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Al Ministro delle imprese e del made in Italy.
Premesso che:
la produzione automobilistica delle principali case europee sta registrando una contrazione senza precedenti. Gli ultimi dati ACEA e ANFIA evidenziano la crisi di un settore che rappresenta il 7 per cento del PIL della UE e 13 milioni di lavoratori occupati, e che minaccia la tenuta dell’intera economia europea. Nel corso del 2024, alcuni dei principali impianti di produzione di autovetture delle 5 più grandi case automobilistiche europee (BMW, Mercedes-Benz, Stellantis, Renault e Volkswagen) hanno operato a ritmi inferiori rispetto alle proprie capacità produttive. Di recente, la Volkswagen, la più grande casa automobilistica europea per vendite, ha preannunciato la chiusura di tre stabilimenti, mentre in Italia la Stellantis ha registrato nel terzo trimestre 2024 un preoccupante calo dei volumi produttivi che hanno coinvolto gli stabilimenti di Melfi e Mirafiori e l’avvio di una fase di proteste da parte dei lavoratori del settore;
al crollo delle immatricolazioni in Europa e in Italia concorrono numerosi fattori: con più di 500 auto per mille abitanti, il mercato europeo dell’automobile presenta margini di crescita assai ridotti; la progressiva reinterpretazione della mobilità urbana sta spingendo molte amministrazioni locali a favorire l’utilizzo del trasporto pubblico sostenibile, delle piste ciclabili e il car pooling; a differenza delle precedenti, le giovani generazioni non vedono nell’automobile un bene materiale indispensabile, tanto che, come evidenziano i dati ACI e ISTAT, tra il 2011 e il 2021 il numero di auto intestate a persone under 25 è diminuito del 43 per cento; l’incremento dei prezzi delle autovetture, che nel solo periodo tra il 2019 e il 2022 hanno registrato un aumento del 34,3 per cento; la riduzione del numero di autovetture del segmento delle utilitarie;
nella presente congiuntura, la Cina e l’approccio cinese al prodotto sono emersi come disruptor del settore. In base a recenti analisi di mercato, si stima che i costruttori cinesi, entro il 2030, conquisteranno una quota pari al 33 per cento del mercato globale di autovetture, consolidandosi nel mercato europeo con una quota pari al 12 per cento. Alla base di tale successo ci sono diversi vantaggi strutturali, in parte costruiti diligentemente negli anni. Le case automobilistiche cinesi producono autovetture ormai comparabili a quelle dei concorrenti occidentali, ma con costi largamente inferiori. Il vantaggio competitivo si registra in particolare nel settore delle autovetture a propulsione elettrica che richiedono un impiego massiccio di semiconduttori e di terre rare di cui la Cina controlla gran parte dell’estrazione mondiale e della lavorazione intermedia. Ciò permette ai produttori cinesi di controllare circa il 75 per cento della produzione mondiale di batterie;
a differenza dei produttori cinesi, i numerosi costruttori europei operano in orizzonti temporali ristretti. Sotto la pressione dei mercati finanziari, si trovano costretti ad adottare politiche incentrate sui profitti a breve termine. In Europa, l’approccio alla produzione è caratterizzato da una scarsa coordinazione, anche nell’ambito della ricerca e dello sviluppo e nelle politiche di incentivazione;
il contesto impone una profonda riflessione sulle politiche industriali da adottare. Si è di fatto di fronte ad uno shock sistemico settoriale paragonabile per dimensioni e gravità a quello recentemente sperimentato nel settore dell’approvvigionamento energetico. Appare concreto il rischio, al netto delle misure protezionistiche varate dalla UE, di un duro confronto sullo scenario internazionale;
a fronte di un quadro generale dell’automotive in progressivo deterioramento, per resistere alle spinte competitive provenienti dall’estero, abbattere i costi e rilanciare le produzioni sostenibili e a zero emissioni appare indispensabile: favorire l’aggregazione delle forze fra i marchi, la condivisione di piattaforme e avanzamenti tecnologici per ricostruire economie di scala e ottimizzare gli investimenti in ricerca e sviluppo; accompagnare tale percorso con la creazione di un apposito fondo europeo comune per il settore automotive; istituire una vera e propria catena di valore europea, dotata di una filiera integrata in grado di autoprodursi le batterie destinate alle vetture a propulsione elettrica, riducendo contestualmente la dipendenza dell’Unione da fonti di approvvigionamento rischiose sotto il profilo geopolitico; promuovere le politiche di transizione verso le nuove tecnologie e di sostegno alle tecnologie da affiancare all’elettrico, quali i motori con propulsione ad idrogeno; sostenere la domanda con appositi incentivi;
