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Ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali. -
Premesso che:
in Italia, nel primo semestre 2025, da quanto emerge da statistiche diffuse a mezzo stampa, i canoni di affitto sono aumentati di più del doppio rispetto ai prezzi delle case in vendita. Tra inizio gennaio e fine giugno 2025 l’aumento dei costi di affitto di abitazioni è stato del 5,5 per cento, con le locazioni che hanno così raggiunto il costo in media di 14,3 euro al metro quadro;
l’aumento si pone in continuità con il trend dell’ultimo decennio dei mercati immobiliari delle principali città capoluogo italiane nelle quali, secondo quanto più volte evidenziato dal CENSIS, si sono verificati picchi di aumenti superiori al 40 per cento, in modo direttamente proporzionale all’aumento generalizzato dei prezzi al metro quadro dei beni immobili delle maggiori città europee;
considerato che:
tra il 2015 e il 2023, i prezzi delle abitazioni in Unione europea hanno registrato un aumento medio del 48 per cento, mentre gli affitti sono saliti del 18 per centro;
a fare le spese di questo aumento generalizzato dei costi degli affitti sono purtroppo le fasce più deboli della popolazione, come gli studenti, i giovani lavoratori, le famiglie monoreddito e gli anziani che rappresentano il 24,3 per cento della popolazione italiana;
recenti dati diffusi dall’ISTAT sottolineano che il 5,6 per cento della popolazione italiana (circa 3,3 milioni di persone) vive in condizioni di grave deprivazione abitativa, non soltanto a causa dell’aumento dei prezzi ma anche per la cronica mancanza di strutture abitative idonee;
alla problematica dell’emergenza abitativa non solo non è stata data alcuna risposta efficace in termini di riordino della normativa in materia urbanistica e di programmazione di nuove soluzioni abitative, ma si è addirittura scelto di azzerare il finanziamento del fondo nazionale per il contributo affitto e morosità incolpevole, istituito nel 2016 e che negli anni è servito ad arginare gli sfratti;
particolare allarme desta la condizione degli anziani i quali, a quanto risulta da notizie apprese a mezzo stampa, sono i più colpiti dal “caro affitti”, non solo a causa dell’aumento dei prezzi connesso all’inflazione, ma anche perché in alcune città del Sud Italia si è diffusa la prassi, in uso a numerose agenzie di locazione degli immobili, di non stipulare contratti di affitto con anziani e pensionati titolari di pensioni sociali;
tale prassi viola il principio di non discriminazione per ragioni legate all’età sancito dall’articolo 3 della Costituzione e si pone anche in contrasto con il bilanciamento tra il principio di libera iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione e l’obbligo che il medesimo principio non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla dignità umana, nello specifico discriminando una fascia debole della popolazione come gli anziani,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti;
quali misure necessarie ed urgenti intendano assumere al fine di garantire ai titolari di pensioni sociali il libero accesso all’affitto di immobili.
