Parlare oggi di governance multilivello implica non solo rappresentare uno strumento teorico che dia ragione dei rapporti tra Unione Europea, Stato e Regioni, in un'ottica interistituzionale.
Ma implica, ne siamo tutti consapevoli, un confronto continuo per definire caratteristiche e ambiti di azione dei processi decisionali nelle politiche pubbliche.
Entrano in gioco elementi imprescindibili quali l'utilizzo di strategie di cooperazione e di acquisizione del consenso.
Processi non sempre fluidi per il sopravvenire, con grande frequenza, di fenomeni di conflitto determinati da posizioni e punti di vista differenti rispetto all'obiettivo che si intende perseguire.
Per questo, anche nell'ambito delle politiche pubbliche, centrale è il ruolo della negoziazione, quale elemento indispensabile per una governance che spesso si trova a gestire attriti, inevitabili, tra i diversi livelli e piani di azione degli enti locali.
La negoziazione come processo continuo, che guardando e ascoltando le posizioni dell'altro e accettandole in quanto portatrici di una verità altra, permette di superare il conflitto, maturando soluzioni efficaci, nuove, mai pensate prima e nate dal dialogo, dal confronto, dal superamento dell'individualismo identitario.
Se la questione che ci poniamo oggi è, quindi, se il background culturale e istituzionale di ciascuno di noi, costituisce un limite, un vincolo, per approdare a una governance multilivello efficace, la mia risposta è no.
Le identità, le tradizioni, i differenti piani di azione istituzionale, se mai, costituiscono, proprio per le loro specificità, un valore aggiunto alla governance, intesa nel senso più vero, quello democratico.
Se è vero che questo termine declina da una nuova e matura visione dello Stato che si trasforma e si adatta alle nuove esigenze e istanze della società.
Non dunque la "morte" dello Stato, ma una realtà che diventa capace di attrarre un consenso consapevole, sulla base dell'abilità di intercettare i bisogni e aprirsi alla partecipazione.
È chiaro che se immaginiamo una governance fortemente strutturata, dal punto di vista gerarchico, il nostro ruolo di amministratori sarà necessariamente destinato al fallimento.
Siamo chiamati oggi a una nuova responsabilità dell'amministrare, che da un lato guarda favorevolmente al coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali, e dall'altro non può non tentare di captare le energie del settore privato, se portatore di innovazione e produttività.
Partecipazione e strutturazione di reti (network) le parole chiave per assicurare nella governance multilivello, collegamenti e scambi costanti.
Eventualmente anche con la creazione di reti specifiche, che agendo a livello interistituzionale, siano chiamate a risolvere altrettanti specifici conflitti.
E a ciascun livello di governance, dal Governo nazionale a quello regionale, fino ai Comuni, costruire prima e condividere poi, strumenti operativi in grado di essere applicati in maniera omogenea nei diversi contesti territoriali, per consentire agli ultimi gradini di questa scala di raggiungere gli obiettivi prefissati. Solo con queste condizioni si può parlare di trasferimento delle competenze nella gestione politica e amministrativa di un territorio, anche quando si tratti di trasferire ambiti di potere importanti.
Penso, ad esempio alle Città metropolitane, la vera sfida, per l'Italia e l'Europa di oggi.
Creare sistemi operativi omogeni, può, naturalmente, anche dare risposte rispetto al valore differente che il termine stesso di governance multilivello può acquisire in un contesto che esula dall'Unione Europa. Dove lo scontro è tra Nazioni in grado di agire con governance efficaci e strutturate a altri in cui questo procedimento deve ancora maturare.
E solo politiche di coesione sociale consentono oggi di colmare tale distanza.
A mio avviso è certamente il piano delle politiche e della pianificazione territoriali, il luogo privilegiato in cui la governance multilivello si delinea in tutta la sua complessità, ma anche la sua forza costruttiva.
Penso, in primis, ai processi di trasformazione territoriale e di sviluppo sostenibile, spesso frenati dall'illegalità e dai ritardi e dalle inefficienze della pubblica amministrazione.
Processi che per loro stessa natura coinvolgono interessi pubblici e privati, governo, imprese, società.
Una governance in grado di gestire la complessità delle relazioni, e i conflitti, che da questo genere di politiche pubbliche inevitabilmente emergono, non può rinunciare a due elementi: la partecipazione e la trasparenza amministrativa.
Le politiche territoriali pubbliche impongono allo Stato il coinvolgimento di attori non istituzionali, portatori di interessi differenti, e la costruzione di un campo di azione dove si scontrano sia il sapere tecnico dei professionisti sia le istanze dei cittadini.
In una governance che si voglia definire democratica resta fondamentale, quindi, il ruolo dei mediatori. Figure che giocano un ruolo centrale nell'interpretare il desiderio partecipativo della collettività alle scelte del governo e collimarlo con le esigenze tecnico pratiche dell'amministrazione.
Consapevoli che il rischio che corriamo è quello di una dispersione di autorità e autorevolezza tra i diversi livelli territoriali e istituzionali.
Sono stati elaborati strumenti per facilitare le azioni e immaginare una governance responsabile in grado di mitigare le istanze delle istituzioni, con quello del settore privato e della società.
In un'ottica europea, già dall'aprile del 2014, con la Carta Europea della Partecipazione, elaborata con il Comitato delle Regioni dell'Unione Europea, fino a una dimensione nazionale, con il contributo dell'Istituto nazionale di Urbanistica, nel dicembre 2014, con la Carta della Partecipazione.
Strumenti che guardano con fiducia al mondo dell'università, delle organizzazioni non governative, ai gruppi più rappresentativi della società civile, per la stesura di un parternariato multiattoriale in grado di coordinare l'impegno, il dialogo, le buone pratiche a ogni livello di governo.
Elaborando insieme nuove politiche, sperimentando soluzioni che rispecchino le tecnologie di un mondo globale, anche con riferimento alla possibilità di accedere a documenti condivisi, e che contribuiscano allo sviluppo della democrazia partecipativa, senza la quale, oggi non si può parlare di una sana governance multilivello.
Intesa, questa, come porta di accesso all'Europa, chiave per superare i limiti territoriali e normativi.
Lo dico in chiusura: i diversi livelli di governo di enti locali non hanno dato ancora risposte efficaci nelle pratiche di governance multilivello.
Solo una volontà politica che si agganci a un desiderio di crescita civica, può permettere oggi di cambiare.
E qui con voi, io oggi, voglio lanciare questo messaggio: è necessario un nuovo impulso per cambiare le cose e a questo può contribuire solo un confronto democratico aperto e innovativo, quale strumento di educazione per le nuove generazioni e il mondo in divenire.

