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Al Ministro dell'interno.
Premesso che:
nella notte dell’8 aprile 2023 un ordigno è esploso davanti all'abitazione di Paola Lanzara, sindaco di Castel San Giorgio, nel salernitano;
sebbene non siano stati registrati feriti, la bomba carta ha danneggiato il portone del palazzo nel quale risiede il sindaco così come alcune vetture parcheggiate nei pressi dello stabile;
nelle 24 ore precedenti, ossia nella notte tra il 6 e il 7 aprile, una bomba carta è esplosa davanti alla casa del primo cittadino di Roccapiemonte, Carmine Pagano;
considerato che:
anche Carmela Zuottolo, sindaco di un’altra città dell’agro nocerino-sarnese, San Marzano sul Sarno, ha denunciato agli organi di informazione che nella sua città sono avvenuti due atti di intimidazione nei confronti di due componenti della maggioranza, Pasquale Alfano e Angela Calabrese;
con l’arrivo dei fondi del PNRR i sindaci saranno chiamati a gestire somme di denaro notevoli e ad assumere decisioni e atti fondamentali per la vita delle loro comunità;
l’ultimo rapporto di “Avviso pubblico” ha fatto registrare un incremento delle minacce e delle intimidazioni ai danni dei presidenti e dei consiglieri regionali che, com’è noto, nell’esercizio delle loro funzioni, dispongono del potere di legiferare e prendere provvedimenti che hanno una ricaduta significativa su vaste aree territoriali; dal rapporto si evince che nel solo 2021 sono stati 438 gli atti intimidatori, di minaccia e violenza. Insieme agli incendi di auto, abitazioni, strutture e mezzi comunali, le intimidazioni corrono anche sul web, in particolar modo sui social network, dove girano fake news e hate speech. Tutto ciò accade, in particolare, nei Comuni medio-piccoli, al di sotto dei 20.000 abitanti, dove gli amministratori sono a più diretto contatto con la popolazione e spesso non godono di particolari forme di protezione,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei gravi fatti esposti e se non intenda attivare subito un tavolo specifico con la Prefettura per mettere in sicurezza il lavoro degli amministratori locali dell’agro nocerino-sarnese ormai oggetto di troppe intimidazioni.
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Ai Ministri delle imprese e del made in Italy e del lavoro e delle politiche sociali.
Premesso che:
la società sarda Orefice generators, che realizza generatori elettrici, è una delle aziende che sono state coinvolte negli ultimi 10 anni nel progetto di ricollocamento e reindustrializzazione degli ex lavoratori della multinazionale dell'elettronica americana Jabil, che ha lo stabilimento nel sito di Marcianise (Caserta) e nel corso degli anni ha attuato politiche di riorganizzazione del lavoro e del personale tramite licenziamento e ricollocazione dei lavoratori presso altre realtà aziendali;
la Jabil nel giugno 2019 ha licenziato 250 lavoratori ed ha sottoscritto alcuni accordi, anche mediante intermediazione del Ministero dello sviluppo economico, per la reindustrializzazione del sito e la ricollocazione del personale; Orefice generators era stata individuata quale soggetto aderente al piano di reimpiego e Jabil le aveva riconosciuto un incentivo di circa 80.000 euro per ogni lavoratore riassunto;
l'azienda sarda si era impegnata non soltanto a rispettare le condizioni contrattuali dei 23 lavoratori provenienti da Jabil ma aveva anche garantito alla Regione ed al Ministero che l’attività produttiva sarebbe rimasta nel territorio casertano, o al massimo nella vicina area napoletana di Caivano, avendo affittato anche un capannone vicino alla Jabil, senza però avviare mai la produzione;
secondo quanto risulta agli interroganti, appena qualche mese dopo l’annunciato avvio della produzione, l’azienda ha messo in cassa integrazione una metà dei 23 lavoratori ex Jabil; nell’ottobre 2021 Orefice ha comunicato alle organizzazioni sindacali la decisione di chiudere lo stabilimento aperto nell'ottobre 2020 nell'area industriale di Pascarola a Caivano e di trasferire i 23 addetti al sito produttivo di Sestu (Cagliari) senza indicare ampliamenti produttivi e quindi con scarse prospettive di lavoro per i dipendenti trasferiti. A questa grave ed immotivata decisione i lavoratori coinvolti hanno reagito rifiutando il trasferimento, con conseguente procedura di licenziamento da parte dell’azienda;
il 21 novembre 2022 il Tribunale di Napoli nord, che aveva già dichiarato illegittimo il trasferimento in Sardegna dei 23 lavoratori ex Jabil da parte di Orefice, ha dichiarato altresì illegittimo il loro successivo licenziamento condannando dunque l’azienda al reintegro;
nell’ordinanza del giudice del lavoro si legge che “i trasferimenti intimati appaiono illegittimi in quanto non vi è prova della sussistenza delle reali esigenze tecnico produttive ed organizzative e i conseguenti licenziamenti vanno concretamente qualificati come licenziamenti collettivi intimati in assenza delle procedure legittimanti”;
tale pronuncia giudiziale evidenzia ancora una volta come il processo di reindustrializzazione del territorio di Caserta sia stato condotto in modo critico, depauperando il contesto produttivo, anche a causa dell’operato delle aziende straniere che hanno avviato operazioni industriali conclusesi poi con l’abbandono del territorio dopo aver acquisito e delocalizzato le produzioni;
da quanto si apprende a mezzo stampa, nel mese di marzo 2023 la stessa Jabil ha annunciato di aver avviato un’operazione di investimento in Croazia che comporterà l’assunzione di circa 1.500 lavoratori, motivando la scelta aziendale con l’aumento della richiesta di energie rinnovabili e della produzione di veicoli elettrici, mentre i 190 lavoratori del sito di Marcianise attendono ancora di capire se verranno reimpiegati al termine del periodo di fruizione della cassa integrazione straordinaria che scadrà a fine maggio,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quanto riportato;
quali iniziative intendano intraprendere al fine di monitorare e controllare la situazione industriale;
quali misure intendano porre in essere per sollecitare la permanenza dell’azienda nel territorio casertano salvaguardando i posti di lavoro.
