciato dalla CGIL, “dei 19,2 miliardi di fondi disponibili per la Missione Salute M6, ne sono stati spesi appena 3,7, pari al 19%, e solamente il 38% dei progetti risulta completato”. Per quanto riguarda le case di comunità “i ritardi sono particolarmente preoccupanti: sono stati completati solo il 2% dei progetti, mentre per il 30% non sono ancora stati avviati i cantieri, e i finanziamenti spesi sono solo il 12%. Con questo ritmo ci vorranno almeno sette anni per completare tutti i lavori” e analoga preoccupazione viene espressa anche per gli ospedali di comunità dove risulta “completato solo il 3% dei progetti e speso solo l'11% dei fondi”,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga urgente adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di conoscere le motivazioni dei ritardi di attuazione delle misure di cui alla missione 6 del PNRR;
se non intenda assumere iniziative urgenti affinché tutti i progetti previsti siano realizzati entro i tempi stabiliti ovverosia entro il 2026 e con la garanzia di efficacia e efficienza della riorganizzazione e del potenziamento del servizio sanitario nazionale così come previsto;
se non ritenga necessario e urgente disporre iniziative specifiche volte a garantire l’effettiva osservazione della clausola di vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse territorializzabili al Mezzogiorno e che, come riferito nel documento dell’UPB, in ragione della revisione verso il basso dei target relativi agli interventi edilizi, senza indicazione di obiettivi regionali coerenti con la programmazione, potrebbe non essere più garantita, minando in tale modo il previsto riequilibrio territoriale.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Atto n. 3-01949. Pubblicato il 4 giugno 2025, nella seduta n. 312. Nicola Irto cofirmatario

