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Legislatura 19ª - Disegno di legge n. 882 - Nicola Irto cofirmatario
Gli obiettivi del presente disegno di legge sono di definire in maniera limpida il perimetro e le finalità delle politiche pubbliche per il sostegno e lo sviluppo delle imprese creative e della cultura e di creare un contesto normativo e un'organizzazione pubblica funzionali, strutturali e di sistema per il segmento produttivo del settore.
Si tratta di finalità solo apparentemente ovvie, e altrettanto apparentemente di problematiche già risolte dalle discipline vigenti, che intervengono nel settore in maniera frammentaria e disorganica anche riguardo alle risorse finanziarie pubbliche a esso destinate.
Mentre si continua a celebrare il « gigantismo » culturale dell'Italia, talvolta anche con riferimenti, citazioni e calcoli irreali, la legislazione italiana non mette a disposizione della creatività e della cultura strumenti finanziari, normativi e organizzativi efficaci e adeguati ai bisogni del sistema produttivo e delle imprese della cultura e della creatività; né si sono mai gettate le basi di una politica industriale per il suo sviluppo.
A questo limite della legislazione nazionale, le imprese del settore (che peraltro come noto sono molto spesso micro o piccole imprese) hanno pagato e pagano un prezzo altissimo in termini di competitività, di mortalità e di abbandono nel campo aperto di mercati che richiedono anche di confrontarsi con soggetti la cui forza contrattuale ed economica è esponenzialmente maggiore. Esse pagano frequentemente anche l'impossibilità di essere ricomprese nel settore di attività al quale appartengono e perciò di avvalersi delle risorse e degli interventi pubblici a disposizione del comparto o di accedere a bandi e gare a causa di meccanismi, strumenti e informazioni insufficienti o inadeguati o difformi per la loro stessa individuazione. Sappiamo, ad esempio, come il sistema dei codici ATECO applicato al settore culturale e creativo assai spesso non permetta di individuare chiaramente l'appartenenza delle imprese al proprio comparto produttivo a causa delle complessità, della molteplicità o delle difformità delle attività svolte dalle imprese medesime, che non concordano con un sistema di classificazione rigido. Un problema che ha, tra l'altro, prodotto l'impossibilità per molte di queste aziende e professionisti di accedere agli aiuti erogati dallo Stato durante l'emergenza conseguente all'epidemia da COVID-19.
Le politiche pubbliche per la cultura e la creatività e la visione alla quale esse sono orientate incidono su aspetti che costituiscono i cardini stessi della vita democratica, a partire dall'offerta concreta di pari opportunità e di pluralismo fino all'effettiva esigibilità dei diritti sociali e civili e agiscono sulla qualità del lavoro, sulla produttività complessiva del sistema, sulla qualità delle produzioni, sulla capacità di innovazione. Dunque, la produzione culturale e creativa e il sistema delle imprese che appartengono al settore, il loro stato di salute e le opportunità concrete per la loro crescita costituiscono certamente un interesse generale e collettivo.
Definire l'identità del settore culturale e creativo significa prima di tutto riconoscerne l'indipendenza, le specificità e la funzione di motore di crescita, benessere, innovazione, valore aggiunto per gli standard di qualità del lavoro e delle produzioni e poi dotarlo degli strumenti necessari per coltivarlo e farlo crescere, a partire dai processi creativi, artistici, culturali, intellettuali, che sono il basamento del sistema e si realizzano attraverso il lavoro, la sua organizzazione e la creazione di un'impresa.
Le imprese creative e della cultura, così come i professionisti che operano in questo settore, hanno bisogno, come più volte ha ricordato anche l'Unione europea nei suoi dibattiti e nei suoi atti, di condizioni favorevoli, di un contesto normativo che ricompensi la creatività, di un accesso migliore ai finanziamenti, di opportunità per crescere e internazionalizzarsi, di un'offerta di competenze specifiche. E, come vale per ogni altro settore economico, attività produttiva e imprenditoriale, di un'organizzazione pubblica adeguata, competente, efficiente rispetto ai bisogni e alle specificità del settore, ricordiamo il fatto che l'osmosi di conoscenze e competenze peculiari del settore creativo e della cultura con quelle di altri settori – fra cui, a solo titolo esemplificativo, le tecnologie, l'informazione e la comunicazione, il turismo, i servizi e il settore pubblico, le attività produttive – favorisce la generazione di soluzioni innovative. Ed è in considerazione di questi tratti caratteristici che il quadro normativo e le azioni pubbliche per il sostegno e lo sviluppo delle imprese creative e culturali debbono a loro volta essere studiate e orientate. È quindi indispensabile un congruo investimento pubblico, in termini certamente di risorse finanziarie, ma anche di disciplina organica e stabile, un'organizzazione omogenea ed efficiente e un migliore e più efficace coordinamento tra i diversi livelli di governo competenti.
