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Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Premesso che:
tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea hanno assunto l'impegno di fare della UE il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Per raggiungere questo traguardo si sono impegnati a ridurre le emissioni di almeno il 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990;
il piano per la transizione energetica, approvato l’8 marzo 2022 dal comitato interministeriale per la transizione ecologica, stima che l’Italia, per raggiungere gli obiettivi previsti nel 2030, debba installare 70-75 gigawatt di nuova capacità di energie rinnovabili;
il 15 marzo 2023, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione del piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale 2023 di Terna, il Ministro in indirizzo ha indicato che il target di 70 gigawatt di rinnovabili al 2030 “va confermato”. Nella stessa occasione ha aggiunto che: “la programmazione nazionale sarà rivista con il Piano Nazionale Integrato Clima-Energia, per arrivare più avanti ad autorizzare dai 12 fino a 14 gigawatt l’anno di capacità rinnovabile, dall’attuale impegno di circa sette. Gli indicatori ci dicono che è un obiettivo raggiungibile”;
secondo i dati elaborati da Legambiente nel rapporto “Comunità rinnovabili 2022”, seguendo la media di installazione di nuove capacità di energie rinnovabili nel triennio 2019-2021 servirebbe oltre un secolo per raggiungere il target;
i costi delle rinnovabili, dopo un decennio di calo progressivo, a partire dal 2020 hanno registrato dei notevoli rialzi. Il risultato del fenomeno è un incremento significativo del levelised cost of energy, ossia il costo complessivo di produzione di impianti eolici, solari e di accumulo elettrochimico, proprio in un momento storico in cui questo tipo di tecnologie ha acquisito un ruolo fondamentale per raggiungere gli obiettivi europei di decarbonizzazione e di indipendenza energetica;
uno dei principali provvedimenti in vigore per sostenere lo sviluppo delle rinnovabili è il decreto ministeriale 4 luglio 2019, il quale, in continuità con i decreti ministeriali 6 luglio 2012 e 23 giugno 2016, ha il fine di promuovere attraverso un sostegno economico la diffusione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di piccola, media e grande taglia. Esso prevede due tipologie di incentivi, entrambi erogati dal GSE: una tariffa incentivante omnicomprensiva o un incentivo, calcolato come differenza tra un valore fissato e il prezzo zonale orario dell’energia. Per ottenere questi incentivi sono previste due diverse modalità di accesso a seconda della potenza dell'impianto e del gruppo di appartenenza: l’iscrizione ai registri per le offerte inferiori a un megawatt e la partecipazione a procedure d'asta per le offerte con potenza pari o superiore a un megawatt;
l’incentivo può assumere valore negativo in caso di tariffa spettante inferiore ai valori di mercato all’ingrosso dell’energia elettrica, obbligando nel qual caso l’azienda aggiudicatrice del bando a restituire l’importo al GSE tramite conguaglio e contribuendo a ridurre gli oneri del sistema elettrico e di conseguenza delle bollette;
gli strumenti di supporto previsti dal decreto ministeriale 4 luglio 2019 si stanno rivelando inefficaci nel sostenere l’installazione di nuove capacità di energie rinnovabili, in quanto i livelli tariffari offerti sono disallineati rispetto ai costi delle tecnologie e pertanto incapaci di attirare l’interesse di aziende e investitori. Nonostante il recente incremento del numero di progetti autorizzati, il decimo bando pubblico (l’ultimo per il quale sono disponibili le graduatorie) ha registrato una scarsissima partecipazione, riuscendo ad assegnare meno del 7 per cento del contingente di potenza disponibile. Inoltre, diversi progetti partecipanti al bando hanno rinunciato alla procedura prima della finalizzazione della graduatoria, mentre impianti già aggiudicatari con bandi precedenti stanno presentando difficoltà economiche nell’essere avviati ed entrare in esercizio, tanto da rinunciare al diritto alla tariffa conseguita;
la scarsa partecipazione ai bandi pubblici per l’accesso ai meccanismi di supporto previsti dal decreto ministeriale 4 luglio 2019 e la rinuncia agli esiti della procedura d’asta o ancora alla tariffa aggiudicata da parte di progetti assegnatari sono imputabili all’inadeguatezza dei valori attualmente previsti per la tariffa incentivante omnicomprensiva e per le tariffe a base d’asta per il riconoscimento dell’incentivo, non allineate ai fenomeni inflattivi e all’aumento registrato negli ultimi anni del costo complessivo di produzione di impianti eolici, solari e di accumulo elettrochimico;
