Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00508 - Pubblicato il 19 giugno 2023, nella seduta n. 77 Nicola Irto cofirmatario

Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Premesso che:

dalla fine del 2020, i principali materiali da costruzione hanno subìto aumenti di prezzo eccezionali. Nel 2022 tale tendenza ha subito un’accelerazione, anche per effetto della guerra in Ucraina, che ha esteso gli aumenti dei prezzi anche ai prodotti energetici, con gravi conseguenze sulla prosecuzione di molte opere pubbliche, in particolare quelle finanziate con i fondi del PNRR;

gli aumenti registrati sono mediamente del 35-40 per cento dell'originario valore di mercato registrato al momento della stipulazione dei contratti di appalto;

per affrontare questa emergenza, il Governo ha stanziato importanti risorse e adottato alcune misure nel corso dell'ultimo anno. Queste misure hanno richiesto tempi di realizzazione eccessivamente lunghi rispetto all'emergenza e, in molti casi, rimangono ancora inattuate;

le difficoltà riguardano, in particolare, le opere ordinarie, ovvero quelle non ricomprese nel PNRR o nel Piano nazionale complementare o per le quali non sia prevista la nomina di un commissario straordinario. In questi casi, infatti, i fondi disponibili non sono stati ripartiti e solo una parte delle imprese appaltatrici hanno ricevuto l’acconto del 50 per cento riferito agli extracosti registrati per le lavorazioni eseguite nel periodo gennaio-luglio 2022;

questa situazione sta creando alle imprese esecutrici dei lavori grandi difficoltà economico-finanziarie, in particolare nel reperire la liquidità necessaria alle attività d’impresa;

ciò potrebbe portare al blocco dei cantieri, pur essendo stati approvati diversi provvedimenti, dal Governo Draghi prima e dal Governo Meloni poi, contenenti norme per assicurare lo stanziamento delle risorse necessarie. Si ricorda che, sino ad oggi, gli stanziamenti complessivi per le opere in corso nel 2023 ammontano a circa 3 miliardi di euro, previsti proprio per far fronte all'abnorme aumento dei prezzi dei materiali necessari alla realizzazione delle opere, di cui 1,32 miliardi per opere ordinarie;

sulla base delle informazioni recentemente fornite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sui fondi per l’anno 2022 previsti dall'articolo 26, comma 4, lettere a) e b) del decreto-legge n. 50 del 2022, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2022, n. 91 (cosiddetto «Decreto Aiuti»), risulta una situazione molto diversificata a seconda della fattispecie considerata. Con riferimento agli interventi di cui alla lettera a), comma 4, dell’articolo 26 del suddetto decreto legge relativi ad opere pubbliche finanziate con risorse del PNRR e del PNC, e in presenza di un commissario straordinario, tutte le attività istruttorie delle istanze presentate risultano concluse, risultando ammesse a contributo 1.216 istanze per 222 milioni di euro; con riferimento alla lettera b) di cui al suddetto decreto-legge, riguardante le opere ordinarie non ricomprese nel PNRR o nel PNC, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ha ancora concluso l’istruttoria delle richieste relative al periodo gennaio-luglio 2022, presentate ad agosto 2022, e sta procedendo all’erogazione dell’acconto del 50 per cento dell’importo richiesto. Quanto alle lavorazioni eseguite tra agosto e dicembre 2022, sono in corso le verifiche da parte del Ministero su 1.700 richieste pervenute. Complessivamente, a fronte di 3.700 richieste per 1.170 milioni di euro, riferite a opere ordinarie in corso nel 2022, risultano pagati, a titolo di acconto, solo 180 milioni di euro, pari al 15,4 per cento dei fondi richiesti;

le erogazioni avvengono troppo lentamente, nonostante la cassa sia disponibile da mesi. Risulta bloccato circa 1 miliardo di euro che deve essere pagato alle imprese per il caro materiali riferito a opere ordinarie. Al ritmo attuale saranno necessari almeno quattro anni per completare i pagamenti alle imprese;

