Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n.3-00429 Pubblicato il 16 maggio 2023, nella seduta n. 67. Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro dell'università e della ricerca.

Premesso che l’articolo 34 della Costituzione stabilisce, ai commi terzo e quarto, che “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”;

premesso inoltre che la legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di bilancio per il 2022) ha previsto, a favore del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, lo stanziamento di 230 milioni per l’anno 2022, poi aumentato di ulteriori 100 milioni per l’anno 2022 dall’articolo 37 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, per un totale di 330 milioni di euro, mentre la legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio per il 2023) non ha previsto alcun rifinanziamento del suddetto Fondo;

considerato che:

in questi giorni si stanno svolgendo, soprattutto nelle grandi città, numerose mobilitazioni studentesche, con tende posizionate davanti alle università, contro il fenomeno del cosiddetto “caro-affitti”: negli ultimi anni, infatti, i prezzi delle stanze per gli studenti fuori sede, già alti, sono ulteriormente aumentati fino a raggiungere cifre che oscillano, per una stanza, tra i 500 e gli 800 euro, al netto delle spese per il condominio;

in risposta a queste mobilitazioni, il Ministro dell’istruzione e del merito, Valditara, intervistato da Sky sul “caro-affitti”, ha affermato, in modo, a giudizio degli interroganti, assolutamente improvvido e inopportuno, che “Il problema è grave, ma tocca le città governate dal centrosinistra”, ignorando o facendo finta di ignorare che il Governo, con l’ultima legge di bilancio, ha scelto di non rifinanziare il cosiddetto Fondo affitti;

considerato inoltre che:

l’esiguo numero dei posti letto nelle residenze universitarie consente a poco meno del 10 per cento degli studenti fuorisede di usufruirne. A ciò si aggiunge il ritardo nei tempi di pubblicazione dei bandi e delle relative graduatorie, nonché dell’assegnazione dei posti letto, i quali vengono messi a disposizione degli studenti quando l’anno accademico è già cominciato;

la residenzialità universitaria nel nostro Paese è oggetto di specifici obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e di correlati finanziamenti per un totale di 960 milioni di euro;

in particolare, nell’ambito della Riforma 1.7, è prevista, quale target da conseguire entro il mese di dicembre 2026, la realizzazione di 60.000 posti letto aggiuntivi, “portandoli da 40.000 a oltre 100.000”;

ad oggi, secondo i dati disponibili, il raggiungimento del suddetto target entro i tempi stabiliti appare alquanto improbabile;

considerato infine che:

il problema del “caro-affitti” e della mancanza di alloggi per gli studenti rappresenta una vera e propria emergenza che “discrimina” gran parte della popolazione giovanile, impossibilitata per ragioni economiche, a mantenersi agli studi, in palese contrasto con quanto previsto dalla Costituzione;

il diritto allo studio e le politiche per il welfare studentesco dovrebbero rappresentare la priorità per il Paese e per il suo futuro,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo non ritenga necessario ripristinare il finanziamento, già previsto precedentemente, per il “Fondo affitti” e quali misure urgenti intenda altresì adottare, al fine di consentire a questa generazione di studenti di realizzare il proprio diritto allo studio;

quali misure intenda altresì adottare al fine di realizzare, entro i tempi stabiliti, il conseguimento dell’obiettivo previsto dalla Riforma 1.7 del PNRR, riguardante l’incremento degli alloggi per gli studenti.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n.3-00437 Pubblicato il 16 maggio 2023, nella seduta n. 67. Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Premesso che:

martedì 9 maggio 2023, il tribunale di Mansura in Egitto ha rinviato, per la decima volta e senza che il giudice si presentasse in aula, la nuova udienza del processo a carico di Patrick Zaki, fissandola al prossimo 18 luglio;

Amnesty Italia, che segue attentamente la vicenda di Zaki, ha commentato il fatto che il giudice non si sia neppure presentato in udienza come “un’ennesima prova del disprezzo per i diritti umani da parte della magistratura egiziana”;