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Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Premesso che:
tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea hanno assunto l'impegno di fare della UE il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Per raggiungere questo traguardo si sono impegnati a ridurre le emissioni di almeno il 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990;
il piano per la transizione energetica, approvato l’8 marzo 2022 dal comitato interministeriale per la transizione ecologica, stima che l’Italia, per raggiungere gli obiettivi previsti nel 2030, debba installare 70-75 gigawatt di nuova capacità di energie rinnovabili;
il 15 marzo 2023, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione del piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale 2023 di Terna, il Ministro in indirizzo ha indicato che il target di 70 gigawatt di rinnovabili al 2030 “va confermato”. Nella stessa occasione ha aggiunto che: “la programmazione nazionale sarà rivista con il Piano Nazionale Integrato Clima-Energia, per arrivare più avanti ad autorizzare dai 12 fino a 14 gigawatt l’anno di capacità rinnovabile, dall’attuale impegno di circa sette. Gli indicatori ci dicono che è un obiettivo raggiungibile”;
secondo i dati elaborati da Legambiente nel rapporto “Comunità rinnovabili 2022”, seguendo la media di installazione di nuove capacità di energie rinnovabili nel triennio 2019-2021 servirebbe oltre un secolo per raggiungere il target;
i costi delle rinnovabili, dopo un decennio di calo progressivo, a partire dal 2020 hanno registrato dei notevoli rialzi. Il risultato del fenomeno è un incremento significativo del levelised cost of energy, ossia il costo complessivo di produzione di impianti eolici, solari e di accumulo elettrochimico, proprio in un momento storico in cui questo tipo di tecnologie ha acquisito un ruolo fondamentale per raggiungere gli obiettivi europei di decarbonizzazione e di indipendenza energetica;
uno dei principali provvedimenti in vigore per sostenere lo sviluppo delle rinnovabili è il decreto ministeriale 4 luglio 2019, il quale, in continuità con i decreti ministeriali 6 luglio 2012 e 23 giugno 2016, ha il fine di promuovere attraverso un sostegno economico la diffusione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di piccola, media e grande taglia. Esso prevede due tipologie di incentivi, entrambi erogati dal GSE: una tariffa incentivante omnicomprensiva o un incentivo, calcolato come differenza tra un valore fissato e il prezzo zonale orario dell’energia. Per ottenere questi incentivi sono previste due diverse modalità di accesso a seconda della potenza dell'impianto e del gruppo di appartenenza: l’iscrizione ai registri per le offerte inferiori a un megawatt e la partecipazione a procedure d'asta per le offerte con potenza pari o superiore a un megawatt;
l’incentivo può assumere valore negativo in caso di tariffa spettante inferiore ai valori di mercato all’ingrosso dell’energia elettrica, obbligando nel qual caso l’azienda aggiudicatrice del bando a restituire l’importo al GSE tramite conguaglio e contribuendo a ridurre gli oneri del sistema elettrico e di conseguenza delle bollette;
gli strumenti di supporto previsti dal decreto ministeriale 4 luglio 2019 si stanno rivelando inefficaci nel sostenere l’installazione di nuove capacità di energie rinnovabili, in quanto i livelli tariffari offerti sono disallineati rispetto ai costi delle tecnologie e pertanto incapaci di attirare l’interesse di aziende e investitori. Nonostante il recente incremento del numero di progetti autorizzati, il decimo bando pubblico (l’ultimo per il quale sono disponibili le graduatorie) ha registrato una scarsissima partecipazione, riuscendo ad assegnare meno del 7 per cento del contingente di potenza disponibile. Inoltre, diversi progetti partecipanti al bando hanno rinunciato alla procedura prima della finalizzazione della graduatoria, mentre impianti già aggiudicatari con bandi precedenti stanno presentando difficoltà economiche nell’essere avviati ed entrare in esercizio, tanto da rinunciare al diritto alla tariffa conseguita;
la scarsa partecipazione ai bandi pubblici per l’accesso ai meccanismi di supporto previsti dal decreto ministeriale 4 luglio 2019 e la rinuncia agli esiti della procedura d’asta o ancora alla tariffa aggiudicata da parte di progetti assegnatari sono imputabili all’inadeguatezza dei valori attualmente previsti per la tariffa incentivante omnicomprensiva e per le tariffe a base d’asta per il riconoscimento dell’incentivo, non allineate ai fenomeni inflattivi e all’aumento registrato negli ultimi anni del costo complessivo di produzione di impianti eolici, solari e di accumulo elettrochimico;