Ai Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti. -
Premesso che:
la rete autostradale italiana è in una situazione di forte peggioramento infrastrutturale a causa di un lungo periodo di mancati lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, in particolare su viadotti e gallerie, con la necessità attuale, secondo quanto sostenuto dagli stessi concessionari, di interventi extra rispetto a quanto previsto nei piani economico finanziari (PEF) vigenti, per un ammontare di circa 27 miliardi di euro, di cui 22,2 miliardi per l’aggiornamento dei PEF di ASPI, 3,9 miliardi di euro per l’aggiornamento dei PEF del gruppo Gavio e 1,5 miliardi di euro per gli altri concessionari;
secondo notizie di stampa, una commissione istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per affrontare le richieste dei concessionari autostradali di riaggiornamento su 15 piani economico finanziari, dopo mesi di analisi e studio dei dati e delle richieste, avrebbe concluso i propri lavori rilevando che il calcolo dei suddetti extra costi non sarebbe fondato e non effettivamente dovuto;
le richieste di aggiornamento dei PEF sono state motivate dai concessionari autostradali tenendo conto di una serie di fattori, quali gli effetti dell’aumento dei costi delle materie prime, le conseguenze della pandemia e dei fattori geopolitici, nonché gli adeguamenti normativi e i nuovi standard tecnici richiesti e, infine, il recepimento delle prescrizioni che hanno innalzato gli standard dei controlli a seguito della strage del "ponte Morandi" di Genova;
secondo notizie di stampa, le argomentazioni sostenute dai concessionari autostradali, a parere degli esperti della commissione, non sarebbero sufficienti a motivare le richieste di aggiornamento dei PEF, in ragione del fatto che per anni i concessionari, a fronte degli ingenti incassi, non hanno provveduto alle manutenzioni ordinarie e straordinarie a cui erano tenuti per contratto. Le principali cause a cui attribuire i maggiori rilevanti costi sarebbero in realtà la sottostima dei valori economici posti alla base dei contratti di concessione e dei PEF approvati e la sottostima della quantità di manutenzioni straordinarie alla base dei contratti di concessione, anche a seguito della carenza di manutenzione ordinaria riscontrata negli ultimi anni. A questi due fattori, si aggiungerebbe la scelta dei concessionari di concentrarsi prevalentemente sulla realizzazione delle grandi opere a discapito di un’attenta pianificazione della manutenzione della rete autostradale. Sulla base di queste conclusioni, la commissione avrebbe invitato il Ministero a rivedere i rapporti di forza con i concessionari affermando che la ripartizione dei rischi tra concedente e concessionario deve essere maggiormente definita e inequivocabile. Tra gli obblighi del concessionario è previsto il mantenimento della funzionalità delle infrastrutture attraverso la loro manutenzione e la riparazione tempestiva e le linee guida emesse dal Ministero delle infrastrutture non possono aver incrementato la spesa se non nel caso in cui il concessionario abbia inizialmente, nel PEF vigente, sottostimato le esigenze di manutenzione straordinaria. Pertanto gli extra costi non possono essere imputati a modifiche normative;
considerato, altresì, che:
secondo notizie di stampa, il concessionario ASPI avrebbe mascherato per anni gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete autostradale sotto la voce investimenti, ossia con spese orientate a migliorare la rete autostradale scaricando i relativi costi sui pedaggi. Per gli esperti della commissione risulterebbe “una carenza estesa di manutenzione almeno di oltre un decennio precedente al periodo attuale, ne deriva che le somme imputate per manutenzione straordinaria non possono essere completamente riconosciute come investimenti” e, dopo aver risparmiato sulle manutenzioni per anni, ASPI non potrebbe pretendere un aggiornamento del PEF di tale portata e far ricadere i costi sullo Stato o sugli utenti;
l’attuale compagine azionaria di ASPI (CDP e i fondi Blackstone e Macquarie) ha definito una co-governance particolare secondo cui tutta la cassa prodotta al netto degli investimenti deve essere distribuita ogni anno sotto forma di dividendi o riserve. Come riportato da notizie di stampa, secondo CDP Equity la politica di dividendi perseguita andrebbe rivista a favore di maggiori investimenti di ASPI sulla rete autostradale. Per il 2024, su 1.027 milioni di euro di utile, 790 milioni sono stati distribuiti per soddisfare le esigenze di remunerazione dei fondi,
si chiede di sapere:
quali siano le valutazioni del Governo sui fatti esposti;
se intenda tempestivamente pubblicare e trasmettere al Parlamento la relazione della commissione istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per affrontare le richieste dei concessionari autostradali di riaggiornamento su 15 piani economico finanziari;
quali misure intenda adottare nei confronti dei concessionari che hanno omesso o mascherato gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete autostradale nel corso degli anni e affinché i mancati interventi siano tempestivamente realizzati, a partire dalle situazioni più gravi che riguardano viadotti e gallerie;
se intenda rivedere i rapporti con i concessionari autostradali riaffermando che tra gli obblighi prioritari a carico dei medesimi concessionari vi è quello del mantenimento della funzionalità delle infrastrutture attraverso la loro costante manutenzione e la riparazione tempestiva, evitando che tali interventi siano imputati sotto la voce investimenti e quindi riversati sui pedaggi o sul bilancio pubblico;
quali misure intenda adottare per evitare che in futuro i concessionari autostradali si concentrino prevalentemente sulla realizzazione delle grandi opere a discapito di un’attenta pianificazione della manutenzione della rete autostradale;
quali misure intenda, altresì, adottare affinché la politica di dividendi perseguita da ASPI non pregiudichi gli investimenti del gruppo sulla rete autostradale.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-02065. Pubblicato il 7 maggio 2025, nella seduta n. 300

IRTO - Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, delle imprese e del made in Italy e per gli affari europei. -