Patrick Zaki è tornato in libertà lo scorso 8 dicembre 2021, dopo 22 mesi di custodia cautelare passati in carcere: da allora è in attesa di giudizio e soggetto al divieto di espatrio. Non potendo lasciare il suo Paese gli è, pertanto, impossibile fare rientro a Bologna per proseguire i suoi studi;

val la pena ricordare come Zaki, già tra il febbraio 2020 e il settembre 2021, avesse subito lo stillicidio di ben 18 udienze, slittate peraltro 9 volte, in cui sono stati decisi prolungamenti della sua custodia cautelare, svoltasi per tutta la sua durata nel carcere di Tora a Il Cairo, tristemente noto per le condizioni disumane in cui versano i detenuti;

come Zaki, altre attivisti egiziani hanno subito misure restrittive di “travel ban”: tra gli altri Hossam Bahgat, direttore dell’organizzazione non governativa “Egyptian initiative for personal rights” (EIPR), con cui collabora lo stesso Zaki, o l’attivista politica Mahienour el-Massry che lo scorso ottobre ha scoperto di essere nella lista dei cittadini su cui pende il divieto di espatrio nonostante la Procura generale del Cairo le avesse garantito il contrario, proprio mentre era in viaggio verso l'Italia per ritirare l'“Aurora prize for awakening humanity”;

come denunciato da diverse organizzazioni internazionali, il regime egiziano starebbe vietando ai dissidenti politici di recarsi all'estero per impedire loro di denunciare le ripetute violazioni dei diritti umani di fronte alla comunità internazionale;

considerato che nell’aprile e nel luglio 2021, il Parlamento italiano all’unanimità, e dunque con il voto favorevole delle attuali forze di maggioranza, ha approvato mozioni con cui è stato impegnato il Governo ad intraprendere le iniziative necessarie al fine di riconoscere la cittadinanza onoraria a Patrick Zaki,

si chiede di sapere quali iniziative il Governo intenda intraprendere, nell’ambito dei rapporti bilaterali con l’Egitto, affinché le autorità egiziane revochino il divieto di espatrio per Patrick Zaki, consentendogli così di concludere il suo ciclo di studi in Italia.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00415 - Pubblicato il 4 maggio 2023, nella seduta n. 65 - Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Premesso che:

lunedì 1° maggio 2023, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha convocato una riunione a Doha sul futuro dell’Afghanistan, al fine di raggiungere un’intesa comune all’interno della comunità internazionale su quali relazioni stabilire con il regime talebano;

alla riunione erano invitati numerosi Paesi interessati alla crisi. Al tavolo sedevano, infatti, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Iran, Giappone, Kazakhstan, Kirghizistan, Norvegia, Pakistan, Qatar, Russia, Arabia saudita, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan, Emirati arabi uniti, Regno Unito, Usa, Uzbekistan, UE e Organizzazione della cooperazione islamica. Al tavolo tuttavia non sedeva, poiché non invitata, l’Italia;

considerato che:

dopo il ritiro USA dall’Afghanistan nel 2021 e la riconquista del Paese da parte dei talebani, le condizioni di vita della popolazione afghana, in particolar modo delle donne, sono drammaticamente peggiorate;

secondo quanto dichiarato lo scorso 4 marzo da Ramiz Alakbarov, vice rappresentante speciale delle Nazioni Unite e coordinatore umanitario per l’Afghanistan, circa 700.000 persone hanno perso il lavoro negli ultimi 18 mesi. Nello stesso periodo il prodotto interno lordo è diminuito del 35 per cento, mentre i costi dei beni alimentari sono aumentati del 30 per cento;

sono almeno 28 milioni, tra cui oltre 15 milioni di bambini, le persone che dipendono dagli aiuti umanitari e come chiarito da Alakbarov “l’Afghanistan rimane la più grande crisi umanitaria del mondo nel 2023, nonostante, ovviamente, i recenti devastanti terremoti in Turchia e Siria”;

le agenzie ONU hanno dichiarato di avere bisogno di almeno 4,6 miliardi di dollari per far fronte alla situazione umanitaria. Si aggiunga che secondo diverse stime serviranno almeno 18,3 milioni di dollari per lo sminamento e lo smaltimento degli ordigni esplosivi nel Paese;

rilevato inoltre che:

secondo quanto riportato dal quotidiano “la Repubblica”, alla domanda espressa sul motivo dell’esclusione dell’Italia dalla riunione svolta a Doha, il portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, Stephan Dujarric, avrebbe risposto che: “Nell’inviare gli inviti, dovevamo garantire un equilibrio regionale, compresi i donatori e le organizzazioni regionali, mantenendo la riunione a un numero gestibile. C’è stato anche un fattore di coinvolgimento politico recente in termini di facilitazione dei colloqui”;

occorre ricordare come l'Italia, con le missioni che si sono svolte in Afghanistan: la “Enduring freedom”, la "International security assistance force”, Isaf, terminata il 31 dicembre 2014 e la missione “Resolute support”, subentrata il 1° gennaio 2015, abbia sempre garantito una delle presenze più numerose tra quelle dei Paesi NATO;

il contingente italiano ha comandato il Provincial reconstruction team (PRT) di Herat, territorio che ha registrato progressi sostanziali per le donne e le ragazze afghane con percentuali decisamente più alte rispetto alle altre province del Paese, in termini di istruzione, partecipazione politica e ruolo nell’economia;

l’esclusione dal tavolo di Doha certifica un’evidente situazione di marginalità del nostro Governo nella comunità internazionale e rischia di vanificare il prezioso lavoro svolto negli ultimi 20 anni in Afghanistan dal nostro Paese oltre a indebolirne il ruolo e il protagonismo in uno dei contesti internazionali più critici,

si chiede di sapere:

quali siano le valutazioni del Ministro in indirizzo rispetto all’esclusione del nostro Paese dal tavolo convocato a Doha dal Segretario generale delle Nazioni Unite;

quali iniziative necessarie e urgenti intenda intraprendere al fine di garantire la presenza di una delegazione italiana alle prossime conferenze che si terranno sul futuro dell’Afghanistan.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-00425 pubblicato il 3 maggio 2023, nella seduta n. 64 - Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro dell'interno.

Premesso che:

i sistemi di videosorveglianza sono sempre più diffusi nelle nostre città, solo per citare qualche dato nel comune di Milano ci sono 2.174 telecamere con finalità di sicurezza urbana, di cui 1.650 orientabili verticalmente e orizzontalmente e 524 fisse, 1.769 a Roma, 392 a Venezia, 350 a Parma;

dal 2017, con il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, lo Stato garantisce un finanziamento annuale per sostenere gli oneri sostenuti dai Comuni per l'installazione di sistemi di videosorveglianza, previsti nell'ambito dei patti per la sicurezza urbana, sottoscritti da prefetti e sindaci;

le tecnologie di riconoscimento facciale, anche a fini predittivi, sono utilizzate in molti Paesi, con risultati controversi e soprattutto con il rischio di gravi violazioni del diritto alla privacy delle persone che si ritrovano inconsapevolmente tracciate, con la possibilità da parte dello Stato o di privati di effettuare match tra la propria fisionomia e i propri profili digitali, aperti o chiusi, particolarmente intrusivi;

nel recente passato, diverse amministrazioni comunali (Como, Torino, Udine, fra le altre) hanno provato a ricorrere all’utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale applicati alla videosorveglianza nei luoghi pubblici, prendendo a pretesto supposte esigenze di sicurezza; intenzioni finora rimaste tali grazie all’intervento del Garante per la protezione dei dati personali e del Parlamento, che hanno scongiurato simili decisioni sulla base dell’articolo 7 del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51 (“Trattamento di categorie particolari di dati personali”), che prevede che “Il trattamento di dati di cui all'articolo 9 del regolamento UE è autorizzato solo se strettamente necessario e assistito da garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell'interessato e specificamente previsto dal diritto dell'Unione europea o da legge o, nei casi previsti dalla legge, da regolamento, ovvero, ferme le garanzie dei diritti e delle libertà, se necessario per salvaguardare un interesse vitale dell'interessato o di un'altra persona fisica o se ha ad oggetto dati resi manifestamente pubblici dall'interessato”;