in assenza di una revisione al rialzo di tali valori, sul modello di quanto già avvenuto in Francia e Germania, rischia dunque di risultare inefficace anche la misura secondo cui i contingenti inutilizzati previsti dal decreto ministeriale 4 luglio 2019 saranno rimessi in asta ogni tre mesi;
l’articolo 6 del decreto legislativo n. 199 del 2021 aveva previsto un termine di 180 giorni per l’emanazione dei decreti ministeriali necessari alla definizione dei contingenti resi disponibili ad asta, degli incentivi e dei livelli di potenza incentivabile all’interno del programma di aste FER per il prossimo quinquennio (2023-2027). Tale termine è scaduto a giugno 2022, ma i decreti ministeriali non sono ancora stati emanati,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda rivedere al rialzo le tariffe a base d’asta per l’assegnazione del contingente di potenza ancora disponibile sulla base del decreto ministeriale 4 luglio 2019 e le tariffe dei progetti aggiudicatari non ancora realizzati, così da garantire che il provvedimento possa raggiungere gli obiettivi prefissati in termini di promozione della diffusione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili;
se intenda riproporre le stesse modalità di incentivi previste dal decreto o se invece intenda rivedere gli strumenti di promozione della diffusione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sulla base dei nuovi scenari di mercato;
se intenda attivarsi affinché il Ministero proceda con rapidità all’emanazione dei decreti ministeriali previsti dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 199 del 2021, necessari a definire il programma di aste FER per il prossimo quinquennio (2023-2027).
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Al Ministro della giustizia
Premesso che:
la crisi epidemiologica da COVID-19 e la conseguente necessità di incentivare le forme di comunicazione a distanza rispetto ai colloqui in presenza nonché la necessità di consentire più frequenti contatti tra le persone detenute e l’ambiente esterno hanno portato all’introduzione di significative novità normative con riferimento ai colloqui e alle telefonate tra detenuti e familiari;
in particolare, l’articolo 221, comma 10, del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 34, ha previsto una disciplina particolare dei colloqui “a distanza” tra le persone detenute e l’esterno. Nel dettaglio, è stato stabilito che, su richiesta dell’interessato o quando la misura risulti indispensabile per la salvaguardia della salute, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati possano essere svolti a distanza mediante, ove possibile, le apparecchiature e i collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria o mediante corrispondenza telefonica, la quale, negli stessi casi, può essere autorizzata oltre i limiti stabiliti dall’articolo 39, comma 2, del regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230;
la misura è stata nel corso degli anni successivi ripetutamente prorogata visto il permanere dello stato di crisi, creando una costanza di rapporti e contatti con i familiari inedita e dagli indubbi effetti benefici per i detenuti;
i colloqui e le telefonate svolgono, infatti, generalmente una funzione fondamentale sul piano trattamentale, vista la conservazione delle relazioni sociali e affettive nel corso dell’esecuzione penale, uno strumento indispensabile dunque per garantire il benessere psicologico delle persone detenute e internate, al fine di attenuare quel senso di lontananza dalla famiglia e dal mondo delle relazioni affettive che è alla base delle manifestazioni di disagio psichico che, non di rado, possono sfociare in eventi drammatici;
tuttavia, nonostante il positivo riscontro della misura adottata, il decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, recante disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, all’articolo 16, ha disposto la cessazione della previsione alla data del 31 dicembre 2022 e nelle carceri italiane i colloqui telefonici sono tornati alla precedente disciplina;
considerato che:
a seguito della cessazione della previsione, nelle carceri italiane si è tornati ai tempi antecedenti alla crisi pandemica, soprattutto per quanto riguarda i colloqui telefonici. I detenuti potranno infatti chiamare i familiari per soli 10 minuti e una sola volta a settimana e non godranno più, quindi, della possibilità di effettuare chiamate giornaliere con i propri familiari;
nella circolare inviata dal DAP inviata, in data 26 settembre 2022, ai direttori degli istituti penitenziari si legge che le diverse disposizioni di legge già vigenti “attribuiscono alle Direzioni di istituto, nei casi in cui viene in rilievo la loro competenza, un’ampia discrezionalità nell’autorizzare le indicate forme di comunicazione tra le persone detenute o internate e i loro riferimenti socio-familiari. Sarà Loro compito esercitare tale discrezionalità nel contesto dell’assoluta necessità che dette autorizzazioni vengano accordate in maniera consapevolmente ampia (ovvero oltre i limiti ordinari stabiliti dai citati articoli 37 e 39, regolamento di esecuzione), in specie in presenza, oltre che delle situazioni già tipizzate dalle norme richiamate, di difficoltà per i visitatori a raggiungere gli istituti in ragione delle distanze dal luogo di residenza o di concorrenti impegni lavorativi o familiari”;