Premesso che:
- la “decontribuzione Sud” è un'agevolazione, introdotta dalla legge di bilancio per il 2021, che prevede un esonero contributivo per i datori di lavoro privati con sede in una delle regioni del Mezzogiorno;
- la misura è indirizzata ai datori di lavoro privati, esclusi gli imprenditori del settore finanziario e agricolo e i datori di lavoro domestico, con sede in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia;
- in generale, quindi, l’esonero contributivo parziale disciplinato dal combinato disposto dell’articolo 27 del decreto-legge n. 104 del 2020 e dell’articolo 1, commi da 161 a 168, della legge n. 178 del 2020 prevede un esonero parziale dei contributi dovuti dai datori di lavoro all’INPS in relazione a tutte le tipologie contrattuali di lavoro subordinato con sede di lavoro nelle citate regioni;
- il decreto-legge n. 104 del 2020 inizialmente prevedeva l’esonero del 30 per cento per i periodi di paga ottobre-dicembre 2020;
- successivamente la legge n. 178 del 2020 ha esteso fino al 2029 la riduzione contributiva con un décalage della misura: dal 2021 al 2025 una riduzione del 30 per cento; negli anni 2026 e 2027 una riduzione del 20 per cento; negli anni 2028 e 2029, del 10 per cento;
- l'agevolazione si applica ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo e dei contratti di lavoro domestico;
dal 2021, l’articolo 1, comma 162, della legge n. 178 del 2020 ha previsto, altresì, l’esclusione anche per i seguenti soggetti: enti pubblici economici; istituti autonomi case popolari trasformati in enti pubblici economici ai sensi della legislazione regionale; enti trasformati in società di capitali, ancorché a capitale interamente pubblico, per effetto di procedimenti di privatizzazione; ex istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza trasformate in associazioni o fondazioni di diritto privato in quanto prive dei requisiti per la trasformazione in aziende di servizi alla persona (ASP) e iscritte nel registro delle persone giuridiche; aziende speciali costituite anche in consorzio ai sensi degli articoli 31 e 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; consorzi di bonifica; consorzi industriali; enti morali ed enti ecclesiastici;
la decontribuzione Sud, così come concepita, costituisce un aiuto di Stato, per cui la fruizione è condizionata all’autorizzazione della Commissione europea. L’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che, salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza;
- dopo la scadenza di validità del quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nel periodo di emergenza da COVID-19, considerata l’esigenza di garantire la necessità di preservare l’occupazione delle imprese del Mezzogiorno ulteriormente rafforzata a causa del conflitto in Ucraina, le decisioni della Commissione europea di concessione dell’aiuto sono state rilasciate alle condizioni previste dal “temporary crisis framework” o TCF;
- la Commissione europea, in virtù di ciò, ha concesso una proroga fino al 31 dicembre 2024 della decontribuzione Sud;
- nel 2025, si è in attesa di ricevere un nulla osta per le grandi aziende da parte della Commissione europea, che dovrebbe confermare la misura deflattiva per l’anno in corso con conferma della percentuale del 30 per cento sui contributi a carico dell’azienda,

si chiede di sapere quali siano le valutazioni del Governo in merito ai fatti esposti e quali misure ed iniziative intenda porre in essere, anche nelle sedi UE, al fine di assicurare la proroga della misura “decontribuzione Sud”, fondamentale per i datori di lavoro e per la crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-02004. Pubblicato il 9 aprile 2025, nella seduta n. 293. Nicola Irto primo firmatario

- Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. -

Premesso che:
con nota congiunta dello scorso 23 settembre 2024, indirizzata via PEC al gabinetto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, per conoscenza, al gabinetto del Ministero delle imprese e del made in Italy, le segreterie della regione Calabria dei sindacati Slc-CGIL, Fistel-CISL e Uilcom-UIL hanno lamentato un ritardo, da parte del Ministero del lavoro, rispetto all’emanazione del decreto di concessione della cassa integrazione straordinaria per i lavoratori di Abramo customer care in amministrazione straordinaria, azienda ubicata nello stesso territorio regionale;

il ritardo riguarda il periodo che va dal 7 agosto al 7 novembre 2024;

gli stessi sindacati hanno osservato che ciò rischia di compromettere ulteriormente la già precaria situazione economica e sociale dei dipendenti coinvolti, ad oggi pesantemente provati da una lunga fase di incertezza e difficoltà;

di norma, il provvedimento di concessione è adottato con decreto del Ministero entro un periodo che va da un minimo di 30 giorni dalla richiesta a un massimo di 90 giorni, a seconda della motivazione in base alla quale si chiede l’intervento della cassa integrazione straordinaria;

la cassa integrazione straordinaria è uno strumento fondamentale per garantire la sostenibilità economica e lavorativa nell’attuale fase, molto delicata, dell’azienda;

è indispensabile quanto urgente l’intervento del Ministro in indirizzo al fine di scongiurare ulteriori problemi e difficoltà per i lavoratori interessati e le rispettive famiglie,

si chiede di sapere quali iniziative urgenti il Ministro in indirizzo intenda adottare al fine di assicurare al più presto l’effettiva integrazione della retribuzione dei lavoratori dell’azienda Abramo customer care.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-01984. Pubblicato il 3 aprile 2025, nella seduta n. 291; Nicola Irto primo firmatario

- Ai Ministri della salute e dell'economia e delle finanze. -

Premesso che:

dal 2010 la Regione Calabria è commissariata dal Governo per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale. Nella stessa regione persiste una situazione di grave criticità sul piano dell’assistenza sanitaria pubblica;
in Calabria, per quanto ricostruito in un articolo del quotidiano “Gazzetta del Sud” del 2 aprile 2025, vi è un’estensione delle liste d’attesa per prestazioni essenziali tale da generare un fenomeno strutturale di mobilità sanitaria passiva, con una spesa annua, da parte dell’ente Regione, di circa 300 milioni di euro;
il fenomeno è attivo da oltre 20 anni, con un flusso costante di pazienti calabresi verso strutture sanitarie di eccellenza del Nord Italia, in particolare in Lombardia e Veneto, nelle quali i cittadini calabresi si recano per ricevere cure e accertamenti che il sistema regionale non riesce a garantire in tempi utili;
si tratta di una situazione che sottrae risorse al servizio sanitario della Calabria, aggravandone le già pesanti criticità;
in numerose strutture della Calabria, secondo quanto riportato nell'articolo, si registrano tempi di attesa fuori scala. Ad esempio, nell’ospedale “Annunziata” di Cosenza, per una colonscopia con endoscopio flessibile, l’attesa media è di un anno, mentre una visita cardiologica presso l’ASP di Cosenza viene fissata al momento per febbraio 2026;
nell’articolo si riporta, altresì, che per le prestazioni diagnostiche si possono in genere ottenere in tempi più brevi spostandosi verso centri periferici come Bocchigliero o Praia a Mare, ma questi risultano difficilmente raggiungibili per le fasce più fragili della popolazione, in particolare gli anziani;
anche a Reggio Calabria e a Catanzaro la situazione è critica, tanto che per una colonscopia a Reggio Calabria si attendono 221 giorni, mentre a Catanzaro i tempi sono superiori all’anno. Inoltre, le attese per le visite urologiche raggiungono i 163 giorni a Reggio Calabria, mentre una giovane donna di Cosenza, secondo l'articolo, è in lista d’attesa per 15 mesi;
quanto esposto riguarda, stando alla fonte giornalistica, esami e visite classificate come “programmate” (codice “P” sulla ricetta), ma in realtà spesso fondamentali per prevenzione e diagnosi. Secondo Federconsumatori Calabria, riporta l’articolo, il SSR della Calabria soffre di carenze di personale, disservizi, mancanza di trasparenza e persistenti inefficienze gestionali, elementi che determinano un progressivo spostamento della domanda di sanità pubblica verso il settore privato, che però non è accessibile a tutte le fasce sociali;
la situazione, aggravata da quasi 15 anni di commissariamento governativo e da un deficit strutturale ancora irrisolto, mette concretamente a rischio il diritto alla salute dei cittadini calabresi, sancito dall’articolo 32 della Costituzione,

si chiede di sapere quali iniziative urgenti i Ministri in indirizzo, per quanto di rispettiva competenza, intendano assumere, anche per il tramite del commissario per l’attuazione del piano di rientro, al fine di assicurare in tempi brevi una significativa riduzione delle liste e dei tempi di attesa relativi alle prestazioni diagnostiche e specialistiche e di garantire il riequilibrio della mobilità sanitaria interregionale.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-01985. Pubblicato il 3 aprile 2025, nella seduta n. 291. Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro della salute. -

Premesso che:
l’ultimo rapporto nazionale di ANDOS-CREA, presentato il 31 marzo 2025 e intitolato "Effetti collaterali del cancro alla mammella", ha evidenziato dati estremamente preoccupanti. Secondo il rapporto, il costo delle cure per le pazienti italiane affette da tumore al seno è sempre più elevato: il 70 per cento delle pazienti con tumore al seno ha dovuto sostenere spese private nel percorso di cura, con un onere annuo medio di 1.665,8 euro, che raggiunge punte di 4.129,7 euro nel Sud e nelle isole, a fronte di una spesa minima di 614 euro nel Nordest;
come riportato dal 36,4 per cento delle pazienti, il 32,1 per cento dei costi sono dovuti alla distanza del centro di cura dalla propria residenza. In media, le donne percorrono 43 chilometri per il tragitto di sola andata verso la struttura sanitaria, per un totale di circa 160 chilometri al mese;
inoltre, nonostante la quasi totalità delle pazienti goda di esenzione dalle compartecipazioni, il 15 per cento ha dovuto dotarsi di una copertura assicurativa aggiuntiva, mentre il 17,6 per cento ha subito il rifiuto di una polizza assicurativa e il 12,5 per cento ha incontrato ostacoli o divieti nell’accesso al credito, ad esempio per l’acquisto di una casa;
i dati di ANDOS-CREA dicono che le spese private affrontate dalle pazienti riguardano per il 40,8 per cento i farmaci (502,8 euro annui), per il 14,7 per cento le visite specialistiche (181,6 euro), per il 10,5 per cento i trattamenti di fisioterapia e riabilitazione (129,1 euro), per il 7,6 per cento gli esami diagnostici (93,6 euro) e per il 5,7 per cento presidi medici e protesici (70,3 euro);