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IRTO - Al Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. -
Premesso che:
il comparto agricolo del comprensorio di Rocca Imperiale/Trebisacce, in Calabria, riveste un ruolo di primaria importanza per l'economia regionale, con la produzione del limone IGP, che costituisce una delle eccellenze del settore e contribuisce significativamente al PIL della Regione;
gli anni passati sono stati caratterizzati da una grave siccità che ha già lasciato segni evidenti sugli impianti e sulla pezzatura del prodotto agricolo, e, nonostante le piogge invernali, la persistente scarsità di provviste idriche continua a destare forte preoccupazione;
nel mese di marzo, è stato siglato un "accordo di programma per il governo delle risorse idriche" tra la Regione Basilicata e la Regione Puglia, che ha concluso i lavori con la proposta di non erogare acqua al Consorzio di bonifica dei bacini dello Jonio Cosentino dall'invaso di Monte Cutugno, circostanza che ha trovato la sottoscrizione del verbale dei partecipanti e che è da considerarsi un "fatto gravissimo";
ciò evidenzia una grave assenza della Regione Calabria, e più precisamente del Consorzio di bonifica predetto e dell’Assessorato regionale all’Agricoltura, dai tavoli di confronto e di ragionamento sulla crisi idrica che hanno coinvolto le regioni Puglia, Basilicata, Campania e Molise;
in passato, con il Governo Oliverio, fu sottoscritto un protocollo di portata storica per l'aumento della dotazione idrica, sfociato in un finanziamento per la realizzazione di una condotta dedicata al comprensorio Rocca Imperiale/Trebisacce;
a quanto pare, ad oggi, le rassicurazioni, giunte dall’assessore regionale all'Agricoltura, circa un aumento di portata d'acqua per uso irriguo sono da considerarsi insufficienti;
il comparto agricolo del comprensorio Rocca Imperiale/Trebisacce necessita di una portata di almeno 300 l/s per il mese di maggio/giugno e di circa 550 l/s per i mesi di luglio/agosto per garantire la sopravvivenza degli impianti e la qualità del prodotto, mentre la prevista portata di 330 l/s per luglio (attualmente disposta in via eccezionale) e inferiore ai 450 l/s per luglio/agosto (anche in considerazione di eventuali contrazioni da siccità) metterebbe a serio rischio le produzioni di eccellenza del comprensorio;
la situazione rischia di distruggere l'intero comparto agricolo del comprensorio Rocca Imperiale/Trebisacce, che conta circa 1.200 ettari di aree irrigabili, di cui 600 ettari ricadenti nel Comune di Rocca Imperiale,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali urgenti iniziative intenda intraprendere, anche in coordinamento con le Regioni interessate e con Acque del Sud per garantire al comprensorio irriguo Rocca Imperiale/Trebisacce una dotazione idrica sufficiente e pari ad almeno 500 litri di acqua al secondo nei mesi di luglio e agosto, così come richiesto dagli operatori del settore per salvaguardare le produzioni;
quali azioni il Governo intenda mettere in atto per affrontare la disparità di trattamento riservata alla Regione Calabria e, in particolare, al Consorzio di bonifica dei bacini dello Jonio Cosentino, escluso dall'accordo di programma sulla gestione delle risorse idriche dell'invaso di Monte Cutugno;
quali soluzioni valide, oltre al mero aumento di portata, il Ministero intenda considerare per affrontare strutturalmente la crisi idrica nel comprensorio, anche alla luce dei precedenti protocolli e finanziamenti per la realizzazione di infrastrutture idriche dedicate.
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Al Ministro dell'interno. -
Premesso che:
in località Baronello, frazione di Castellace, nel comune di Oppido Mamertina (Reggio Calabria), sorge un uliveto di circa 11 ettari confiscato alla criminalità organizzata e affidato alla gestione della cooperativa sociale “Valle del Marro - Libera terra” impegnata nel riutilizzo a fini produttivi e sociali dei beni sottratti alla mafia;