in altri Paesi europei la disciplina delle comunicazioni tra detenuti e familiari è improntata ad una maggiore elasticità, consentendo un maggior numero di colloqui telefonici nel corso della settimana e spesso anche telefonate giornaliere quale misura strutturale;
la cessazione di una previsione dall’indubbio impatto positivo nel trattamento penale dei detenuti appare ingiustificata e finanche punitiva;
con un emendamento del relatore, sen. Mirabelli, è stato inserito nel decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, il nuovo articolo 2-quinquies che stabilisce, ad eccezione dei detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme in materia di ordinamento penitenziario, la possibilità di concedere stabilmente l’autorizzazione per i colloqui telefonici oltre i limiti stabiliti dal comma 2 dell’articolo 39, in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, nonché in caso di trasferimento del detenuto e, soprattutto, che essa possa essere disposta, addirittura una volta al giorno, ove la corrispondenza telefonica si svolga con figli minori o figli maggiorenni portatori di una disabilità grave oppure con il coniuge, con l’altra parte dell’unione civile, con persona stabilmente convivente o legata all’internato da relazione stabilmente affettiva, con il padre, la madre, il fratello o la sorella del condannato qualora essi siano ricoverati presso strutture ospedaliere,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno consentire attraverso proprie iniziative il ripristino delle disposizioni in materia di colloqui telefonici dei detenuti adottate nel corso della crisi pandemica, anche valutando una loro messa a regime, alla luce delle positive ricadute che esse hanno avuto nel corso degli ultimi due anni.
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Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti.
Premesso che:
l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 14 gennaio 2023, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 marzo 2023, n. 23 (disposizioni urgenti in materia di trasparenza dei prezzi dei carburanti e di rafforzamento dei poteri di controllo del Garante per la sorveglianza dei prezzi, nonché di sostegno per la fruizione del trasporto pubblico), istituisce un fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali finalizzato a riconoscere un buono da utilizzare per l'acquisto di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale ovvero per i servizi di trasporto ferroviario nazionale in favore delle persone fisiche che nell'anno 2022 hanno conseguito un reddito complessivo non superiore a 20.000 euro;
tale comma prevede che il buono possa essere impiegato per gli acquisti per l'anno 2023 a decorrere dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che definisce le modalità di presentazione delle domande per il rilascio del buono;
il comma 2 stabilisce che il decreto avrebbe dovuto essere approvato entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, vale a dire entro lo scorso 14 febbraio, ma non risulta approvato a distanza di oltre un mese;
già tramite la simile interrogazione 3-00248, pubblicata il 23 febbraio, il Governo era stato sollecitato all’adozione del decreto;
tale ritardo appare incomprensibile, in quanto il buono introdotto dal decreto-legge altro non è che la riproposizione, seppur con qualche modifica, del bonus trasporti introdotto dall'articolo 9 del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 (misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industria);
considerato che:
l'adozione tempestiva del decreto attuativo è fondamentale per consentire a tutti i possibili beneficiari di recarsi al proprio luogo di lavoro e di studio senza gravare sulle proprie fragili condizioni economiche;
l’assenza del decreto da più di un mese dalla scadenza ha già costretto molti potenziali beneficiari ad acquistare a proprie spese biglietti e abbonamenti, tradendo lo spirito della norma, che va ad aiutare le fasce più deboli della popolazione,
si chiede di sapere:
quali siano le ragioni che hanno impedito la tempestiva pubblicazione del decreto;
se i Ministri in indirizzo intendano chiarire quali siano i tempi previsti per l'emanazione, al fine di consentire l'erogazione del buono trasporti anche per l'anno 2023;
se non ritengano necessario prevedere forme di compensazione rivolte a chi ha acquistato abbonamenti a proprie spese nei primi mesi del 2023 pur avendo diritto al buono.