considerato che:
la copertura degli screening mammografici è significativamente più bassa nel Sud (58 per cento) rispetto al Nord (80 per cento) e al Centro (76 per cento), evidenziando una minore efficacia dei programmi di prevenzione oncologica nelle regioni meridionali;
il fenomeno della migrazione sanitaria evidenzia ulteriormente le disparità territoriali: nel 2022, su 629.000 ricoveri fuori regione, il 44 per cento riguardava pazienti residenti nel Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, il 22 per cento dei pazienti meridionali si è spostato per ricevere cure in altre regioni, sottolineando la carenza di servizi adeguati nel Sud;
il 4° rapporto GIMBE sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale ha evidenziato come uno dei principali fattori della crisi del sistema sanitario sia il definanziamento pubblico, che ha determinato una progressiva riduzione delle risorse destinate alla sanità pubblica e ha contribuito all’aumento delle disparità territoriali nell’accesso alle cure;
rilevato inoltre che:
l’articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la competenza esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali di assistenza, che devono essere garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale;
la disparità di accesso alle cure tra Nord e Sud rappresenta una violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto l’uguaglianza dei cittadini,

si chiede di sapere quali interventi urgenti intenda adottare il Ministro in indirizzo per garantire che tutte le pazienti affette da tumore al seno, indipendentemente dalla regione di residenza, possano accedere tempestivamente alle cure del SSN, senza dover sostenere oneri economici insostenibili o affrontare spostamenti proibitivi, nel pieno rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e tutela della salute.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-01914 - Pubblicato il 19 marzo 2025, nella seduta n. 287. Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro dell'università e della ricerca. -
Premesso che:

il Ministero dell’università ha pubblicato i decreti n. 156 del 24 febbraio 2025 e n. 148 del 24 febbraio 2025 per disciplinare i percorsi abilitanti per il personale docente della scuola secondaria di secondo grado, previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2023;

dovrebbe essere assicurato a tutti i vincitori di concorso “PNRR1”, assunti a tempo determinato fino al 31 agosto 2025, la possibilità di completare il percorso abilitante;

per l’anno accademico 2024/2025 i percorsi universitari e accademici di formazione iniziale possono essere svolti, ad esclusione delle attività di tirocinio e di laboratorio, con modalità telematiche, comunque sincrone, anche in deroga al limite previsto dal citato articolo 2-bis, comma 1, secondo periodo, e in ogni caso in misura non superiore al 50 per cento del totale;

i posti autorizzati sono 44.823, ma ciò avviene nelle more dell’accreditamento di ulteriori posti per l’anno accademico 2024/25 e si prevede un secondo decreto con altre classi di concorso autorizzate;

nel frattempo alcuni atenei hanno già predisposto delle pagine per le informazioni relative ai percorsi dell’anno accademico 2024/25 e pubblicato anche alcuni bandi: da quanto si apprende si tratta solo di università telematiche;

molti atenei statali, infatti, devono completare l'iter autorizzativo attraverso un secondo decreto ministeriale;

il decreto n. 156 del 24 febbraio 2025 contiene solo una parte dei posti autorizzati, soprattutto, se si tratta di docenti neoassunti da PNRR che devono completare i 30 o 36 CFU entro il 31 agosto 2025 per trasformare il contratto in tempo indeterminato;

il Ministero ha chiarito che “con riferimento ai percorsi per i quali è stato richiesto un nuovo accreditamento, e ai percorsi già accreditati per i quali sono state apportate modifiche, è in fase di ultimazione la relativa procedura di verifica. I posti verranno autorizzati con un successivo provvedimento";

inoltre in data 29 gennaio il Ministero ha riaperto la banca dati alla ricerca di Università che eroghino corsi per A006; A072; A073; A075; B005; B008; B009; B010; B013; B025; B026;

non si comprende se l’accreditamento per queste ulteriori classi di concorso avverrà all’interno del secondo decreto atteso a breve oppure con provvedimento specifico successivo;

ciò sta determinando una situazione di grande incertezza a danno degli aspiranti abilitanti,

si chiede di sapere quali tempistiche si prevedano per l'avvio delle iscrizioni ai percorsi abilitanti previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2023 ed entro quando verrà adottato il successivo provvedimento ministeriale già anticipato.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-01761 Pubblicato il 18 marzo 2025, nella seduta n. 286. Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro delle imprese e del made in Italy. -