la risoluzione del Parlamento europeo del 20 gennaio 2021 sull'intelligenza artificiale ha invitato la Commissione europea a prendere in considerazione l'introduzione di una moratoria sull'utilizzo di tali sistemi da parte delle autorità statali nei luoghi pubblici, aeroporti ad esempio, e nei locali destinati all'istruzione e all'assistenza sanitaria poiché, fino a quando le norme tecniche non saranno considerate pienamente conformi ai diritti fondamentali, i risultati ottenuti non saranno privi di distorsioni e di discriminazioni e non vi saranno rigorose garanzie contro gli utilizzi impropri in grado di assicurare la necessità e la proporzionalità dell'utilizzo di tali tecnologie;

i garanti della privacy europei, l'EDPS (European data protection supervisor) e l'EDPB (European data protection board) in un parere congiunto del 18 giugno 2021 sulla proposta di regolamento della Commissione europea relativa all'utilizzo dell'AI (artificial intelligence), presentata ad aprile 2021, hanno ribadito la necessità di "un divieto generale di qualsiasi uso dell'IA per il riconoscimento automatico di caratteristiche umane in spazi accessibili al pubblico, come il riconoscimento di volti, andatura, impronte digitali, DNA, voce, sequenze di tasti e altri segnali biometrici comportamentali";

con il decreto-legge 8 ottobre 2021, n. 139, recante disposizioni urgenti per l'accesso alle attività culturali, sportive e ricreative, nonché per l'organizzazione di pubbliche amministrazioni e in materia di protezione dei dati personali, l’Italia è diventato il primo Paese dell’Unione europea a vietare il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici;

l’articolo 9, comma 9, sospende, fino al 31 dicembre 2023, “l'installazione e l'utilizzazione di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale operanti attraverso l'uso dei dati biometrici (...) in luoghi pubblici o aperti al pubblico, da parte delle autorità pubbliche o di soggetti privati”, che, ad esempio, non potranno utilizzare sistemi di videosorveglianza con riconoscimento facciale in negozi, palazzetti sportivi e mezzi di trasporto;

il Parlamento europeo sta lavorando ad una disciplina dell'intelligenza artificiale (“AI act”), sulla base delle indicazioni formulate dalla Commissione europea nell'aprile 2021 che prevede uno spazio minimo per l’utilizzo delle tecnologie di riconoscimento facciale in caso di deroghe relative alle autorità pubbliche, che potrebbero avvalersene per ragioni di sicurezza nazionale, difesa e scopi militari: una discussione e un negoziato ancora in corso e i cui esiti saranno vincolanti anche per l’Italia;

nei giorni scorsi, con la necessità di regolamentare l’intelligenza artificiale, è stato firmato un accordo siglato dai gruppi politici al Parlamento europeo, che elimina l’uso più invasivo di alcune tecnologie ritenute inaccettabili quali il social scoring, ovvero la classificazione dei comportamenti sociali su modello cinese, lo stop agli algoritmi che leggono le emozioni in contesti di lavoro o educativo e il divieto di utilizzo, appunto, di telecamere biometriche a riconoscimento facciale nei luoghi pubblici;

in una recente intervista al “Quotidiano nazionale”, del 1° maggio 2023, il Ministro in indirizzo ha dichiarato che: “La videosorveglianza è uno strumento fondamentale. La sua progressiva estensione è obiettivo condiviso con tutti i sindaci. Il riconoscimento facciale dà ulteriori e significative possibilità di prevenzione e di indagine. È chiaro che il diritto alla sicurezza va bilanciato con il diritto alla privacy. C’è un punto di equilibrio che si può e si deve trovare. Proprio in questi giorni abbiamo avviato specifiche interlocuzioni con il Garante per trovare una soluzione condivisa”,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo non ritenga urgente fornire elementi informativi su quali interventi intenda adottare per modificare la normativa vigente che vieta l’utilizzo delle tecnologie di riconoscimento facciale, operanti attraverso l'uso di dati biometrici, nei luoghi pubblici fino alla fine del 2023, alla luce di un dibattito internazionale molto negativo nei confronti dell’utilizzo di simili tecnologie così invasive e lesive dei diritti delle persone e nelle more di una decisione europea che regolerà in maniera cogente l'utilizzo;

quali interlocuzioni abbia avviato con il Garante per la protezione dei dati personali e in quali tempi ritenga possibile una modifica della normativa che, almeno fino a tutto il 2023, vieta espressamente l’utilizzo di queste tecnologie a tutela dei diritti costituzionali dei cittadini.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-00417 Pubblicato il 2 maggio 2023, nella seduta n. 63 - Nicola Irto primo firmatario

IRTO - Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dell'economia e delle finanze.