l’uliveto, simbolo di legalità e riscatto, è da anni oggetto di gravi atti intimidatori e vandalici: nel 2011 un incendio doloso ha infatti distrutto 500 ulivi secolari, vanificando 5 anni di lavoro di recupero del fondo agricolo; nel 2012 un secondo incendio ha distrutto un escavatore confiscato e assegnato alla cooperativa per i lavori di espianto degli alberi danneggiati; e nel 2015, sono stati abbattuti 96 alberelli dei 1.200 che la cooperativa aveva messo a dimora nel 2013;
in data 11 luglio 2025, un nuovo incendio doloso ha devastato circa 830 alberi distribuiti su quasi 4 ettari, distruggendo la parte più produttiva del fondo, causando un danno economico diretto di circa 30.000 euro, con una perdita di oltre 20.000 chilogrammi di olive, e un danno indiretto di ulteriori 18.000 euro, legato alla perdita di produttività dei prossimi 3 anni e ai costi di ripristino;
sempre in territorio calabrese, a Gioia Tauro (Reggio Calabria), la stessa cooperativa ha denunciato, in data 15 maggio 2025, furti e sabotaggi agli impianti di irrigazione di due terreni confiscati, coltivati a clementine e a kiwi, nonché, in data 17 giugno, l’incendio in località Pontevecchio di un campo di grano duro di 5,5 ettari;
nelle ultime settimane, sono stati diversi i fenomeni intimidatori a danno di cooperative agricole che gestiscono beni confiscati alla criminalità organizzata anche in altre regioni;
presso la cooperativa “Beppe Montana - Libera terra”, nel comune di Lentini (Siracusa), in data 8 luglio, ignoti hanno dato fuoco ad un appezzamento di grano duro biologico di 20 ettari in località Cuccumella, colpendo duramente l’attività agricola e la tenuta economica della cooperativa;
il 3 giugno, la stessa cooperativa ha denunciato il danneggiamento del cancello d’ingresso e il furto dal centro congressi di diverse attrezzature e il 24 giugno, presso uno degli appezzamenti di agrumeto confiscati e gestiti dalla cooperativa a Ramacca (Catania), sono stati rubati quadretti, pompe e valvole necessari al funzionamento del sistema di irrigazione;
solo pochi mesi fa un altro episodio criminoso è avvenuto all’interno dei terreni confiscati assegnati al villaggio della legalità di “Libera” a Borgo Sabotino (Latina), e analoghi episodi hanno riguardato in passato la cooperativa “Libera masseria” di Cisliano (Milano), un complesso immobiliare confiscato alla famiglia della ‘ndrangheta Valle-Lampada;
considerato inoltre che:
tali atti non rappresentano semplici episodi vandalici, ma costituiscono azioni intimidatorie sistematiche, che inquietano in quanto rivolte a realtà che rappresentano un’alternativa concreta al potere delle organizzazioni criminali;
spesso si tratta di cooperative gestite da giovani che con coraggio scelgono di restare in quei territori e che non solo generano lavoro vero e legale, rafforzando l’inclusione sociale, ma incarnano una visione di sviluppo fondata su legalità, sostenibilità e giustizia,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza della situazione e se non ritenga opportuno intervenire al fine di assicurare che i beni confiscati risultino reali strumenti di riscatto e sviluppo dei territori, senza che sia lasciato spazio ai tentativi di intimidazione e sabotaggio da parte delle organizzazioni mafiose;
quali iniziative urgenti intenda adottare, al fine di garantire piena sicurezza e tutela alle cooperative impegnate nel riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, a partire dalle cooperative interessate dai recenti episodi intimidatori;
se abbia intenzione di attivare con urgenza un tavolo interministeriale che coinvolga le realtà del terzo settore, le prefetture e le forze dell’ordine al fine di un monitoraggio sistematico delle condizioni dei beni confiscati e delle cooperative affidatarie;
se non ritenga opportuno potenziare i fondi e gli strumenti di sostegno, anche economico e assicurativo, per garantire la continuità operativa delle cooperative danneggiate dalle azioni criminali.