in assenza di una revisione al rialzo di tali valori, sul modello di quanto già avvenuto in Francia e Germania, rischia dunque di risultare inefficace anche la misura secondo cui i contingenti inutilizzati previsti dal decreto ministeriale 4 luglio 2019 saranno rimessi in asta ogni tre mesi;
l’articolo 6 del decreto legislativo n. 199 del 2021 aveva previsto un termine di 180 giorni per l’emanazione dei decreti ministeriali necessari alla definizione dei contingenti resi disponibili ad asta, degli incentivi e dei livelli di potenza incentivabile all’interno del programma di aste FER per il prossimo quinquennio (2023-2027). Tale termine è scaduto a giugno 2022, ma i decreti ministeriali non sono ancora stati emanati,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda rivedere al rialzo le tariffe a base d’asta per l’assegnazione del contingente di potenza ancora disponibile sulla base del decreto ministeriale 4 luglio 2019 e le tariffe dei progetti aggiudicatari non ancora realizzati, così da garantire che il provvedimento possa raggiungere gli obiettivi prefissati in termini di promozione della diffusione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili;
se intenda riproporre le stesse modalità di incentivi previste dal decreto o se invece intenda rivedere gli strumenti di promozione della diffusione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sulla base dei nuovi scenari di mercato;
se intenda attivarsi affinché il Ministero proceda con rapidità all’emanazione dei decreti ministeriali previsti dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 199 del 2021, necessari a definire il programma di aste FER per il prossimo quinquennio (2023-2027).
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Al Ministro della giustizia
Premesso che:
la crisi epidemiologica da COVID-19 e la conseguente necessità di incentivare le forme di comunicazione a distanza rispetto ai colloqui in presenza nonché la necessità di consentire più frequenti contatti tra le persone detenute e l’ambiente esterno hanno portato all’introduzione di significative novità normative con riferimento ai colloqui e alle telefonate tra detenuti e familiari;
in particolare, l’articolo 221, comma 10, del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 34, ha previsto una disciplina particolare dei colloqui “a distanza” tra le persone detenute e l’esterno. Nel dettaglio, è stato stabilito che, su richiesta dell’interessato o quando la misura risulti indispensabile per la salvaguardia della salute, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati possano essere svolti a distanza mediante, ove possibile, le apparecchiature e i collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria o mediante corrispondenza telefonica, la quale, negli stessi casi, può essere autorizzata oltre i limiti stabiliti dall’articolo 39, comma 2, del regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230;
la misura è stata nel corso degli anni successivi ripetutamente prorogata visto il permanere dello stato di crisi, creando una costanza di rapporti e contatti con i familiari inedita e dagli indubbi effetti benefici per i detenuti;
i colloqui e le telefonate svolgono, infatti, generalmente una funzione fondamentale sul piano trattamentale, vista la conservazione delle relazioni sociali e affettive nel corso dell’esecuzione penale, uno strumento indispensabile dunque per garantire il benessere psicologico delle persone detenute e internate, al fine di attenuare quel senso di lontananza dalla famiglia e dal mondo delle relazioni affettive che è alla base delle manifestazioni di disagio psichico che, non di rado, possono sfociare in eventi drammatici;
tuttavia, nonostante il positivo riscontro della misura adottata, il decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, recante disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, all’articolo 16, ha disposto la cessazione della previsione alla data del 31 dicembre 2022 e nelle carceri italiane i colloqui telefonici sono tornati alla precedente disciplina;
considerato che:
a seguito della cessazione della previsione, nelle carceri italiane si è tornati ai tempi antecedenti alla crisi pandemica, soprattutto per quanto riguarda i colloqui telefonici. I detenuti potranno infatti chiamare i familiari per soli 10 minuti e una sola volta a settimana e non godranno più, quindi, della possibilità di effettuare chiamate giornaliere con i propri familiari;
nella circolare inviata dal DAP inviata, in data 26 settembre 2022, ai direttori degli istituti penitenziari si legge che le diverse disposizioni di legge già vigenti “attribuiscono alle Direzioni di istituto, nei casi in cui viene in rilievo la loro competenza, un’ampia discrezionalità nell’autorizzare le indicate forme di comunicazione tra le persone detenute o internate e i loro riferimenti socio-familiari. Sarà Loro compito esercitare tale discrezionalità nel contesto dell’assoluta necessità che dette autorizzazioni vengano accordate in maniera consapevolmente ampia (ovvero oltre i limiti ordinari stabiliti dai citati articoli 37 e 39, regolamento di esecuzione), in specie in presenza, oltre che delle situazioni già tipizzate dalle norme richiamate, di difficoltà per i visitatori a raggiungere gli istituti in ragione delle distanze dal luogo di residenza o di concorrenti impegni lavorativi o familiari”;