in tale contesto, il taglio previsto nel disegno di legge di bilancio dell’80 per cento delle risorse stanziate per gli anni compresi tra il 2025 e il 2030 del fondo per la transizione verde, la ricerca, gli investimenti del settore automotive e per il riconoscimento di incentivi all’acquisto dei veicoli non inquinanti (da 5,8 a 1,2 miliardi di euro) appare una scelta incomprensibile. La transizione del settore automotive è soggetta a leve di attuazione che necessitano di incentivi pubblici per colmare il proprio gap competitivo e le decisioni finora assunte, unitamente al dialogo avviato per favorire l’insediamento in Italia di produttori extraeuropei, appaiono in contrasto con gli interessi del Paese,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda attivarsi per ripristinare con urgenza le risorse del fondo per la transizione verde, la ricerca, gli investimenti del settore automotive e per il riconoscimento di incentivi all’acquisto dei veicoli non inquinanti, oggetto del taglio previsto nel disegno di legge di bilancio per l’anno 2025 pari a circa 4,6 miliardi di euro, e se intenda assumere iniziative, condivise con altri Paesi membri UE, per l’istituzione di un fondo pluriennale per la competitività europea dedicato a supportare, con ulteriori risorse, le imprese del settore automotive implicate nella transizione;
quali misure intenda adottare al fine di mantenere operativi gli stabilimenti di produzione di autovetture in Italia e i marchi storici della nostra filiera dell’automotive, altrimenti destinati alla chiusura o al trasferimento all’estero oppure ad essere oggetto di acquisizione da parte dei concorrenti internazionali, e se intenda attivarsi nelle sedi istituzionali europee al fine di promuovere politiche volte alla creazione di grandi player industriali europei nel settore della produzione automobilistica e nella filiera dell’automotive europea, anche mediante aggregazioni, capaci di competere sul mercato internazionale, con l’obiettivo di una presenza stabile e significativa nel territorio italiano di stabilimenti operativi, di investimenti, di livelli occupazionali, di indotto e componentistica;
quali misure intenda adottare nei confronti di Stellantis per garantire un futuro certo agli stabilimenti in Italia e all’indotto e il mantenimento dei livelli occupazionali;
se intenda attivarsi per prorogare al 2025 la cassa integrazione straordinaria per il settore dell’automotive;
se intenda proseguire e rafforzare le politiche di sostegno volte alla transizione del settore automotive, in quanto le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l'evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini impongono alle aziende automobilistiche l'avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione;
se intenda attivarsi al fine di garantire nell’immediato l’erogazione di bonus, benefici e altre misure di vantaggio volte a sostenere la domanda di autoveicoli, con priorità per i veicoli a propulsione elettrica.
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Al Ministro dell'istruzione e del merito. -
Premesso che:
il decreto-legge 31 maggio 2024, n. 71, convertito dalla legge 29 luglio 2024, n. 106, ha previsto che, in deroga al termine ordinario del 31 agosto 2024, al fine del raggiungimento degli obiettivi previsti dalla riforma del PNRR, le procedure assunzionali del personale docente sono completate entro il 31 dicembre 2024 attingendo anche alle graduatorie pubblicate dopo il 31 agosto 2024, comunque non oltre il 10 dicembre 2024, dei concorsi PNRR;
i vincitori dei concorsi assumono servizio presso la sede individuata entro 5 giorni dall’assegnazione;
la legge ha previsto che i docenti, eventualmente beneficiari per l’anno scolastico 2024/2025 di un contratto a tempo determinato su posto vacante nella medesima regione e classe di concorso per la quale sono risultati vincitori, sono confermati su tale posto;
la conferma riguarda quindi esclusivamente chi è già in servizio nella medesima regione e per la stessa classe di concorso;
la legge non fornisce i dettagli su come operare in questa casistica. Al riguardo sono teoricamente possibili due opzioni: la conferma sul medesimo posto solo per l’anno scolastico 2024/2025 (per ragioni di continuità), consentendo comunque ai “vincitori” già in servizio sulla stessa classe di concorso di scegliere la provincia e il posto che poi andranno effettivamente a ricoprire dal 2025/2026 oppure la conferma sul medesimo posto in via definitiva al 2024/2025, senza quindi possibilità di partecipare alle operazioni di individuazione della provincia o sede;