Premesso che:
il Piano Transizione 5.0 rappresenta una misura strategica per incentivare la digitalizzazione e la sostenibilità energetica delle imprese italiane, attraverso un sistema di crediti d’imposta volto a supportare investimenti in tecnologie innovative e a migliorare l’efficienza produttiva;
ad oggi, solo il 6,3 per cento del totale dei fondi disponibili è stato allocato, segnale evidente delle difficoltà incontrate dalle imprese nell’accesso agli incentivi previsti;
numerose aziende segnalano criticità burocratiche, in particolare per quanto riguarda la rendicontazione degli investimenti e la certificazione dei progetti, con difficoltà legate alla misurazione del risparmio energetico;
la misurazione del risparmio energetico risulta particolarmente complessa per le imprese di nuova costituzione o che hanno variato sostanzialmente prodotti e servizi negli ultimi sei mesi, rendendo difficile operare una stima realistica dei consumi pregressi;
per accedere agli incentivi, è necessario dimostrare una riduzione dei consumi energetici di almeno il 3 per cento rispetto ai livelli precedenti per l’intero stabilimento produttivo. Se tale soglia non viene raggiunta, l’impresa perde il credito d’imposta prenotato, pur potendo passare al Piano 4.0, con incentivi di entità ridotta;
in quest’ultimo caso, le imprese hanno comunque sostenuto costi non rimborsabili per le certificazioni ex ante ed ex post, oltre a una perizia finale che attesta il mancato raggiungimento del risparmio energetico richiesto e il conseguente decadimento dal Piano 5.0;
la legge di bilancio per il 2025 ha stabilito un plafond predefinito per il Piano Transizione 4.0, con il rischio che le risorse disponibili non siano sufficienti e che le imprese non possano usufruire di nessuna delle due agevolazioni;
il Piano Transizione 5.0 ha introdotto modifiche sostanziali, tra cui: l’unificazione delle fasce di investimento fino a 10 milioni di euro, con aliquote del 35, 40 e 45 per cento in base alla riduzione dei consumi energetici; una ridefinizione delle maggiorazioni per impianti fotovoltaici; l’ampliamento della cumulabilità con altre misure, incluse quelle finanziate con fondi europei;
nonostante queste modifiche, al 10 marzo 2025 risultano impegnati solo l’8 per cento dei 6,3 miliardi stanziati, evidenziando un forte ritardo nell’utilizzo delle risorse disponibili;
il ministro per gli Affari Europei, le Politiche di Coesione e il PNRR ha annunciato una possibile riprogrammazione delle risorse, ipotizzando una riallocazione di circa 3 miliardi di euro su altre misure industriali;
tale eventuale riprogrammazione potrebbe ridurre ulteriormente i fondi a disposizione per le imprese interessate al Piano Transizione 5.0, aumentando il rischio di esclusione dalle agevolazioni previste;
il Ministero delle imprese e del made in Italy ha aggiornato le “FAQ” sul Piano Transizione 5.0 solo il 24 febbraio 2025, fornendo ulteriori chiarimenti sugli incentivi e le procedure di accesso con grande ritardo;
permangono ostacoli burocratici, in particolare per le imprese che investono in soluzioni software e tecnologie digitali strettamente connesse all’ottimizzazione dei processi produttivi e alla gestione dell’efficienza energetica;
in particolare, diverse aziende segnalano difficoltà nell’inserire nei progetti finanziabili software gestionali, sistemi di automazione e soluzioni avanzate, pur essendo tecnologie essenziali per il monitoraggio dei consumi, l’ottimizzazione della produzione e la riduzione degli sprechi;
il settore ICT ha evidenziato che i vincoli imposti creano incertezza nell’ammissibilità di alcuni investimenti strategici, come quelli in intelligenza artificiale, cloud computing e analisi dei dati, strumenti sempre più utilizzati per una gestione sostenibile della produzione,

si chiede di sapere:
se il Governo intenda adottare misure urgenti, anche di carattere normativo, finalizzate a superare le difficoltà burocratiche di cui in premessa, che rallentano la rendicontazione degli investimenti e l’accesso delle imprese agli incentivi del Piano Transizione 5.0;
se intenda attivarsi tempestivamente, in particolare, per rafforzare le procedure di certificazione e le linee guida per agevolare le imprese nella dimostrazione del risparmio energetico richiesto, al fine di garantire il riconoscimento delle agevolazioni previste dal Piano Transizione 5.0;
quali misure intenda adottare al fine di garantire un coordinamento efficace tra gli incentivi previsti dal Piano Transizione 5.0 e quelli del Piano 4.0, evitando che le imprese restino escluse da entrambi i benefici;
se intenda adottare misure volte a favorire l’integrazione tra investimenti in digitalizzazione e criteri di efficienza energetica, chiarendo le modalità di accesso agli incentivi per le imprese che adottano soluzioni software avanzate, strumenti di automazione industriale e sistemi di monitoraggio intelligente dei consumi;
se intenda attivarsi per escludere, nell’ambito della riprogrammazione del PNRR, la riduzione dei fondi a disposizione per le imprese interessate al Piano Transizione 5.0, aumentando il rischio di esclusione dalle agevolazioni previste.