risulta attivata presso il Ministero un’apposita task force per consentire un’accelerazione dei pagamenti e rispondere alle esigenze delle imprese,

si chiede di sapere come il Ministro in indirizzo intenda concretamente accelerare l’erogazione dei fondi disponibili di cui in premessa e se abbia definito un programma per accelerare i pagamenti, basato su scadenze certe per i trasferimenti, in modo da facilitare l’erogazione alle imprese esecutrici dei lavori che nel corso del 2022 hanno anticipato le risorse necessarie alla prosecuzione dei lavori, con pesanti conseguenze sulla loro tenuta economica e finanziaria.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00510 - Pubblicato il 19 giugno 2023, nella seduta n. 77 Nicola Irto cofirmatario

Ai Ministri dell'economia e delle finanze e delle imprese e del made in Italy. -
Premesso che:

l’indagine della Banca d’Italia sul credito bancario nell’area euro (BLS), pubblicata il 2 maggio 2023, recante i principali risultati riguardanti il settore bancario nazionale relativi al primo trimestre 2023 e prospettive per il secondo trimestre 2023, ha evidenziato un ulteriore inasprimento delle condizioni di accesso al credito da parte delle imprese, particolarmente grave per le piccole e medie imprese, che conferma un trend inarrestabile ormai in atto da diversi anni;

nel primo trimestre del 2023, secondo quanto riportato dall’indagine: “i criteri di offerta sui prestiti alle imprese hanno registrato un ulteriore irrigidimento che ha riflesso, come nel corso del 2022, una maggiore percezione e una minore tolleranza del rischio. Questi due fattori, insieme ai costi di provvista e ai vincoli di bilancio, hanno contribuito anche all’inasprimento di tutti i termini e le condizioni generali applicati ai finanziamenti. I relativi termini e le condizioni sono stati inaspriti riflettendo l’aumento dei costi di provvista e dei vincoli di bilancio. Per il trimestre in corso (aprile - giugno 2023) gli intermediari si attendono un irrigidimento dei criteri di offerta sui prestiti alle società non finanziarie mentre quelli sui finanziamenti alle famiglie rimarrebbero stabili”. Inoltre, l’indagine BLS rileva che: “Nei sei mesi terminanti in marzo 2023 le variazioni del portafoglio di politica monetaria della BCE hanno esercitato un impatto negativo sulle condizioni di finanziamento, sulla posizione di liquidità e sulle attività totali delle banche. Le variazioni del portafoglio non hanno avuto alcun impatto sui criteri di offerta ma hanno contribuito all’irrigidimento dei termini e delle condizioni relative a tutte le categorie di prestiti”;

l’indagine BLS evidenzia, altresì, che la restrizione al credito si registra in una fase in cui contemporaneamente la domanda di credito subisce un deciso calo, determinato sia dal più elevato livello dei tassi d’interesse sia dal forte peggioramento della fiducia, con riflessi che prefigurano una ulteriore diminuzione anche nel secondo trimestre del 2023;

considerato che:

il Governatore della Banca d’Italia, in occasione della presentazione della Relazione annuale sul 2022 dello scorso 31 maggio 2023, ha evidenziato nelle “Considerazioni finali” che: “l’inasprimento monetario” - determinato dall’innalzamento dei tassi d’interesse d parte della BCE - “incide anche sulla dinamica del credito. Il costo dei finanziamenti bancari è in netta risalita; le indagini condotte presso gli intermediari e le imprese indicano una forte riduzione della domanda e condizioni di accesso al credito decisamente più restrittive”;

il Consiglio direttivo della Banca centrale europea, nella riunione del 15 giugno 2023, confermando gli indirizzi restrittivi di politica monetaria già adottati in precedenza, al fine di arrestare la dinamica dell’inflazione nella zona euro per portarla ad un valore prossimo ma inferiore al 2 per cento, ha deciso di innalzare di ulteriori 25 punti base i tre tassi di interesse di riferimento della BCE. Per effetto di tale decisione, i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale saranno innalzati rispettivamente al 4 per cento, al 4,25 per cento e al 3,50 per cento, con effetto dal 21 giugno 2023;