in altri Paesi europei la disciplina delle comunicazioni tra detenuti e familiari è improntata ad una maggiore elasticità, consentendo un maggior numero di colloqui telefonici nel corso della settimana e spesso anche telefonate giornaliere quale misura strutturale;
la cessazione di una previsione dall’indubbio impatto positivo nel trattamento penale dei detenuti appare ingiustificata e finanche punitiva;
con un emendamento del relatore, sen. Mirabelli, è stato inserito nel decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, il nuovo articolo 2-quinquies che stabilisce, ad eccezione dei detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme in materia di ordinamento penitenziario, la possibilità di concedere stabilmente l’autorizzazione per i colloqui telefonici oltre i limiti stabiliti dal comma 2 dell’articolo 39, in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, nonché in caso di trasferimento del detenuto e, soprattutto, che essa possa essere disposta, addirittura una volta al giorno, ove la corrispondenza telefonica si svolga con figli minori o figli maggiorenni portatori di una disabilità grave oppure con il coniuge, con l’altra parte dell’unione civile, con persona stabilmente convivente o legata all’internato da relazione stabilmente affettiva, con il padre, la madre, il fratello o la sorella del condannato qualora essi siano ricoverati presso strutture ospedaliere,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno consentire attraverso proprie iniziative il ripristino delle disposizioni in materia di colloqui telefonici dei detenuti adottate nel corso della crisi pandemica, anche valutando una loro messa a regime, alla luce delle positive ricadute che esse hanno avuto nel corso degli ultimi due anni.
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Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti.
Premesso che:
l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 14 gennaio 2023, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 marzo 2023, n. 23 (disposizioni urgenti in materia di trasparenza dei prezzi dei carburanti e di rafforzamento dei poteri di controllo del Garante per la sorveglianza dei prezzi, nonché di sostegno per la fruizione del trasporto pubblico), istituisce un fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali finalizzato a riconoscere un buono da utilizzare per l'acquisto di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale ovvero per i servizi di trasporto ferroviario nazionale in favore delle persone fisiche che nell'anno 2022 hanno conseguito un reddito complessivo non superiore a 20.000 euro;
tale comma prevede che il buono possa essere impiegato per gli acquisti per l'anno 2023 a decorrere dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che definisce le modalità di presentazione delle domande per il rilascio del buono;
il comma 2 stabilisce che il decreto avrebbe dovuto essere approvato entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, vale a dire entro lo scorso 14 febbraio, ma non risulta approvato a distanza di oltre un mese;
già tramite la simile interrogazione 3-00248, pubblicata il 23 febbraio, il Governo era stato sollecitato all’adozione del decreto;
tale ritardo appare incomprensibile, in quanto il buono introdotto dal decreto-legge altro non è che la riproposizione, seppur con qualche modifica, del bonus trasporti introdotto dall'articolo 9 del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 (misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industria);
considerato che:
l'adozione tempestiva del decreto attuativo è fondamentale per consentire a tutti i possibili beneficiari di recarsi al proprio luogo di lavoro e di studio senza gravare sulle proprie fragili condizioni economiche;
l’assenza del decreto da più di un mese dalla scadenza ha già costretto molti potenziali beneficiari ad acquistare a proprie spese biglietti e abbonamenti, tradendo lo spirito della norma, che va ad aiutare le fasce più deboli della popolazione,
si chiede di sapere:
quali siano le ragioni che hanno impedito la tempestiva pubblicazione del decreto;
se i Ministri in indirizzo intendano chiarire quali siano i tempi previsti per l'emanazione, al fine di consentire l'erogazione del buono trasporti anche per l'anno 2023;
se non ritengano necessario prevedere forme di compensazione rivolte a chi ha acquistato abbonamenti a proprie spese nei primi mesi del 2023 pur avendo diritto al buono.