L'intervento integrale del Presidente del Consiglio regionale

Un ampio dibattito sulla recente approvazione in seconda lettura al Senato del disegno di legge di riforma costituzionale, con un particolare approfondimento sulla soppressione della legislazione concorrente Stato-Regioni.
Questo uno dei temi di cui si è occupata la Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali, riunita ieri in sessione plenaria a Milano, alla quale ha partecipato il presidente Nicola Irto.
Secondo il rappresentante di Palazzo Campanella «il lavoro della Conferenza, coordinata dal presidente Franco Iacop, ha messo in luce il ruolo attivo che le Assemblee regionali stanno svolgendo in questa fase di revisione dell'architettura istituzionale dello Stato. I Consigli regionali si sono rivelati interlocutori credibili in un processo riformatore indispensabile per correggere alcuni limiti del regionalismo, emersi dopo la modifica costituzionale del 2001».
Per Irto «la partita del futuro delle istituzioni, soprattutto a livello regionale, si gioca sulla capacità di coniugare la tutela dei diritti dei cittadini all'efficienza dei servizi pubblici, a cominciare da quelli sanitari. Il superamento delle criticità nell'ambito della gestione della sanità rappresenta, infatti, ancora oggi la principale frontiera del confronto tra lo Stato centrale e le autonomie regionali».
La Conferenza dei Parlamenti regionali ha inoltre approvato un ordine del giorno per impegnare il Governo italiano a chiedere una riduzione ulteriore delle emissioni dei gas serra, in occasione della Conferenza degli Stati membri sul cambiamento climatico, in programma a Parigi nel prossimo mese di dicembre.
«Vogliamo che le emissioni, entro il 2030, si riducano del 50%, anziché del 40% come concordato su scala europea — ha commentato Nicola Irto –. L'incalzare dei cambiamenti climatici impone provvedimenti quanto più possibile drastici per impedire l'aggravarsi di condizioni che stanno mettendo a rischio l'ambiente e l'ecosistema anche nel nostro Paese, che peraltro fa i conti con una drammatica esposizione al rischio del dissesto idrogeologico. Quella dello sviluppo sostenibile è una via non più facoltativa ma obbligatoria per tutti. Anche e soprattutto per noi calabresi.»