le decisioni della BCE, finalizzate alla normalizzazione monetaria nell’ambito dell’UE, pur coerenti con il mandato derivante dai Trattati europei e con l’obiettivo di ridurre l’inflazione a difesa dei redditi, se non osservate con attenzione e ben governate a livello nazionale ed europeo, rischiano di aggravare notevolmente la trasmissione del credito verso il settore produttivo, passando da una situazione, come l’attuale, di progressiva riduzione creditizia, ad una vera e propria situazione di stretta creditizia (credit crunch) con effetti negativi sul volume degli investimenti da parte delle imprese e sulla ripresa economica;

la situazione in atto desta particolare preoccupazione per il nostro Paese, dove ampia letteratura scientifica in materia evidenzia una crescente difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese, con effetti più evidenti per le micro e piccole imprese che nel nostro Paese rappresentano il 99 per cento dell’intelaiatura dell’intero tessuto produttivo nazionale. Sulla base di dati della Banca d’Italia emerge infatti che, a partire dal 2011, la riduzione dell’offerta creditizia nei confronti delle imprese italiane è stata di 254 miliardi di euro in valori assoluti, passando da 986 a 732 miliardi di euro, pari, in percentuale, ad una contrazione del 25,7 per cento. In tale contesto la contrazione della trasmissione del credito alle imprese artigiane, nel periodo compreso tra il 2011 e il giugno 2022, è stato di 24 miliardi di euro, passando da 55 a 31 miliardi di euro, pari in valori percentuali a - 43,6 per cento;

l’ulteriore inasprimento delle condizioni di accesso al credito, in un sistema economico come quello italiano già da tempo in difficoltà, prefigurano per i prossimi mesi, in mancanza di una decisa azione di governo volta ad invertirne il trend, un forte impatto negativo sull’economia reale, sulla continuità operativa di migliaia di imprese e sull’occupazione,

si chiede di sapere:

quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare, anche presso le sedi istituzionali europee, al fine di favorire politiche e interventi comuni diretti a rendere più agevole l’accesso al credito per le imprese, in particolare per le micro, piccole e medie imprese che risultano più esposte alla stretta creditizia in atto, ed evitare per tale via ricadute negative sull’economia reale, sulla continuità operativa di migliaia di imprese e sull’occupazione;

quali strumenti ritenga più idonei, in questa fase, a sostenere l’accesso al credito delle imprese e quali risorse ritenga opportuno stanziare per far fronte alla stretta creditizia in atto e che si prefigura di più ampia portata nei prossimi mesi;

se non reputi altresì opportuno, a fronte dei grandi cambiamenti in atto, prevedere nuovi strumenti e modalità di intervento, da affiancare o in sostituzione di quelli già esistenti, al fine di migliorare e semplificare le condizioni di accesso al credito, in particolare per le micro, piccole e medie imprese italiane.

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Sfruttamento del lavoro minorile Interrogazione n. 4-00521 Pubblicata il 19 giugno 2023, nella seduta n. 77 - Nicola Irto cofirmatario

Premesso che:

il 12 giugno 2023 si è celebrata la “Giornata Mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile” e per l’occasione sono stati diffusi i risultati di un rapporto realizzato dall’UNICEF sulla base di dati presenti sui portali nazionali dell'INAIL e dell'INPS, dai quali si evince che questo fenomeno dilaga ancora in maniera preoccupante non solo in tutto il mondo, ma anche nel nostro Paese; secondo le stime diffuse, sono 160 milioni i bambini e gli adolescenti con età compresa tra i 5 e i 17 anni obbligati a lavorare in tutto il mondo, con un incremento di 8,4 milioni di bambini negli ultimi 4 anni, mentre circa 79 milioni di bambini sono impegnati in lavori altamente dannosi per la salute e lo sviluppo psico-fisico; oltre al rischio per la propria salute ed il proprio benessere psicofisico, i bambini e gli adolescenti che iniziano a lavorare prima dell’età legale consentita, senza alcuna tutela giuridica, rischiano di vedere compromesso, o addirittura interrotto, il loro percorso di apprendimento e di sviluppo, alimentando notevolmente il circolo vizioso di povertà ed esclusione, anche in età adulta;