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Al Ministro della salute. -
Premesso che:
la missione 6 del piano nazionale di ripresa e resilienza, con un finanziamento di 15,63 miliardi di euro (più 2,89 miliardi inizialmente previsti dal piano complementare PNC, poi ridimensionati), mira a: rafforzare l’assistenza territoriale con case e ospedali di comunità, l’assistenza domiciliare e le centrali operative territoriali; digitalizzare i dipartimenti di emergenza-urgenza e il fascicolo sanitario elettronico; potenziare i reparti di terapia intensiva, ammodernare le grandi apparecchiature sanitarie; promuovere formazione, ricerca biomedica e il riordino degli IRCCS;
in data 22 maggio 2025 l’Ufficio parlamentare di bilancio ha pubblicato un focus in cui viene esaminato lo stato di avanzamento della missione, mediante un’analisi che “va oltre la questione del rispetto formale delle scadenze previste per il raggiungimento degli obiettivi concentrandosi, soprattutto, sulla concreta possibilità di successo della sfida di riorganizzare e potenziare il Servizio sanitario nazionale” considerato che “le scadenze concordate a livello europeo della Missione Salute sono state sinora rispettate, ma le prossime tappe saranno le più difficili da completare, in particolare laddove si tratti di chiudere rapidamente i cantieri aperti (l’81,7 per cento dei progetti è in fase esecutiva o conclusiva) e portare a compimento anche i lavori ancora non avviati” e sottolineando come l’attuale situazione richieda “performance decisamente migliori rispetto alla tradizionale lunghezza della durata dei lavori pubblici in Italia” anche dal punto di vista finanziario, dove “la spesa risulta pari a 2,8 miliardi, un importo di poco inferiore a quanto previsto dal cronoprogramma (3,1 miliardi), ma lontano dall’ammontare complessivo delle risorse da utilizzare”;
nel focus viene riportato che “nel presente stadio di realizzazione degli investimenti, si avverte una possibile discrasia tra l’impostazione adottata nella fase di programmazione e l’esecuzione concreta. Nell’ambito della programmazione del PNRR, infatti, le Regioni meridionali sono state sostenute dal vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse territorializzabili al Mezzogiorno, ma in presenza di una revisione verso il basso dei target relativi agli interventi edilizi, senza indicazione di obiettivi regionali coerenti con la programmazione” aggiungendo che “anche se le scadenze fossero rispettate con la completa adesione ai traguardi europei, potrebbe non essere assicurato il previsto riequilibrio territoriale”. In particolare, in relazione ai principali investimenti edilizi, ovvero “quelli nelle case della comunità (CdC), che hanno goduto di una riserva di risorse elevata al 45 per cento, e negli ospedali di comunità (OdC), il vincolo doveva garantire un riequilibrio con le Regioni con dotazioni infrastrutturali maggiori”. A tal riguardo si specifica che delle 1.038 case di comunità previste (target ridotto da 1.350), 943 cantieri risultano attivati o conclusi, ma solo 38 collaudati, e anche tra gli ospedali di comunità (target rivisto a 307), la situazione riporta di 310 cantieri avviati, ma solo 14 collaudati. In Molise non risulta attivo alcun cantiere per le case di comunità mentre in Sardegna e Calabria i cantieri sono solo una frazione del previsto e la spesa conferma tale situazione dal momento che il Sud ha utilizzato solo il 18,5 per cento delle risorse per le case di comunità e il 19,1 per cento per gli ospedali di comunità. Ancora più preoccupante è il quadro relativo ai servizi dove solo il 3 per cento delle case di comunità offre oggi i servizi obbligatori previsti dal decreto ministeriale n. 77 del 23 maggio 2022 con gravi carenze di personale medico e infermieristico;
tenuto conto che:
il documento dell’Ufficio parlamentare di bilancio riporta come “l’utilizzo del Fascicolo sanitario elettronico è ancora limitato; quanto all’assistenza domiciliare, le Centrali operative territoriali (COT) sono in funzione, le informazioni disponibili sulla platea degli assistiti in assistenza domiciliare integrata risalgono al 2023, quando l’incremento non appariva omogeneo sul territorio, e per la telemedicina, i progetti regionali sono stati approvati e la piattaforma nazionale è attiva, ma l’obiettivo di 300.000 pazienti assistiti entro il 2025 è stato rimodulato a causa dei ritardi”. Relativamente alla digitalizzazione dei dipartimenti di emergenza-urgenza nel paper dell’UPB viene riportato che solo il 21 per cento delle risorse è stato fatturato con forti ritardi in Abruzzo, Umbria e Marche ed anche il fascicolo sanitario elettronico soffre di “limiti strutturali quali problemi di interoperabilità, frammentazione regionale e ritardi nei caricamenti dei documenti”. Riguardo all’intervento relativo ai posti in terapia intensiva e semi-intensiva, vengono poi segnalati sviluppi differenziati tra le Regioni;