Il via libera della Commissione europea al nuovo Programma operativo regionale 2014-2020 è una notizia molto positiva.
Va dato merito al Presidente Mario Oliverio e alla sua giunta di aver ottenuto per i calabresi un risultato di fondamentale importanza, frutto dell’impegno e soprattutto della capacità di attribuire a questo settore la priorità assoluta.
La Calabria ha riacquistato credibilità agli occhi delle istituzioni europee grazie alla serietà e al rigore nel lavoro.
A questo, adesso, deve far seguito il massimo senso di responsabilità da parte di tutti.

Quella del Por è una sfida che chiama in causa l’intera classe dirigente della nostra regione, che ha il compito di cambiare il volto della Calabria attraverso la concretizzazione di quanto contenuto nei documenti approvati a Bruxelles.
Non è una semplice questione formale il passaggio dalla logica della “spesa” alla logica dell’“attuazione” del Por.
L’obiettivo perseguito fino al Programma 2007-2013, attualmente in fase di affannosa e definitiva chiusura, è stato quello di impegnare e rendicontare la maggiore quantità di risorse, senza peraltro risultati efficaci, per impedirne il disimpegno automatico.

Ora, invece, lo scopo deve essere quello di mettere in atto, concretamente, il grande progetto che abbiamo in mente: un’idea diversa di Calabria, una regione finalmente moderna, sicura e sviluppata.
Perché tutto questo si realizzi e non resti ancorato alla sfera delle buone intenzioni, è necessario un impegno collettivo immediato, costante e consapevole.

Questa è l’ultima opportunità che ci è concessa per sganciare la nostra regione dal fondo di ogni classifica sugli indicatori socio-economici.
Ecco il motivo per il quale mi appello alla classe dirigente calabrese, ai sindaci, alla pubblica amministrazione, agli imprenditori, alle università, alle associazioni e ai cittadini. Rimbocchiamoci tutti e subito le maniche per attuare il Por.
I calabresi da oggi sono artefici del loro destino e responsabili della loro sorte.

Non ci sono più alibi per nessuno: è tempo di mettersi al lavoro.

Nicola Irto
Presidente del Consiglio Regionale della Calabria

L’incontro di stamattina agli Ospedali Riuniti, insieme ai capigruppo in Consiglio Regionale, ha inaugurato un momento di confronto decisivo, che ci ha visto uscire dal Palazzo in uno spirito unitario, senza colore politico, come deve essere quando in gioco ci sono tematiche fondamentali, quali il diritto costituzionale alla salute. La creazione della Cardiochirurgia, supportata dall’avvio delle procedure per la selezione del personale, è notizia di straordinaria valenza sociale per la città di Reggio e la Calabria intera. Un passo che consente di mettere un punto fermo rispetto ad un percorso segnato da tante incognite, dando garanzie effettive ai cittadini sul fronte della tempestività della cura e della qualità della vita. Sono sicuro che da oggi in poi saranno attivate, anche con il contributo di tutto le professionalità sanitarie, le strategie necessarie per rafforzare il sistema a tutela dei cittadini calabresi. La nascita della Cardiochirurgia, la realizzazione del Centro per la Cura dei tumori della Città Metropolitana e l’utilizzo a regime della Pet di ultima generazione, sono segnali importanti di attenzione per il territorio. Un’iniziativa che sarà replicata, con la stessa unanimità di intenti, in altri presidi della Calabria.

 

  