L'altra parte di un ragionamento che coinvolge il sistema produttivo della creatività e della cultura riguarda la domanda e i consumi culturali, in particolare in un Paese come l'Italia in cui, come risulta chiaramente dai dati sui consumi culturali, soprattutto quelli che implicano la partecipazione in presenza (come cinema, musei, teatri), i consumi medesimi stagnano da circa tre decenni, con indici che non segnalano né significative crescite, né l'allargamento della domanda. È noto, inoltre, quanto abbia influito negativamente la pandemia da COVID-19 e certamente la grave crisi internazionale in corso, gli aumenti dei costi dell'energia e la crescita dell'inflazione, che non contribuiranno a migliorare l'andamento della spesa culturale delle famiglie italiane.
A queste ultime considerazioni si deve premettere, anche qui, che tra i princìpi guida dell'azione pubblica per la creatività e la cultura non può non esservi quello di riconoscere la spesa culturale tra quelle direttamente connesse all'esercizio di un diritto fondamentale della persona, sociale e civile, il che implica la previsione di misure pubbliche per il sostegno della domanda, che in questo disegno di legge si realizzano attraverso il riconoscimento della detrazione fiscale del 19 per cento ai fini dell'IRPEF.
A tutte queste premesse risponde l'articolato del disegno di legge che viene illustrato di seguito e che, nell'ottica della necessità di una politica di vero e proprio sviluppo industriale per il settore, stabilisce misure e azioni pubbliche guidate dal riconoscimento del valore sociale e civile della cultura e della creatività.
L'articolo 1 del disegno di legge definisce il settore creativo e culturale, disegnandone il perimetro e permettendo, allo stesso tempo, la sua apertura all'innovazione dei linguaggi e delle forme della creatività e dell'arte e alle loro possibili applicazioni, realizzazioni e utilizzazioni, assumendo che esse nascono comunque da processi artistici, culturali o creativi. La filiera produttiva individuata coinvolge tutte le parti, le fasi e i segmenti che compongono la filiera produttiva delle diverse attività creative, culturali e artistiche, anche qualora esse siano congiunte o connesse o si avvalgano dei processi creativi, culturali e artistici.
L'articolo 2 stabilisce i criteri per la definizione delle imprese del settore creativo e culturale, individuandole nei soggetti ed enti privati che svolgono una o più delle attività previste dall'articolo 1, costituiti nelle forme previste dal libro quinto del codice civile (« Del lavoro »), ricomprendendo così tutte le forme dell'organizzazione di impresa: dal lavoro autonomo, alle società, alle società cooperative, nonché agli enti del Terzo settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa (articolo 13, comma 4, del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117), alle imprese sociali di cui al codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, e agli enti di cui al capo II del titolo II del libro primo del codice civile, cioè associazioni e fondazioni che svolgono le proprie attività prevalentemente in forma di impresa.
L'articolo 3 istituisce il registro delle imprese creative e culturali (RICC) presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, fornendo al sistema produttivo uno strumento semplice e unitario per l'individuazione e il riconoscimento delle imprese appartenenti al settore di riferimento. È noto come il sistema di individuazione dei codici ATECO, anche date le difformità, l'eterogeneità e la molteplicità delle forme e dei contenuti delle attività svolte dalle imprese appartenenti a questo settore, assai spesso non permetta di individuare nettamente la loro appartenenza all'ambito della creatività e della cultura, e che questo limite abbia prodotto anche diversi problemi di applicabilità e di riconoscimento di misure di sostegno economico-finanziario, dalle quali le imprese del settore hanno finito per restare escluse. Questo nuovo meccanismo, peraltro già utilizzato nella disciplina di sostegno e sviluppo delle start up innovative, permette di superare le problematiche conseguenti alle difficoltà di identificazione attraverso un meccanismo semplice e consente, tra l'altro, di ottenere più facilmente dati e informazioni sulla vita, sul dimensionamento, sulle caratteristiche delle imprese iscritte al RICC. Si stabilisce conseguentemente, al comma 4 dell'articolo, che l'iscrizione delle imprese nel RICC produce effetti ai fini statistici, fiscali e contributivi, definendone l'appartenenza al settore economico, creativo e culturale e che tale iscrizione produce effetti anche ai fini delle procedure adottate dalla parte pubblica per l'individuazione delle imprese del settore ai fini delle discipline, delle misure e degli interventi per il sostegno e lo sviluppo delle imprese e dei sistemi industriali, sia a carattere ordinario che straordinario.
L'articolo 4 prevede, ai commi 1 e 2, modificazioni alla normativa relativa alle start up innovative recata dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, estendendone gli effetti alle start up del settore creativo e culturale iscritte al suddetto RICC.