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Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali e per la famiglia, la natalità e le pari opportunità. -
Premesso che:
il piano nazionale di ripresa e resilienza, oltre alla finalità di sostenere la ripresa e realizzare una piena transizione ecologica e digitale, ha quale obiettivo il recupero dei ritardi che penalizzano storicamente il Paese attraverso la definizione di tre priorità trasversali, vale a dire donne, giovani e differenze territoriali e prevede l’impegno ad assicurare che l’intero meccanismo di recovery possa determinare un impatto significativo e prevedibile sulla crescita dell’occupazione femminile e giovanile;
il PNRR prevede esplicitamente, a pagina 36, l’introduzione di disposizioni dirette a condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di giovani e donne anticipando che “con specifici interventi normativi, sarà previsto l’inserimento nei bandi gara, tenuto anche conto della tipologia di intervento, di specifiche clausole con cui saranno indicati, come requisiti necessari e, in aggiunta, premiali dell’offerta, criteri orientati verso tali obiettivi”. Il dispositivo di condizionalità prevede, in sintesi, un vincolo per gli operatori economici aggiudicatari di bandi di fondi PNRR e del piano nazionale degli investimenti complementari (PNC) che impone di destinare ai giovani under 36 e alle donne senza limiti di età almeno il 30 per cento dell’occupazione aggiuntiva creata in esecuzione del contratto per le attività essenziali connesse;
in attuazione di tali obiettivi, l’articolo 47 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, al comma 4 stabilisce che le stazioni appaltanti sono tenute a prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani, fino ai 36 anni, e donne, prevedendo altresì nei successivi commi misure premiali in favore degli operatori che adempiono a tale previsione ovvero l’applicazione di penali in caso di inadempienza;
al comma 8, prevede che con linee guida del Presidente del Consiglio dei ministri ovvero dei Ministri o delle autorità delegati per le pari opportunità e della famiglia e per le politiche giovanili e il servizio civile universale, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro per le disabilità, siano definiti le modalità e i criteri applicativi delle misure previste per le pari opportunità e l’inclusione lavorativa nei contratti pubblici relativi al PNRR e al PNC, nonché indicate le misure premiali e predisposti i modelli di clausole da inserire nei bandi di gara differenziati per settore, tipologia e natura del contratto o del progetto;
le stazioni appaltanti, in relazione ai progetti del PNRR, hanno già predisposto numerosi bandi di gara, avvisi ed inviti, nei quali non sono stati previsti, di fatto, i requisiti premiali previsti dal citato articolo 47, orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani. A quanto si apprende da un recente articolo pubblicato dal quotidiano “la Repubblica”, che cita dati ANAC non ancora pubblicati, circa il 70 per cento degli oltre 48.000 affidamenti registrati da luglio a oggi prevedono una deroga totale alle clausole di condizionalità, previste dal PNRR, che impongono di destinare ai giovani di età inferiore ai 36 anni e alle donne almeno il 30 per cento delle assunzioni necessarie a realizzare l’affidamento, mentre 1.343 affidamenti hanno usufruito di una deroga parziale delle suddette clausole. Su tali attendibili dati dell’ANAC, risulta inoltre una grave mancanza di trasparenza da parte dei portali ufficiali sul monitoraggio dell’attuazione del PNRR, a partire dalla piattaforma governativa “Italia domani”;