in Italia sono 336.000 i minorenni, di età compresa tra i 7 e i 19 anni, coinvolti nel lavoro minorile, si stima che tra i ragazzi di 14-15 anni, 1 su 5 lavora e tra questi il 27,8 per cento, ossia circa 58.000 giovani, svolge lavori dannosi per la salute, con prevalenza dello svolgimento di attività quali la ristorazione (25,9 per cento), la vendita al dettaglio di merci (16,2 per cento), le attività agricole nelle campagne (9,1 per cento), nei cantieri (7,8 per cento) nonché le attività assistenza dei propri cari (7,3 per cento); risultano abbastanza diffuse anche le nuove forme di lavoro online (5,7 per cento), come la creazione di contenuti per i social network o, ancora, la vendita di prodotti in edizione limitata;

questi dati si incrociano con quelli inerenti ai livelli di dispersione scolastica, tant’è che in quasi un caso su due (40,4 per cento) il lavoro incide sulla possibilità di studiare e i 14-15enni che lavorano sono stati bocciati quasi il doppio delle volte rispetto ai loro coetanei che non hanno mai lavorato, le interruzioni temporanee del percorso scolastico sono più che doppie nel caso di studenti lavoratori;

il quadro così delineato appare ancora più drammatico se si esaminano i dati sul lavoro minorile e gli infortuni da lavoro in Italia nel quinquennio 2017-2022, questi dati confermano che sono 74 i minorenni morti sul lavoro in Italia nell’arco di cinque anni, tra il 2017 e il 2021, di cui sono stati 7 gli infortuni con esito mortale per i giovani lavoratori di età inferiore ai 14 anni, mentre 67 sono i lavoratori morti nella fascia d’età tra i 15 e i 19 anni; le denunce di infortunio presentate all’INAIL da parte di lavoratori minorenni, di età inferiore ai 19 anni, a livello nazionale si attestano a 352.140 di cui 223.262 per i minorenni fino a 14 anni (contro le 31.857 nel 2021 e le 18.534 nel 2020) e 128.878 nella fascia di età 15-19 anni (contro le 18.923 nel 2021 e 11.707 nel 2020);

secondo il report, le regioni italiane con le percentuali più elevate di denunce totali di infortunio nel quinquennio 2017-2021 da parte di lavoratori di età inferiore ai 19 anni sono Lombardia (76.942), l’Emilia-Romagna (40.000), il Veneto (39.810) e il Piemonte (31.997) che da sole, coprono oltre il 50 per cento delle denunce presentate su scala nazionale; quanto invece ai numeri di giovani morti sul lavoro, dai dati dell’INAIL citati nell’indagine emerge che il Veneto è la regione in cui si è registrato il numero più alto di morti sul lavoro nella fascia under 19, mentre Abruzzo, Basilicata, Sardegna, la Provincia autonoma di Trento e la Valle d’Aosta non registrano nessun infortunio con esito mortale tra il 2017 e il 2021;

appare particolarmente preoccupante l’aumento del fenomeno del lavoro minorile, in gran parte sommerso, fenomeno in aumento a causa delle condizioni di povertà e del disagio sociale presente in molte aree del nostro Paese in cui migliaia di giovanissimi che non dovrebbero essere presenti nei posti di lavoro, vengono invece sfruttati senza una situazione contrattuale regolare e nella più totale assenza di diritti, con grave pericolo anche per la sicurezza e l’incolumità nel luogo di lavoro,

si chiede di sapere quali politiche di sistema i Ministri in indirizzo intendano adottare per prevenire e contrastare l’ingresso dei minorenni nel mercato del lavoro prima dell’età legale consentita e se non ritengano altresì opportuno promuovere misure di monitoraggio costante, anche attraverso indagini periodiche dell’ISTAT, al fine di individuare più celermente misure volte a impedire lo sfruttamento degli adolescenti e tutelarne i diritti.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-00506 - Pubblicato il 19 giugno 2023, nella seduta n. 77 Nicola Irto cofirmatario

Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro delle imprese e del made in Italy.