Il comma 3 dell'articolo estende invece la disciplina del credito di imposta per le assunzioni a tempo indeterminato di personale altamente qualificato recata dall'articolo 24 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, alle imprese del settore creativo e culturale, provvedendo perciò anche ad integrare le norme di cui al predetto decreto-legge con i titoli di studio e i corsi di laurea magistrali che afferiscono al settore creativo e culturale.
L'articolo 5 istituisce il Fondo di garanzia per le micro, piccole e medie imprese del settore creativo e culturale, sostituendolo al Fondo per le piccole e medie imprese creative di cui all'articolo 1, comma 109, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, con una dotazione di 200 milioni di euro a decorrere dal 1° gennaio 2024.
Le risorse assegnate al Fondo sono destinate allo sviluppo, alla collaborazione e al rafforzamento delle imprese del settore sia nel mercato interno che su quello estero, nonché a promuovere nuove imprenditorialità, con contributi a fondo perduto, con finanziamenti agevolati e con loro combinazioni, e a favorire l'accesso al credito delle imprese.
In particolare, attraverso il Fondo sono finanziate: azioni di promozione della collaborazione tra le imprese del settore creativo e culturale e con le imprese di altri settori produttivi; il sostegno della progettazione e della realizzazione di iniziative e attività tra le imprese del settore, le università e gli enti di ricerca, con particolare riguardo alla ideazione, allo sviluppo e alla realizzazione di attività e progetti di innovazione; la promozione e il sostegno dell'internazionalizzazione e delle esportazioni e il rafforzamento delle imprese sui mercati interno ed estero; la promozione e la realizzazione di aggregazioni, di reti di imprese e di altre iniziative e forme di cooperazione, collaborazione, associazione tra le imprese, anche a carattere intersettoriale; incentivazione e sostegno delle imprese del settore appartenenti al sistema cooperativo, con particolare attenzione alle cooperative di produzione e lavoro e a quelle sociali; il consolidamento e lo sviluppo del sistema imprenditoriale del settore creativo e culturale, anche attraverso attività di analisi, studio, promozione, formazione e valorizzazione.
Si stabilisce poi che, ai fini dell'accesso e della concessione dei benefici erogati con le risorse del Fondo, un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy di attuazione delle norme dettate dall'articolo in parola dovrà prevedere meccanismi di premialità per le imprese richiedenti che:
– promuovono e attuano politiche e processi aziendali per la diversità, l'equità e l'inclusione e la parità di genere, inclusa la redazione del rapporto sulla situazione del personale o della certificazione della parità di genere, redatti ai sensi degli articoli 46 e 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198;
– promuovono e attuano politiche aziendali per la parità generazionale;
– progettano, programmano e realizzano le proprie attività di impresa utilizzando politiche, processi e strategie aziendali finalizzate alla sostenibilità ambientale, e privilegiano l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili;
– promuovono e realizzano politiche aziendali per la formazione e l'aggiornamento costante delle professionalità e delle competenze dei lavoratori, anche in collaborazione con le università e gli enti di ricerca.
L'articolo 6 stabilisce un credito di imposta a favore degli sponsor per le sponsorizzazioni di carattere tecnico, puro o misto, destinate alla realizzazione e alla promozione di manifestazioni, eventi, spettacoli, festival, rassegne, rappresentazioni, anche con finalità di educazione, di divulgazione, di facilitazione e di sostegno dell'accesso dei fruitori alla cultura e alla creatività. Il credito di imposta riconosciuto è del 45 per cento dell'importo o del valore della sponsorizzazione medesima, risultante e certificato dal contratto di sponsorizzazione stipulato tra le parti.
L'articolo 7 istituisce un credito di imposta sugli investimenti per ricerca, sviluppo e produzione alle imprese del settore creativo, in percentuali differenziate in ragione del costo crescente degli investimenti, e cioè:
– 40 per cento del costo per investimenti fino a 2,5 milioni di euro;
– 20 per cento del costo per investimenti oltre i 2,5 milioni di euro e fino al limite di costi complessivamente ammissibili pari a 10 milioni di euro;
– 10 per cento del costo per investimenti tra i 10 milioni di euro e fino al limite di costi complessivamente ammissibili pari a 20 milioni di euro.
L'articolo 8 introduce norme per la semplificazione dell'affidamento in comodato, concessione o locazione, a soggetti iscritti nel RICC, di immobili di appartenenza pubblica che vengano destinati ad attività culturali e creative, con diversi possibili benefici in ordine agli oneri derivanti dalle eventuali opere di restauro, recupero, riqualificazione e riconversione dei quali i soggetti affidatari degli immobili si fanno carico, garantendone la realizzazione e restituendo così gli immobili inutilizzati o addirittura dismessi alla vita delle comunità e dei territori. L'articolo prevede inoltre che le semplificazioni ivi stabilite possano essere utilizzate dalla parte pubblica anche per l'affidamento in concessione o in locazione di immobili di propria appartenenza non interessati dalla necessità di interventi di recupero, ristrutturazione e riqualificazione, qualora destinati alle attività creative e culturali come definite dalle norme del presente disegno di legge.