i primi avvisi pubblicati dagli uffici scolastici di Lombardia e Veneto vanno nella direzione della seconda opzione. Infatti negli avvisi si legge che “i docenti inclusi nelle graduatorie dei vincitori delle procedure concorsuali di cui sopra che hanno stipulato, per l’anno scolastico 2024/2025, un contratto a tempo determinato su posto vacante nella medesima regione e classe di concorso, sono confermati ex lege su tale posto, per costoro le funzioni di scelta della provincia non saranno aperte e la nomina in ruolo avverrà con decreto di questa Direzione generale, con il quale si darà altresì atto della sussistenza del presupposto applicativo della norma sopra citata, con conseguente conferma sul posto ove stanno svolgendo la supplenza annuale”;
dunque, alcune regioni hanno stabilito di confermare sul posto che occupano solo i vincitori che sono già nella provincia richiesta per prima, purché occupino già o un posto al 31 agosto ovvero uno dei posti accantonati per consentire le nomine da concorso, e ciò a prescindere dalla loro posizione nella graduatoria di merito. Questa previsione ha impedito di confermare chi è stato nominato su un posto al 30 giugno (perché non è utilizzabile per le immissioni in ruolo) e chi voleva spostarsi dentro la provincia per avvicinarsi al comune di residenza;
si segnala il grave vulnus di aver cambiato le regole una volta terminate le procedure dell’ultimo concorso e l’assoluta incongruità che si determina nel non seguire quanto stabilito nella graduatoria di merito;
considerato che:
attualmente sono 64.156 i posti liberi, ma si possono fare al massimo 45.924 assunzioni; 18.232 posti sono andati a supplenza in attesa del nuovo concorso previsto per ottobre-novembre;
si segnalano in molte regioni del Nord problemi relativi alla carenza di docenti: mancano posti da coprire, con le criticità maggiori che riguardano, appunto, i posti accantonati per i vincitori di concorso: si può chiamare il sostituto fino all’arrivo dell’avente diritto, ma non tutti accettano non conoscendo le tempistiche;
il Ministro in indirizzo in numerose dichiarazioni ha assicurato che l’avvio dell’anno scolastico sia partito in modo ordinato,
si chiede di sapere:
quali azioni il Ministro in indirizzo intenda attivare per far fronte a tali evidenti criticità che stanno generando problemi alle scuole, alle famiglie, agli studenti e ai docenti;
se non ritenga che le dichiarazioni pronunciate nelle scorse settimane siano in netto contrasto con ciò che sta accadendo nelle procedure di immissione in ruolo dei docenti.
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Al Ministro della cultura. -
Premesso che:
in data 8 novembre 2022 veniva bandito da RIPAM un concorso per 268 funzionari archivisti, rientrante in una selezione più ampia che prevedeva in totale l’assunzione di 518 funzionari tecnici; le prove orali si concludevano il 18 dicembre 2024 con l’individuazione di 340 idonei all’assunzione;
secondo quanto denunciato in modo ricorrente dalle rappresentanze degli idonei all’assunzione come archivisti, a più di un anno dalla conclusione delle prove orali nessuno di essi conosce i punteggi delle prove orali, né la graduatoria finale;
risulta invece che, dal mese di luglio a oggi, abbiano preso servizio, all’esito della medesima procedura concorsuale, circa 700 nuovi funzionari tecnici tra archeologi, architetti, storici dell’arte, demoetnoantropologi e paleontologi, mentre nessuna determinazione è stata assunta in merito ai concorrenti risultati idonei per la posizione di archivista;
nell’attesa della pubblicazione, più volte annunciata come imminente, della graduatoria finale, molte lavoratrici e lavoratori precari del settore, o esercenti la libera professione con partita IVA non hanno accettato incarichi o firmato contratti per evitare il rischio di non riuscire a portare a termine l’incarico o la prestazione; altri ancora hanno rinunciato a contratti a tempo determinato, mentre i dipendenti negli Archivi di Stato continuano a rimanere fuori dai progetti che presuppongono una continuità di presenza in servizio, a causa dell’incognita di una loro futura presenza in organico;
la situazione esposta è stata ripetutamente denunciata con comunicati, negli ultimi mesi, dall’ANAI (Associazione Nazionale Archivistica Italiana), dal CICOM (Comitato Idonei Concorso MIC), nonché dai sindacati, con specifiche richieste al Ministero in indirizzo, senza che ciò abbia provocato, fino ad ora, risposte apprezzabili e in grado di chiarire la situazione, senza limitarsi al rimpallo di responsabilità tra il Ministero e la Commissione interministeriale RIPAM,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto esposto in narrativa e quali iniziative intenda intraprendere per assicurare la necessaria chiarezza sull’esito della procedura concorsuale evocata in premessa e sulle conseguenti procedure di assunzione, con specifico riferimento alla posizione dei concorrenti idonei all’assunzione come archivisti, anche al fine di garantire la presenza nell’organico del Ministero di idonee figure professionali, oggi mancanti.