Premesso che:

il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, recante "Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza", concerne la riorganizzazione di alcuni enti previdenziali;

esso ha determinato la trasformazione di enti previdenziali pubblici, ossia pubbliche amministrazioni con personalità giuridica pubblica, in enti ovvero associazioni o fondazioni con personalità giuridica privata che svolgono l'attività istituzionale di pubbliche amministrazioni per il perseguimento di un pubblico interesse;

le casse operano quindi nel rispetto dei principi sanciti nel diritto della previdenza sociale, imponendo la tassazione ed erogando un servizio pubblico che consiste nella gestione di un sistema pensionistico pubblico ossia di un sistema pensionistico pubblico a redistribuzione dei tributi;

come confermato dalla sentenza della Corte di cassazione 13 novembre 2014, n. 24221, le casse non avendo un patrimonio di previdenza non sono garantite dall'istituto bensì dallo Stato italiano alla stregua di tutte le altre amministrazioni pubbliche;

il 30 marzo 2023 si è tenuto a Roma, in occasione degli stati generali delle casse previdenziali professionali, un sit-in sull’iniquità delle stesse casse ENPAM, forense, ENPAF, dei geometri, degli infermieri, degli architetti;

la manifestazione è nata dall'esigenza di molti professionisti, i quali obbligatoriamente sono iscritti alle casse previdenziali private e in virtù del fatto di appartenere ad un ordine professionale sono chiamati a versare i contributi di tasca propria ad una cassa privata, gestita come un’azienda, da organismi che non rispondono allo Stato;

oggi purtroppo questi professionisti trovano enormi difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro, dove l'offerta è al ribasso e la tanta precarietà spesso costringe soprattutto i giovani ad emigrare all’estero;

per quanto concerne i medici dipendenti, questi chiedono con urgenza la riforma del decreto legislativo citato che riguarda anche l’ENPAM ed in particolare la cancellazione dell’obbligatorietà della contribuzione alla cassa per quei titolari di una posizione contributiva presso l'INPS in modo tale che la contribuzione obbligatoria sia invece esclusivamente volontaria;

la ratio di tale richiesta si fonda sul presupposto dell’irragionevolezza della doppia contribuzione che vede il medico ed odontoiatra con rapporto di lavoro dipendente pubblico o privato, che già per legge versa i suoi contributi ad un ente previdenziale come l’INPS, obbligato a versarli anche all’ENPAM, per poi percepire una pensione più che modesta;

questa inspiegabile anomalia, su 19 casse previdenziali privatizzate, è presente solo in tre casse; ENPAM, ENPAF ed ENASARCO;

inoltre gli stessi medici dipendenti chiedono che venga limitata e meglio definita l’autonomia della quale godono gli amministratori delle casse in relazione al decreto legislativo, autonomia che comporta notevoli spese che gravano sui bilanci e che sottraggono risorse destinate alle pensioni degli iscritti;

fonti di stampa riportano l’elevato numero dei consiglieri di amministrazione e gli elevatissimi costi per gli emolumenti percepiti negli anni del presidente Oliveti, 649.906 euro circa all’anno (è in ENPAM dal 1995) e 2.156.148 euro solo per i componenti del consiglio di amministrazione,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quanto esposto e se non ritengano opportuno adottare iniziative, anche normative, per rivedere le disposizioni vigenti;

se non ritengano opportuno valutare la cancellazione dell’obbligatorietà ENPAM per quei medici, già titolari di una posizione contributiva presso l'INPS, in modo tale che la contribuzione obbligatoria all'ENPAM diventi esclusivamente volontaria, prevedendo, altresì, la restituzione di quanto versato con gli interessi al raggiungimento dell’età pensionabile o il trasferimento all’INPS o in altre casse di quanto eventualmente già versato.

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