 

Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 2-00024 Pubblicato l'11 marzo 2025, nella seduta n. 283 Nicola Irto primo firmatario

Ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ambiente e della sicurezza energetica.

Premesso che:
l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) ha recentemente avviato un monitoraggio specifico sulla realizzazione dell’opera del ponte sullo Stretto di Messina, il cui costo stimato dal Governo si aggira intorno ai 14,5 miliardi di euro. L’Autorità, ha inviato una lettera ai Ministeri dell’economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti e dell’ambiente e della sicurezza energetica, ricevuta dai dicasteri in data 19 febbraio 2025, con la richiesta di accesso alla documentazione relativa al progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Tale intervento nasce a seguito di un dettagliato esposto depositato presso l’Autorità agli inizi di dicembre 2024, nel quale vengono evidenziate numerose criticità relative alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina e, in particolare, su aspetti ingegneristici, di conformità alla disciplina vigente, di realizzabilità tecnica, di sicurezza e di congruità economica del progetto. L’accesso alla documentazione relativa all’opera del ponte sullo Stretto di Messina e le attività di monitoraggio, valutazione ed accertamento, appaiono necessarie per fare chiarezza su diversi aspetti problematici emersi a seguito della decisione del Governo Meloni di resuscitare un’opera fermata nel 2012 dal Governo Monti;
la normativa europea sugli appalti pubblici (direttiva 2014/24/UE) prevede infatti che, in caso di ripristino di un appalto con un incremento di valore superiore al 50 per cento rispetto al valore originario, sia necessario un nuovo bando di gara. Tale obbligo è stato di fatto aggirato con una soluzione tecnica adottata dal Ministero delle infrastrutture per dimostrare che l’aumento di costo dell’opera è legato all’aggiornamento prezzi. Una delle richieste dell’Autorità è proprio orientata a verificare il rispetto della direttiva UE del 2014 sugli appalti, che prevede l’obbligo di gara se un appalto è ripristinato e il nuovo valore supera del 50 per cento di quello vecchio;
in merito agli aspetti economici, il costo per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina è enormemente lievitato passando dai 4,5 miliardi previsti dal bando di gara del 2005 agli 8,5 del 2012, per raggiungere gli attuali 14,5 miliardi di euro. Il Governo, con un emendamento alla manovra di bilancio per il 2024, ha aumentato lo stanziamento per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina di 2 miliardi di euro, portandolo da 11,6 a 13,6 miliardi. Gran parte delle suddette risorse sono state recuperate “saccheggiando” il Fondo di sviluppo e coesione, per l’80 per cento vincolato al Sud, per circa 6 miliardi di euro, di cui 1,6 miliardi di euro dalla quota spettante a Calabria e Sicilia. In tale contesto, una quota consistente è stata sottratta ai comuni che hanno perso circa 1,5 miliardi di fondi per la manutenzione delle strade. Da notizie raccolte, inoltre, risulta che il negoziato sugli atti aggiuntivi con la società concessionaria per la realizzazione del ponte sia partito da tempo e uno dei nodi principali da dirimere riguarda la penale. L’ipotesi in campo è che la penale si aggiri intorno al 10 per cento, ovvero pari ad oltre 1 miliardo di euro a carico del bilancio pubblico in caso di mancato avvio o conclusione dell’opera;
sul fronte della conformità alla disciplina vigente e alla realizzabilità tecnica sono emerse numerose criticità. Nel mese di novembre 2024, la Commissione di valutazione ambientale ha dato parere positivo al progetto, condizionandolo tuttavia a ben 62 prescrizioni, di cui 56 da ottemperare prima dell’approvazione del progetto esecutivo. Le richieste spaziano da un dettagliato piano di approvvigionamento idrico all’approfondimento dello studio sullo smaltimento dei rifiuti, dalla dislocazione e sicurezza delle discariche all’approfondimento dei rilevamenti geologici e geomorfologici, le indagini geofisiche, sismologiche e paleo-sismologiche, la caratterizzazione delle faglie. Inoltre, il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica non ha dato il via libera alla Valutazione di incidenza ambientale (Vinca), in ragione del fatto che alcune aree dello Stretto e i siti della rete “Natura 2000”, sono tutelati dall’Unione europea e che lo stravolgimento dell’area dello Stretto può essere autorizzato da Bruxelles solo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico del progetto;
sul tema della sicurezza dell’opera sono emersi preoccupanti dati. Nei documenti allegati dalla Stretto di Messina S.p.A. alla Commissione VIA relativi al suddetto progetto, è stata inserita una Relazione sismica riguardante il ponte sullo Stretto di Messina attribuita all’INGV, ma smentita con un comunicato ufficiale del 13 novembre 2024, dallo stesso INGV con esclusione di qualsivoglia responsabilità da parte dell’Istituto. Come evidenziato sul sito “Stretto di Messina.it”, nella pagina dedicata al progetto definitivo è riportato che il ponte e i collegamenti a terra sono in grado di resistere a sisma di magnitudo 7,1 Richter. Tuttavia, è noto che lo Stretto di Messina può essere un’area epicentrale per eventi sismici anche di magnitudo di momento (Mw) ben superiore a 7, e quindi con accelerazioni attese sul suolo (PGA) superiori a 1g e fino a 2g, ossia ben superiori a quelle registrate per il terremoto de L’Aquila (0,66g) e di Amatrice - Norcia (rispettivamente 0,86 e 0,95g). Dalla documentazione disponibile, come riferimento di terremoto di progetto per il ponte sullo Stretto di Messina, l’accelerazione utilizzata è di soli 0,58g;
la documentazione relativa all’opera del ponte sullo Stretto di Messina, secondo quanto dichiarato dal Governo a più riprese, doveva essere approvata dal CIPESS entro il 31 dicembre 2024, ma la procedura ancora non risulta esaminata e conclusa in via definitiva;
nel frattempo, emergono pressioni da parte della società concessionaria per far partire le opere anticipate e per aprire i cantieri principali entro il 2025. La realizzazione dell’opera per fasi, tuttavia, potrebbe comportare ulteriori criticità tecniche e finanziarie. La società Stretto di Messina S.p.A. ha recentemente siglato nuovi contratti, incluso il rinnovo di quattro membri del comitato scientifico,