le linee guida di cui all’articolo 47, comma 8, non risultano ancora adottate, di fatto confermando l’orientamento del Governo alla deroga permanente all’applicazione della clausola di condizionalità per infondati timori e presunti rischi di complicazione delle procedure o incremento dei costi dei progetti;
ad aggravare la situazione si rammenta, altresì, il contenuto del codice dei contratti pubblici predisposto dal Governo, la cui pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dovrà avvenire entro il 31 marzo 2023. In tale importante riforma legata al PNRR è emersa, durante l’esame dello schema di decreto legislativo nelle Commissioni parlamentari, la mancata inclusione della parità di genere tra i principi generali del codice, atteggiamento confermato anche nel resto del provvedimento. La parità di genere è stata inserita nello schema soltanto nell’allegato II.3, nell'ambito dei soggetti con disabilità o svantaggiati. Si tratta di un preoccupante arretramento rispetto alla previgente normativa, confermato dal fatto che le disposizioni relative alla certificazione della parità di genere di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (codice delle pari opportunità tra uomo e donna), sono stati traslati dalla normativa di rango primario agli allegati al nuovo codice, ragion per cui non vi è alcuna garanzia che la questione possa trovare adeguata copertura nei regolamenti da emanare successivamente,
si chiede di sapere:
quali iniziative urgenti si intenda adottare al fine di salvaguardare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei divari di genere e generazionali esplicitamente previsti dal PNRR, anche al fine di evitare il rischio di una sospensione o di una riduzione degli importi delle rate semestrali da parte della Commissione europea;
quali iniziative si intenda adottare per dare piena ed immediata attuazione ai contenuti dell’articolo 47 del decreto-legge n. 77 del 2021, e affinché le stazioni appaltanti prevedano nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani;
se si intenda, altresì, chiarire la tempistica prevista per l’adozione delle linee guida di cui all’articolo 47, comma 8, del decreto-legge n. 77 del 2021;
se si intenda operare affinché sia rapidamente garantita la massima trasparenza sui dati relativi all’attuazione del PNRR, in particolare relativamente al raggiungimento degli obiettivi previsti dalle priorità trasversali;
se si intenda prevedere interventi finalizzati a garantire l’inserimento della parità di genere tra i principi e nell’articolato del nuovo codice dei contratti pubblici, non solo come condizionalità ma come premialità, evitando un preoccupante ed inopportuno arretramento rispetto alla previgente normativa.
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Al Ministro dell'interno.