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Al Ministro dell'economia e delle finanze.
Premesso che:
- il concordato preventivo biennale (CPB) è un istituto di compliance volto a favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi dichiarativi. Vi possono accedere i contribuenti esercenti attività d’impresa, arti o professioni che applicano gli indici sintetici di affidabilità (ISA) di cui all’articolo 9-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50. Il decreto correttivo della riforma fiscale, di cui al decreto legislativo 5 agosto 2024, n. 108, ha introdotto una serie di modifiche sostanziali alla disciplina originaria dell’istituto finalizzate a ridurre l’onere fiscale a carico dei contribuenti che aderiscono, laddove il reddito concordato per il 2024 o il successivo 2025 sia eccedente rispetto al reddito del 2023;
- il provvedimento riserva ai contribuenti che aderiscono la possibilità di applicare sull’extra reddito un’imposta sostitutiva parametrata al voto ISA ottenuto nell’anno 2023. L’importo si attesta al 10 per cento per coloro i quali siano risultati “affidabili”, al 12 per cento per chi ha conseguito un punteggio pari o superiore a 6 ma inferiore a 8 e del 15 per cento in caso di affidabilità fiscale sotto il 6. Queste tre aliquote si confrontano con l’IRPEF teoricamente dovuta sul maggior reddito, che si assesterebbe al 35 per cento per i redditi rientranti nel secondo scaglione dell’imposta personale e 43 per cento per i redditi sopra ai 50.000 euro;
- al fine di favorire ulteriormente l’accesso al concordato preventivo biennale sono state introdotte nel decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113 (“omnibus”), misure di “condono fiscale” che rappresentano l’ultimo di una serie di interventi volti a rendere più appetibile ai contribuenti l’istituto di compliance. Nella sua ultima riformulazione, il meccanismo di ravvedimento alla base del concordato consentirebbe a chi ha evaso di mettersi in regola pagando una somma irrisoria rispetto al ravvedimento standard. Chi sottoscrive l’accordo con l’Agenzia delle entrate avrebbe infatti l’opzione di regolarizzare i mancati versamenti per gli anni dal 2018 al 2022 pagando un’imposta sostitutiva parametrata al punteggio di affidabilità fiscale e su un imponibile ridotto. A fronte di tali concessioni, l’erario si dovrebbe accontentare di pochi soldi rinunciando contestualmente a “controlli, accessi, ispezioni o verifiche, ai fini delle imposte sui redditi e del valore aggiunto”, con l’eccezione dei casi in cui il contribuente decada dal concordato o sia rinviato a giudizio per reati fiscali. Agli aderenti è riservata inoltre la possibilità di dilazionare il pagamento in 24 rate mensili a un tasso di interesse del 2 per cento. Tali modifiche hanno comportato una copertura finanziaria di circa un miliardo di euro, dimezzando di fatto le iniziali stime ottimistiche del Governo;
- appare di tutta evidenza che si è dinanzi all'ennesimo, a giudizio degli interroganti disperato tentativo di salvare dal fallimento uno strumento cui il Governo ha affidato il recupero del gettito necessario per finanziare una riforma fiscale altrimenti avviata su un binario morto: un tentativo basato sull’illusione che gli incentivi a prezzo di saldo, senza alcun reale rafforzamento dei controlli, siano sufficienti a convincere gli evasori a mettersi in regola;
il concordato preventivo biennale, una delle misure centrali della riforma, si prefigura come un plateale insuccesso del Governo. Da intervento inizialmente orientato a premiare i contribuenti virtuosi e a garantire maggior gettito e maggiore compliance fiscale tra contribuenti e fisco, è stato trasformato in strumento distorsivo e volto a premiare i contribuenti meno virtuosi e gli evasori. Nonostante i ripetuti interventi volti ad allargare i benefici della misura, il tasso di adesione risulta basso. I commercialisti hanno recentemente proposto al Governo una proroga della scadenza prevista per aderire al concordato in ragione delle scarse