l’UPB sottolinea come “il successo della Missione Salute è anche legato alla capacità di popolare di professionisti, appositamente formati, le strutture nuove o potenziate. Attualmente, pochi servizi sono assicurati nelle Case e negli Ospedali di comunità, soprattutto nel Mezzogiorno, e non è chiaro in che misura i nuovi posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva siano dotati di apposito personale aggiuntivo per assistere i pazienti” in ragione anche dei fondi del PNRR che coprono in gran parte investimenti in conto capitale, lasciando aperto il problema della sostenibilità operativa delle nuove strutture essendo difficile reperire infermieri, medici di medicina generale e specialisti;
il 19 maggio la cabina di regia PNRR ha approvato una proposta di revisione tecnica del piano che è stata sottoposta all’esame del Parlamento e in cui la missione salute verrebbe solo marginalmente coinvolta dalle revisioni, che consisterebbero essenzialmente in modifiche definitorie e anticipi di target;
considerato che, come già denunciato dalla CGIL, “dei 19,2 miliardi di fondi disponibili per la Missione Salute M6, ne sono stati spesi appena 3,7, pari al 19%, e solamente il 38% dei progetti risulta completato”. Per quanto riguarda le case di comunità “i ritardi sono particolarmente preoccupanti: sono stati completati solo il 2% dei progetti, mentre per il 30% non sono ancora stati avviati i cantieri, e i finanziamenti spesi sono solo il 12%. Con questo ritmo ci vorranno almeno sette anni per completare tutti i lavori” e analoga preoccupazione viene espressa anche per gli ospedali di comunità dove risulta “completato solo il 3% dei progetti e speso solo l'11% dei fondi”,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga urgente adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di conoscere le motivazioni dei ritardi di attuazione delle misure di cui alla missione 6 del PNRR;
se non intenda assumere iniziative urgenti affinché tutti i progetti previsti siano realizzati entro i tempi stabiliti ovverosia entro il 2026 e con la garanzia di efficacia e efficienza della riorganizzazione e del potenziamento del servizio sanitario nazionale così come previsto;
se non ritenga necessario e urgente disporre iniziative specifiche volte a garantire l’effettiva osservazione della clausola di vincolo di destinazione di almeno il 40 per cento delle risorse territorializzabili al Mezzogiorno e che, come riferito nel documento dell’UPB, in ragione della revisione verso il basso dei target relativi agli interventi edilizi, senza indicazione di obiettivi regionali coerenti con la programmazione, potrebbe non essere più garantita, minando in tale modo il previsto riequilibrio territoriale.
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Ai Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti. -
Premesso che:
la rete autostradale italiana è in una situazione di forte peggioramento infrastrutturale a causa di un lungo periodo di mancati lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, in particolare su viadotti e gallerie, con la necessità attuale, secondo quanto sostenuto dagli stessi concessionari, di interventi extra rispetto a quanto previsto nei piani economico finanziari (PEF) vigenti, per un ammontare di circa 27 miliardi di euro, di cui 22,2 miliardi per l’aggiornamento dei PEF di ASPI, 3,9 miliardi di euro per l’aggiornamento dei PEF del gruppo Gavio e 1,5 miliardi di euro per gli altri concessionari;
secondo notizie di stampa, una commissione istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per affrontare le richieste dei concessionari autostradali di riaggiornamento su 15 piani economico finanziari, dopo mesi di analisi e studio dei dati e delle richieste, avrebbe concluso i propri lavori rilevando che il calcolo dei suddetti extra costi non sarebbe fondato e non effettivamente dovuto;
le richieste di aggiornamento dei PEF sono state motivate dai concessionari autostradali tenendo conto di una serie di fattori, quali gli effetti dell’aumento dei costi delle materie prime, le conseguenze della pandemia e dei fattori geopolitici, nonché gli adeguamenti normativi e i nuovi standard tecnici richiesti e, infine, il recepimento delle prescrizioni che hanno innalzato gli standard dei controlli a seguito della strage del "ponte Morandi" di Genova;