Premesso che:

la Pirelli è un’azienda italiana, fondata nel 1872, con un brand riconosciuto in tutto il mondo per le sue tecnologie all’avanguardia, la sua capacità di innovazione e la qualità dei suoi prodotti. Con 18 stabilimenti produttivi in 12 Paesi, una presenza commerciale in oltre 160 Paesi, circa 30.700 dipendenti e un fatturato pari a circa 5,3 miliardi di euro (dati 2021), è tra i principali produttori mondiali di pneumatici e di servizi a questi collegati e l’unico interamente dedicato al mercato consumer, che comprende pneumatici per auto, moto e biciclette;

l’azionariato della Pirelli è attualmente composto dai seguenti soggetti: per il 37,01 per cento da Marco Polo International Italy S.r.l., per il 26,60 per cento da investitori istituzionali (di cui il 56 per cento di provenienza europea, il 12 per cento inglese, il 27 per cento nordamericana e il 4 per cento del resto del mondo), per il 14,10 per cento dall’italiana Camfin, per il 9,02 per cento da PFQY (società italiana interamente controllata da Silk Road Fund, per effetto della scissione da Marco Polo International Italy S.r.l.), per il 6 per cento da Brembo S.p.A., per il 3,68 per cento da Longmarch Holding S.à.r.l, e per il 3,69 per cento da risparmiatori individuali e altri;

la gestione italiana dell’azienda, pur con la presenza del socio cinese dal 2015 e anche a seguito della quotazione in borsa del Gruppo nel 2017, è stata finora garantita a Camfin dall’accordo originario tra le parti, che prevedeva l’ingresso cinese nell’azionariato nel contesto di un ridimensionamento nel capitale di investitori russi facenti riferimento a Rosneft;

lo scorso 19 maggio 2023, tuttavia, è entrato in vigore il rinnovo del Patto parasociale, come sottoscritto dalle parti il 16 maggio 2022 e successivamente comunicato in data 6 marzo 2023 alla Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi del decreto-legge 15 marzo 2012 n. 21, convertito, con modificazioni, in legge 11 maggio 2012, n. 56. Tale Patto parasociale era stato sottoscritto da China National Chemical Corporation Limited (“CC”), China National Tire & Rubber Corporation, Ltd. (“CNRC”), CNRC International Limited (“SPV HK1”), Fourteen Sundew S.à r.l. (“SPV Lux”), Marco Polo International Italy S.r.l. (“MPI Italy”), Camfin S.p.A. (“CF”) e Marco Tronchetti Provera & C. S.p.A. (“MTP”), in data 1° agosto 2019, con efficacia a decorrere dal 28 aprile 2020, e scaduto per decorso del termine triennale di legge in data 28 aprile 2023;

il rinnovo del Patto prevede che il nuovo consiglio di amministrazione di Pirelli rimarrà in carica per tre esercizi fino alla data di approvazione del bilancio della società al 31 dicembre 2025 e che sarà composto da un numero di membri fino a 15, 8 dei quali indipendenti. Esso sarà designato attraverso il meccanismo del voto di lista che dovrà assicurare la seguente composizione: 3 amministratori saranno tratti da liste di minoranza e 12 amministratori dalla lista di maggioranza, dei quali almeno 5 indipendenti. Ad una attenta analisi dei contenuti del Patto, emergono forti criticità: di fatto è stato azzerato il diritto per Camfin di indicare i nuovi amministratori delegati, tradendo in modo plateale lo spirito della partnership oltre ad alimentare le perplessità del mercato nella prospettiva che il prossimo capo azienda sia indicato dal socio cinese;