“Il barbaro assassinio di Francesco Fortugno segnò il punto più basso raggiunto dalla comunità calabrese, che prima di allora forse non aveva mai compreso quanto fosse fragile e vulnerabile. L’uccisione di Franco, definita ‘un delitto politico-mafioso’ sia dal Procuratore nazionale antimafia del tempo, sia dai giudici del processo a carico di esecutori e organizzatori, ha rappresentato un attacco alle istituzioni di questa Regione, ma soprattutto un colpo durissimo al cuore della democrazia calabrese. Le modalità e la scelta del giorno, del luogo, del momento in cui fu spezzata la vita del Vicepresidente non furono casuali. Tutto venne individuato con cura, con l’obiettivo di consumare fino in fondo il disegno delittuoso e al contempo mandare un messaggio inequivocabile: quello che il cambiamento, in Calabria, non avrebbe mai attecchito e che nulla sarebbe potuto avvenire senza il “benestare” di quei poteri forti e oscuri, le cui ombre si sono sempre stagliate in lontananza, sullo sfondo di questa vicenda. La nostra volontà di ricordare Francesco Fortugno qui, a Locri, nella sala del consiglio comunale nasce proprio dall’intenzione di mandare un messaggio altrettanto chiaro. Il sangue di Franco non è stato versato invano e, dieci anni dopo, nulla è andato disperso dei frutti della coscienza civile, germogliata dal seme della legalità e della ribellione pacifica e spontanea allo strapotere della criminalità e del malaffare. Questa solenne commemorazione si svolge nella sede della democrazia cittadina, con la partecipazione dei vertici della Regione– della Giunta e del Consiglio– perché vogliamo dimostrare la nostra attenzione istituzionale, reale e non di facciata, nei confronti della Locride. Il Consiglio regionale è uscito dalla sua sede ed è venuto qui. Ma di Locri, anche a Palazzo Campanella, ci sono tracce profonde e indelebili: la nostra aula consiliare è intitolata proprio alla memoria di Fortugno e delle vittime della ‘ndrangheta e il grande dipinto che sovrasta l’aula raffigura il primo legislatore della storia, il locrese Zaleuco, che tiene in mano la tavola delle leggi. Tra i saggi e i giusti, immortalati in quel quadro, c’è anche Franco, con lo sguardo buono, cristallino e sereno che ricordiamo noi che abbiamo avuto l’onore di conoscerlo. Questa commemorazione intende essere solenne, ma senza discostarsi da quella sobrietà e semplicità che l’uomo Fortugno incarnava e che i cittadini chiedono, oggi più che mai, alla politica. Questa non è una passerella. E’ l’assolvimento di un nostro preciso dovere di cittadini, di donne e uomini impegnati in politica e di rappresentanti delle Istituzioni democratiche. Ma la nostra presenza non può limitarsi a essere puramente simbolica. Il Consiglio regionale, oggi, deve interpretare le esigenze avvertite dai cittadini di una comunità che anche negli anni seguenti al delitto Fortugno ha avvertito una presenza dello Stato e delle Istituzioni più professata che attuata, più strillata che effettiva. I locresi hanno diritto alla sostanza e non solo alla forma; a loro è dovuta un’attenzione concreta soprattutto dopo che le luci dei riflettori si saranno spente. Questo è il compito della politica. La Locride continua a soffrire di un’inaccettabile condizione di isolamento. E’ una marginalizzazione complessiva, una lunga e profonda distanza dai centri nevralgici delle decisioni pubbliche e dello sviluppo socio-economico. Qui, dieci anni dopo il delitto Fortugno, si continua a rivendicare il diritto di guardare al futuro senza una compressione dei servizi essenziali, ma con una visione fondata sulla crescita, non sul ridimensionamento dell’esistente. I trasporti, le politiche socio-sanitarie e del lavoro, la lotta al dissesto idrogeologico e all’erosione costiera, la salvaguardia dell’ambiente, la tutela e promozione del patrimonio archeologico e artistico – culturale, la valorizzazione della posizione baricentrica nel Mediterraneo di questo comprensorio, che dista poche decine di chilometri da Gioia Tauro. E ancora: il sostegno alle filiere di eccellenza dell’agroalimentare, la promozione del turismo, la diffusione della banda ultra-larga e dei servizi da ‘smart cities’. Ecco le sfide che la nostra Regione, negli anni a venire, dovrà affrontare sulla frontiera della Locride assieme a quella che è la madre di tutte le battaglie: la lotta alla criminalità organizzata. Consentitemi di essere sincero fino alla ruvidità: fino a quando lo Stato non vincerà la sua guerra– ché di questo si tratta – contro la ‘ndrangheta, nessuno sviluppo vero in questo territorio sarà possibile. Ma perché lo Stato vinca, perché il bene prevalga sul male, è indispensabile investire in maniera massiccia sulla sicurezza: uomini e mezzi per aiutare quanti sono già impegnati su questo fronte e, nonostante tutto, stanno continuando a ottenere risultati importanti sul versante repressivo. Tuttavia, nulla potrà davvero cambiare senza un’azione profonda e radicale per la promozione della cultura della legalità. Solo partendo dalle giovani generazioni sarà possibile gettare le basi di un futuro diverso per la Locride, per la Città metropolitana di Reggio e per la Calabria. Qui, nel 2005, i ragazzi ebbero il coraggio di ribellarsi. Scesero nelle piazze, nelle strade, e mostrarono senza paura i loro volti partecipando a una pacifica rivoluzione contro lo strapotere dei clan e di quanti, con la ‘ndrangheta, fanno gli affari. E’ da lì che occorre ripartire. Dall’energia e dall’entusiasmo di quei ragazzi e quelle ragazze che oggi sono uomini e donne e che spesso, purtroppo, hanno scelto la strada dell’emigrazione, sancendo la vera sconfitta della politica e delle Istituzioni.

   

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Nicola Irto - Sito ufficiale

 

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