secondo notizie di stampa, le argomentazioni sostenute dai concessionari autostradali, a parere degli esperti della commissione, non sarebbero sufficienti a motivare le richieste di aggiornamento dei PEF, in ragione del fatto che per anni i concessionari, a fronte degli ingenti incassi, non hanno provveduto alle manutenzioni ordinarie e straordinarie a cui erano tenuti per contratto. Le principali cause a cui attribuire i maggiori rilevanti costi sarebbero in realtà la sottostima dei valori economici posti alla base dei contratti di concessione e dei PEF approvati e la sottostima della quantità di manutenzioni straordinarie alla base dei contratti di concessione, anche a seguito della carenza di manutenzione ordinaria riscontrata negli ultimi anni. A questi due fattori, si aggiungerebbe la scelta dei concessionari di concentrarsi prevalentemente sulla realizzazione delle grandi opere a discapito di un’attenta pianificazione della manutenzione della rete autostradale. Sulla base di queste conclusioni, la commissione avrebbe invitato il Ministero a rivedere i rapporti di forza con i concessionari affermando che la ripartizione dei rischi tra concedente e concessionario deve essere maggiormente definita e inequivocabile. Tra gli obblighi del concessionario è previsto il mantenimento della funzionalità delle infrastrutture attraverso la loro manutenzione e la riparazione tempestiva e le linee guida emesse dal Ministero delle infrastrutture non possono aver incrementato la spesa se non nel caso in cui il concessionario abbia inizialmente, nel PEF vigente, sottostimato le esigenze di manutenzione straordinaria. Pertanto gli extra costi non possono essere imputati a modifiche normative;
considerato, altresì, che:
secondo notizie di stampa, il concessionario ASPI avrebbe mascherato per anni gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete autostradale sotto la voce investimenti, ossia con spese orientate a migliorare la rete autostradale scaricando i relativi costi sui pedaggi. Per gli esperti della commissione risulterebbe “una carenza estesa di manutenzione almeno di oltre un decennio precedente al periodo attuale, ne deriva che le somme imputate per manutenzione straordinaria non possono essere completamente riconosciute come investimenti” e, dopo aver risparmiato sulle manutenzioni per anni, ASPI non potrebbe pretendere un aggiornamento del PEF di tale portata e far ricadere i costi sullo Stato o sugli utenti;
l’attuale compagine azionaria di ASPI (CDP e i fondi Blackstone e Macquarie) ha definito una co-governance particolare secondo cui tutta la cassa prodotta al netto degli investimenti deve essere distribuita ogni anno sotto forma di dividendi o riserve. Come riportato da notizie di stampa, secondo CDP Equity la politica di dividendi perseguita andrebbe rivista a favore di maggiori investimenti di ASPI sulla rete autostradale. Per il 2024, su 1.027 milioni di euro di utile, 790 milioni sono stati distribuiti per soddisfare le esigenze di remunerazione dei fondi,
si chiede di sapere:
quali siano le valutazioni del Governo sui fatti esposti;
se intenda tempestivamente pubblicare e trasmettere al Parlamento la relazione della commissione istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per affrontare le richieste dei concessionari autostradali di riaggiornamento su 15 piani economico finanziari;
quali misure intenda adottare nei confronti dei concessionari che hanno omesso o mascherato gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete autostradale nel corso degli anni e affinché i mancati interventi siano tempestivamente realizzati, a partire dalle situazioni più gravi che riguardano viadotti e gallerie;
se intenda rivedere i rapporti con i concessionari autostradali riaffermando che tra gli obblighi prioritari a carico dei medesimi concessionari vi è quello del mantenimento della funzionalità delle infrastrutture attraverso la loro costante manutenzione e la riparazione tempestiva, evitando che tali interventi siano imputati sotto la voce investimenti e quindi riversati sui pedaggi o sul bilancio pubblico;
quali misure intenda adottare per evitare che in futuro i concessionari autostradali si concentrino prevalentemente sulla realizzazione delle grandi opere a discapito di un’attenta pianificazione della manutenzione della rete autostradale;
quali misure intenda, altresì, adottare affinché la politica di dividendi perseguita da ASPI non pregiudichi gli investimenti del gruppo sulla rete autostradale.