Premesso che:
la Giunta del Comune di Grosseto, in data 30 gennaio 2023, ha avviato il procedimento finalizzato a una revisione della toponomastica cittadina, consistente nel cambio di denominazione di due strade trasverse di via della Pacificazione nazionale, da intitolare rispettivamente a Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante;
tale decisione ha suscitato un acceso dibattito in seno alla comunità cittadina; innanzitutto, perché la decisione della Giunta, al riparo di un intento asseritamente pacificatorio, accomuna due figure profondamente diverse tra loro e che un assai diverso ruolo hanno svolto nelle vicende che hanno condotto alla fondazione della Repubblica e all’approvazione della Costituzione;
da un lato Enrico Berlinguer, che lottò per il ritorno alla democrazia e, nel corso di tutta la sua attività politica e fino alla morte, non ha mai risparmiato le sue energie per contribuire alla difesa della Costituzione, alla sua piena attuazione e al consolidamento della democrazia nel nostro Paese;
dall’altro, Giorgio Almirante che, da tutt’altra posizione, è stato dapprima coinvolto negli ultimi tragici anni di azione del regime fascista, ricoprendo addirittura il ruolo di segretario di redazione della rivista “La difesa della razza” dal 1938 al 1942 e firmando articoli dal tenore inequivocabilmente razzista tra cui quello, tristemente noto, del 5 maggio 1942 nel quale, tra l’altro, scrisse che: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza”;
successivamente, ha svolto un ruolo di primo piano nella Repubblica sociale italiana, sia nella Guardia nazionale repubblicana sia come capo di gabinetto del Ministro della cultura popolare Fernando Mezzasoma; in tale qualità, tra l’altro, firmò un manifesto, affisso nella primavera 1944 in molti comuni toscani, nel quale si minacciava l’applicazione della pena di morte per tutti coloro che, tra i soldati ritenuti renitenti e disertori dopo l’8 settembre 1943 e tra i partigiani, rifiutassero di consegnarsi alle truppe nazifasciste entro il 25 maggio 1944; proprio nel clima generale prodotto anche da tale manifesto, avvennero anche nel grossetano, tra la primavera e l’estate 1944, sanguinose stragi di civili, tra cui quella della Niccioleta;
dopo l’avvento della Repubblica, sia prima che durante la propria attività quale segretario del Movimento sociale italiano, Giorgio Almirante ha sempre ribadito la linea politica del partito cui apparteneva, racchiusa nel motto “Non rinnegare, non restaurare”, dunque rifiutando di assumere qualsivoglia posizione critica nei confronti del regime fascista;
proprio per questo, la comunità grossetana ha reagito con sdegno e in modo trasversale alla decisione della Giunta comunale in un dibattito che, nelle ultime settimane, ha visto coinvolti associazioni, esponenti della società civile, ex amministratori e semplici cittadine e cittadini;
in particolare, il comitato provinciale “Norma Parenti” dell’ANPI e le sezioni dell’ANPI di Grosseto “Carla Nespolo” ed “Elvio Palazzoli” hanno sottolineato che “Giorgio Almirante è stato un fascista al servizio dei nazisti che occuparono l’Italia, un ferale connubio che ha causato tanti lutti anche nella nostra provincia”, invocando il ricordo e il rispetto delle vittime delle stragi nazifasciste avvenute anche nel grossetano;
come riportato da “Il Tirreno” in data 17 marzo 2023, anche l’ex sindaco di Grosseto, Alessandro Antichi, che fu a capo di una Giunta di centrodestra, ha dichiarato la propria contrarietà all’intitolazione;
considerato che l’intitolazione di una via a Giorgio Almirante non ha nulla a che vedere con un intento di pacificazione ma anzi, soprattutto a Grosseto e nel grossetano, implica la riapertura, innecessaria e grave, di ferite che affondano nella memoria dei tragici fatti della primavera 1944, cui Almirante non fu estraneo; d’altra parte, la pacificazione nazionale è avvenuta il 25 aprile 1945 con la liberazione dell’Italia dal nazifascismo e, successivamente, con l’approvazione della Costituzione repubblicana che nuovamente riunito la comunità nazionale attorno ai valori della libertà, dell’eguaglianza e della democrazia;
considerato altresì che:
ai sensi dell’articolo 1 della legge 23 giugno 1927, n. 1188, “Nessuna denominazione può essere attribuita a nuove strade e piazze pubbliche senza l’autorizzazione del prefetto”;
secondo quanto riportato in data 16 marzo 2023 dai locali organi di stampa, tale autorizzazione non sarebbe ancora pervenuta in quanto, più in generale, la Giunta comunale non avrebbe nemmeno inoltrato l’apposita istanza, allegando alla medesima la relativa delibera di Giunta e la planimetria dell’area interessata;
esiste ancora un margine per fare in modo che, grazie a un'assunzione di responsabilità da parte del prefetto, sia risparmiata a Grosseto l’onta di una così grave offesa alla memoria,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intenda porre in atto, anche attraverso le opportune interlocuzioni con la locale Prefettura, per evitare che si dia seguito alla decisione della Giunta comunale di Grosseto.