adesioni e del timore di dover affrontare le pratiche di adesione solo in prossimità del 31 ottobre. Dai pochi dati disponibili sembra che le adesioni si concentrino al momento soltanto su alcune categorie di contribuenti e in particolare su professionisti, avvocati, commercialisti e attività con valutazione ISA 10 o 9, in ragione del fatto che l’Agenzia delle entrate ha inviato a tali contribuenti proposte di adesione con un consistente ed ingiustificato abbattimento delle imposte intorno al 10 per cento e in alcuni casi anche superiore. Per loro l’adesione comporta di fatto un “bonus generoso” valido per due anni con oneri a carico dell’erario in virtù delle minori imposte proposte dall’Agenzia delle entrate. Al contrario, i soggetti autonomi e le imprese con maggiori difficoltà, determinate anche da congiunture sfavorevoli del settore di appartenenza, e con ISA pari o inferiore a 7 stanno ricevendo proposte di adesione al concordato da parte dell’Agenzia delle entrate che comportano un aggravio di imposte, in alcuni casi fino al raddoppio. I soggetti con ISA basso, al netto degli evasori premiati con un condono dal decreto-legge n. 113 del 2024 sono in prevalenza imprese con uno o due dipendenti, artigiani, esercenti del settore abbigliamento o simili che per le difficoltà di lavoro o di vendita hanno aspettative future di reddito caratterizzate da grande incertezza: un motivo sufficiente per rifiutare in massa l’adesione al concordato preventivo biennale cui associano un aggravio di imposte per due anni consecutivi;
- da ultimo, nel tentativo di incrementare le adesioni, il Governo ha, da un lato, lanciato messaggi minacciosi nei confronti dei soggetti che non aderiscono, prefigurando l’inserimento in liste di soggetti da sottoporre a controlli e, dall’altro, ha avviato una campagna pubblicitaria, utilizzando anche il servizio pubblico, con spot che invitano il contribuente a stare tranquillo, di sedersi al tavolo e stringere la mano al fisco e pagare “il giusto”, ossia meno di chi le tasse le versa regolarmente, con la rassicurazione che l’Agenzia delle entrate non effettuerà controlli per due anni. L'unico risultato tangibile di questa politica è quello di rendere il nostro sistema fiscale ancora più iniquo e irrazionale, ancora una volta a danno dei contribuenti onesti che pagano regolarmente le imposte e della leale concorrenza fra le imprese,
si chiede di sapere:
- quale sia l’andamento delle adesioni al concordato preventivo biennale e le entrate effettivamente conseguite e se il Ministro in indirizzo intenda descrivere tali adesioni per categoria ISA e per importi relativi a ciascuna categoria ISA, anche al fine di verificare la dimensione della perdita di gettito associata alle proposte dell’Agenzia delle entrate rivolte ai contribuenti e che prevedono un abbattimento per due anni delle imposte da questi dovute;
- se, al fine di recuperare il basso tasso di adesione, intenda adottare misure di proroga delle scadenze previste, nonché ulteriori misure di incentivazione e di condono fiscale;
- se intenda chiarire i criteri e le modalità con cui sono state costruite le proposte di adesione al concordato preventivo biennale fatte pervenire ai contribuenti e se esse rispondano a precisi criteri di equità ed imparzialità o se, al contrario, siano state formulate con criteri differenziati anche tra contribuenti con la medesima categoria ISA;
- quali misure intenda adottare per recuperare le risorse necessarie al finanziamento della riforma dell’IRPEF nel caso in cui le adesioni non consentano di raggiungere la soglia stimata di 2 miliardi di euro e se tra tali misure intenda ricomprendere anche l’abbattimento delle detrazioni fiscali finora riconosciute ai contribuenti IRPEF con sostituto d’imposta;
- quali siano le misure che intende adottare per rendere il sistema fiscale più equo e razionale, a tutela dei contribuenti onesti e della leale concorrenza fra le imprese, nonché gli strumenti che intende adottare per intensificare il contrasto all’evasione fiscale.