tale situazione si è venuta a creare a seguito del cambio di atteggiamento da parte dell’azionista Marco Polo International Italy S.r.l. (società veicolo del gruppo statale cinese Sinochem Corporation che controlla il 37,01 per cento del gruppo Pirelli) che in più occasioni ha manifestato l’intenzione di assumere un ruolo gestionale più ampio nell’azienda a scapito del management italiano, in particolare reclamando, attraverso il Patto rinnovato, il potere di scegliere i nuovi amministratori delegati, fino a ora prerogativa dell’azionista italiano Camfin, controllato da Marco Tronchetti Provera & C. S.p.A., e facendo migrare i sistemi informatici Pirelli sulla piattaforma di Sinochem;

alla luce dei suddetti eventi, il Governo starebbe valutando la possibilità di esercitare i poteri speciali (golden power) ai sensi del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56 (norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni) sul gruppo Pirelli & C S.p.A. e, a quanto si apprende, avrebbe convocato in audizione, nell’ambito della procedura prevista dal citato decreto-legge n. 21 del 2012, i rappresentanti del Gruppo e degli azionisti italiani e cinesi, nonché esperti tecnici, al fine di giungere a una decisione tra il 20 e il 23 giugno prossimi,

si chiede di sapere, alla luce dei fatti esposti, se il Governo consideri il Gruppo Pirelli S.p.A. di rilevanza strategica per l’interesse nazionale e, in tal caso, se abbia intenzione di esercitare tempestivamente i poteri speciali previsti dal decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, al fine di garantire il mantenimento in Italia del controllo azionario e manageriale del Gruppo Pirelli S.p.A. che rappresenta, per storia, dimensioni, tecnologie all’avanguardia, capacità di innovazione e qualità dei prodotti, una delle più importanti aziende del nostro Paese.

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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-00460 Pubblicato il 17 maggio 2023, nella seduta n. 68 - Nicola Irto primo firmatario

IRTO - Ai Ministri dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, della salute e per gli affari regionali e le autonomie.

Premesso che:

la diffusione sull’intero territorio nazionale della peste suina africana (PSA), malattia infettiva altamente contagiosa, che colpisce solo i suini domestici e selvatici con un tasso di letalità del 90-100 per cento, rappresenta una grave minaccia per gli allevamenti suinicoli del nostro Paese, con effetti economici ingentissimi e a lungo termine, che rischiano di mettere in seria crisi il lavoro degli allevatori italiani, degli agricoltori nonché delle attività con finalità turistico-ricettive e più in generale del made in Italy agroalimentare;

la PSA è una malattia virale che, non essendo una zoonosi, non minaccia direttamente la salute umana e non crea alcun tipo di contagio o ripercussioni sull'uomo. I suini selvatici rivestono un ruolo di primo piano nella diffusione della PSA e rappresentano uno dei fattori di persistenza dell'infezione soprattutto nei Paesi del nord e dell'est Europa. La circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le modalità più importanti per la diffusione della malattia. Anche gli automezzi o altre attrezzature e l'abbigliamento contaminati possono rappresentare un veicolo d’infezione;

il virus viene trasmesso principalmente per contatto diretto attraverso la via oro-nasale, per contatto indiretto e tramite ingestione di alimenti contaminati e può essere trasmessa anche indirettamente tramite zecche molli del genere Ornithodoros o smaltendo rifiuti alimentari, specie se contenenti carni suine, in modo non corretto;

dal 7 gennaio 2022 è stata accertata la presenza della peste suina africana nelle popolazioni di cinghiali nei territori delle regioni Piemonte e Liguria; il Piemonte, alla luce degli ultimi aggiornamenti, veste la "maglia nera" di regione più colpita con 61 positività accertate su un totale complessivo di 101, dei quali 40 in Liguria. Il numero stimato di animali positivi alla PSA in Italia per regione e provincia dal 1° gennaio 2022 al 14 maggio 2023 è di circa 755 casi nei cinghiali e 5 focolai nei suini;

l’Organizzazione mondiale per la sanità animale ed il nuovo regolamento di sanità animale della Commissione europea annoverano la PSA nella lista delle malattie denunciabili: qualunque caso, anche sospetto, deve essere denunciato all’autorità competente, come previsto dall’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1954, n. 320, recante il regolamento di polizia veterinaria;