si chiede di sapere:
- quali azioni intenda intraprendere il Governo al fine di garantire la piena trasparenza del processo decisionale e degli atti relativi alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina; se il Governo intenda rendere pubblici i documenti richiesti da ANAC e i pareri tecnici sul progetto, in particolare quelli relativi alla sicurezza strutturale e alla compatibilità ambientale;
- se ritenga che l’attuale procedura rispetti la normativa europea in materia di appalti pubblici e se nel merito siano state interpellate le autorità europee competenti;
- quali siano le valutazioni in merito al deposito di una relazione sismica sul ponte sullo Stretto di Messina attribuita in modo non corrispondente al vero all’INGV e che ha costretto l’INGV a diramare un comunicato stampa per denunciare l’estraneità totale dell’istituto alla suddetta relazione; se intenda attivarsi affinché sia conferito un mandato ufficiale all’INGV affinché svolga un’approfondita indagine relativa al rischio sismico sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto, nel rispetto delle procedure accurate previste dall’istituto per tale attività, del rigore, dell’imparzialità e della trasparenza che caratterizzano i lavori dell’INGV;
- se non ritenga opportuno, alla luce dell’elevata sismicità dello Stretto di Messina anche per terremoti di magnitudo ben superiore a Mw 7, e quindi con accelerazioni attese sul suolo superiori ad 1g e fino a 2g, che alla documentazione relativa all’opera siano allegati studi scientifici ufficiali che abbiano come riferimento di terremoto per il progetto per il ponte sullo Stretto di Messina l’utilizzo di accelerazioni PGA fino a 2g e non, come attualmente previsto, di soli 0,58g e, quindi, una resistenza delle strutture del Ponte ad eventi di magnitudo ben superiore a 7,1 Richter;
- se si intenda rivedere l’allocazione delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione per tutelare i finanziamenti destinati alla Calabria, alla Sicilia e ai Comuni;
- quali garanzie siano previste per evitare il rischio di contenziosi con il consorzio “Eurolink” e quali siano le condizioni delle trattative in corso per la definizione della penale, con oneri interamente a carico del bilancio pubblico.

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