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Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-01529. Atto n. 4-01529. Pubblicato il 22 ottobre 2024, nella seduta n. 234. Nicola Irto cofirmatario
Ai Ministri dell'interno e della giustizia.
Premesso che:
sempre più di frequente, a quanto risulta agli interroganti, vengono denunciati femminicidi o tentati femminicidi causati dal mancato o cattivo funzionamento del braccialetto elettronico anti stalking; proprio di recente, il 23 settembre 2024, a Torino, Roua Nabi, 34 anni, è stata uccisa dal marito che era già stato denunciato per maltrattamenti e aggressione e, al quale con provvedimento del giudice, era stato applicato il braccialetto elettronico anti stalking; questo episodio di violenza maschile contro una donna è molto simile a quello verificatosi ad Ancona più di un anno fa, quando un uomo, già soggetto al divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico, aveva violato le restrizioni, entrando nella casa della ex e uccidendola con 15 coltellate; inoltre, in provincia di Venezia, un uomo a cui era stato applicato il braccialetto elettronico per le continue minacce e molestie nei confronti della ex moglie, è riuscito a staccare il dispositivo dalla caviglia, ed a fotografarlo a fianco di un coltello, minacciando con tale immagine la ex moglie; infine, è notizia recentissima che a Roma, una giovane donna di 28 anni, stalkerizzata, maltrattata, abusata e sequestrata dall’ex compagno per mesi, ha denunciato il malfunzionamento del braccialetto elettronico applicato all’ex compagno da tre anni, poiché questi ha continuato a minacciarla ed a infrangere le prescrizioni nonostante il dispositivo;
il braccialetto elettronico è da diversi anni lo strumento posto a garanzia delle vittime di violenze domestiche, di genere e contro le donne, e, con provvedimento dell’autorità giudiziaria se ne dispone l’applicazione per segnalare eventuali violazioni delle misure di divieto di avvicinamento o allontanamento dalla casa familiare;
allo strumento si è attribuita una importante funzione di deterrente per l’imputato/indagato e di presidio di tutela per la vittima; tuttavia i casi citati sono soltanto degli episodi tragicamente esemplificativi di molteplici segnalazioni di cattivo funzionamento; a tale problematica si aggiungono altresì le recenti segnalazioni circa il numero esiguo dei dispositivi, a fronte di un notevole incremento delle notizie di reato e delle misure cautelari;
secondo quanto risulta agli interroganti, grazie alla modifica apportata con legge n. 168 del 2023, che ha reso obbligatorio lo strumento, sono aumentate le richieste di applicazione dei dispositivi stessi, ma a fronte dell’aumento della richiesta, si registrano ritardi nell’adempimento della fornitura da parte della società incaricata dal Ministero dell’interno;
da quanto emerge dai dati diffusi dal Ministero dell’interno, il contratto con la società Fastweb incaricata della fornitura, prevedrebbe una disponibilità di 1.200 braccialetti elettronici mensili, che però non vengono distinti per tipologia applicativa, pertanto ciò avrebbe causato un notevole ritardo nella fornitura e nei tempi di applicazione;
con riguardo al problema del mancato o errato funzionamento, sono stati segnalati numerosi casi di cosiddetto “falso allarme” e di disservizio degli apparecchi, casi causati da una mancata messa a punto dell’apparecchio cui sarebbe possibile ovviare attraverso l’istituzione di un sistema di monitoraggio centralizzato;
a quanto risulta agli interroganti, a seguito di queste segnalazioni, i Ministeri in indirizzo hanno dichiarato di volersi impegnare, anche attraverso l’istituzione di un Tavolo interministeriale, per individuare le criticità connesse e conseguenti all’applicazione del braccialetto elettronico; tuttavia non sono noti né l’effettiva istituzione, né tantomeno l’esito dei lavori del suddetto Tavolo,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dello stato dei lavori del Tavolo interministeriale citato in premessa;
se, per le parti di rispettiva competenza, abbiano contezza dell’effettivo numero dei braccialetti elettronici attualmente in uso per reati legati alla violenza domestica, di genere e contro le donne;
se abbiano contezza della quantità di braccialetti segnalati in quanto malfunzionanti e se siano a conoscenza delle principali cause di malfunzionamento;
quali iniziative immediate, per le parti di reciproca competenza, intendano adottare, anche sul piano contrattuale, al fine di garantire il numero necessario di braccialetti elettronici a disposizione delle forze dell'ordine per il contrasto alla violenza domestica, di genere e contro le donne.