con il decreto-legge 17 febbraio 2022, n. 9, il legislatore italiano è intervenuto su questa pericolosissima malattia virale prevedendo misure volte ad evitarne la diffusione;

tenuto conto che:

preoccupano molto le recenti notizie diffuse a mezzo stampa di una pesante espansione della PSA in tutta la provincia di Reggio Calabria che procurano allarme tra gli allevatori di suini e i produttori di salumi. Già lo scorso 30 agosto 2022 il presidente della Regione è intervenuto con un piano regionale di interventi urgenti per la prevenzione e la sorveglianza della peste suina attivando l'Istituto zooprofilattico;

il 25 aprile 2023 purtroppo nel territorio della città di Reggio Calabria è stata rinvenuta la prima carcassa di cinghiale risultata positiva al test sulla PSA. Grazie alla collaborazione di alcune squadre di caccia al cinghiale in braccata operanti nei comuni di Reggio Calabria e di Cardeto il commissario dell’ambito territoriale di caccia RC1 ha potuto conoscere la posizione georeferenziata delle carcasse rinvenute fino alla data odierna;

ciò che preoccupa è che ufficialmente nessuno ad oggi scriva o diffonda la notizia della presenza di queste carcasse, tanto che i comuni della provincia di Reggio Calabria non risultano inseriti tra i comuni italiani in cui è stata riscontrata la malattia. Invero è stata conclamata la positività di diversi cinghiali rinvenuti morti nel territorio della provincia in diversi allevamenti di suini semi bradi. Allo stato attuale, ufficialmente i comuni calabresi non sarebbero tra quelli colpiti dalla PSA;

considerato che:

la tempestività degli interventi e del monitoraggio risultano essere gli unici strumenti per bloccare la diffusione a macchia d’olio di questa epidemia letale. Di fatto gli interventi previsti dai protocolli scientifici sulla PSA prevedono attività finalizzate all'individuazione del maggior numero di carcasse di cinghiale, al fine di tracciare i confini delle zone infette, nonché l’adozione di misure drastiche come la recinzione dei focolai e l’eradicazione dei cinghiali selvatici dal territorio. Misure drastiche sono previste negli allevamenti di suini e prevedono l’abbattimento di tutti gli esemplari presenti nelle strutture in cui si sia riscontrato un solo caso di positività alla malattia. Tali misure, tuttavia, necessitano di una dotazione finanziaria ingente da parte dell’ufficio del commissario nazionale per l’emergenza PSA;

gli agricoltori lamentano la necessità di interventi concreti che vadano anche al di là dei rimborsi dei danni seppur fondamentali per continuare l'attività e compensare i mancati guadagni. Un'azione tempestiva e coordinata di monitoraggio e controllo della peste suina africana risulta, pertanto, fondamentale per avere maggiori probabilità di contenere il contagio, in caso contrario, destinato a produrre un danno incalcolabile agli allevamenti e conseguenze sul commercio delle carni suine italiane. È del tutto evidente che in mancanza di adeguati fondi qualsiasi intervento risulterebbe inattuabile,

si chiede di sapere:

- se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quanto esposto e quali azioni e misure intendano intraprendere, ciascuno per quanto di competenza, per far fronte all’attuale situazione epidemiologica da PSA nella provincia di Reggio Calabria;

- se intendano chiarire il motivo per cui sul sito del Ministero della salute, la provincia di Reggio Calabria non risulti interessata dalla grave problematica della PSA;

- se l’ufficio del commissario nazionale per l’emergenza PSA sia stato dotato di fondi sufficienti agli interventi programmati e a quanto ammontino detti stanziamenti alla data odierna;

- quali iniziative intendano adottare, al fine di garantire un adeguato indennizzo per gli operatori della filiera suinicola calabrese colpiti dalle restrizioni sull’abbattimento, sulla movimentazione degli animali e sulla commercializzazione dei prodotti derivati;

- quali iniziative intendano adottare al fine di utilizzare la dotazione finanziaria, allo scopo integrata, affidata al commissario, di intesa con la Regione Calabria, per i necessari interventi sul campo.

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