L'articolo 9 stabilisce la detraibilità dall'imposta lorda sul reddito delle persone fisiche delle spese sostenute dai contribuenti, anche in riferimento ai familiari fiscalmente a carico, per specifiche categorie di prodotti e di servizi creativi e culturali elencati nell'articolo alle lettere da a) a c) del comma 1. Quanto alla misura della detrazione fiscale e ai parametri minimi di spesa annua per il suo riconoscimento, nonché alle modalità di certificazione delle spese sostenute, è adottata la medesima disciplina stabilita dal testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Si tratta di una scelta di principio, determinata prima di tutto dalla convinzione che la spesa culturale, alla stregua delle spese sanitarie, debba appartenere al novero di quelle direttamente connesse all'esercizio dei diritti sociali e civili della persona.
Si tratta, peraltro, di un'azione pubblica diretta al sostegno e all'allargamento dei consumi culturali e creativi, azione particolarmente necessaria in Italia dove tali consumi, in particolare quelli legati alla domanda di prodotti e servizi culturali in presenza (musei, cinema, teatro, e così via) sono bloccati all'interno di una fascia ristretta di consumatori di cui, da oltre un trentennio, non si riesce ad ampliare la base. Nella realizzazione di una politica pubblica per lo sviluppo dell'economia e dell'imprenditorialità del settore, non può essere altresì ignorata la necessità di sostenere e di allargare il bacino della domanda, oltre che dell'offerta, senza la quale non può esserci un « mercato ».
L'articolo 10 istituisce l'agenzia « Italia Creativa » quale soggetto pubblico per la progettazione, la gestione e l'attuazione delle politiche pubbliche per il sostegno e lo sviluppo del settore creativo e culturale.
Dopo circa tre decenni di dibattiti intorno, tra l'altro, alla necessità di un'organizzazione pubblica competente, efficiente e dedicata alle specificità del settore creativo e culturale, capace di progettare, programmare e realizzare anche politiche industriali per un settore complesso e articolato in segmenti spesso molto diversificati ma sempre interconnessi, si è giunti alla determinazione che la necessità di raccogliere competenze e professionalità eterogenee e però collegate e interdipendenti in funzione del raggiungimento degli obiettivi da perseguire dalla parte pubblica per questo comparto produttivo richieda, necessariamente, la creazione di un soggetto dedicato che tenga insieme le diverse competenze, funzioni, risorse professionali, indispensabili a realizzare la progettazione, la programmazione, l'efficacia e l'efficienza dei compiti e delle azioni pubbliche per il settore, in tutte le sue articolazioni.
Per queste ragioni di stabilisce l'istituzione di un'agenzia la cui organizzazione risponde alla disciplina stabilita dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Secondo quanto previsto dalla normativa appena richiamata, le agenzie svolgono attività tecnico-operative di interesse nazionale esercitate da Ministeri ed enti pubblici e operano al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e locali. Le agenzie godono di piena autonomia, nei limiti stabiliti dalla legge, e sono sottoposte al controllo della Corte dei conti e ai poteri di indirizzo e di vigilanza di un Ministro: nel caso dell'agenzia « Italia Creativa », tali ultimi poteri sono attribuiti ai Ministri dell'economia e delle finanze, delle imprese e del made in Italy e della cultura. L'agenzia Italia Creativa opera perciò con autonomia organizzativa, tecnico-operativa, di bilancio e di gestione e ad essa sono assegnati i seguenti compiti e funzioni: la progettazione, la gestione e l'attuazione delle politiche pubbliche di sostegno e sviluppo del settore, sia per quanto riguarda le imprese e l'offerta di creatività e cultura, che per quanto attiene alle azioni pubbliche per la crescita e l'ampliamento della domanda. L'agenzia è il soggetto gestore delle risorse e dei fondi pubblici stanziati e destinati dallo Stato alle politiche di sviluppo, sostegno e rafforzamento del settore e si occupa delle azioni e degli accordi per favorire l'accesso al credito alle imprese creative e culturali. L'agenzia svolge le attività relative ai bandi e alle gare afferenti al settore economico-creativo e culturale a carattere nazionale, europeo e internazionale e all'assegnazione delle risorse per essi stanziate.
All'agenzia Italia creativa è affidata la gestione delle risorse assegnate al Fondo istituito dall'articolo 5 del disegno di legge.
All'agenzia sono assegnate le funzioni di coordinamento e la realizzazione delle sinergie necessarie per il dialogo e la collaborazione tra le pubbliche amministrazioni e gli enti interessati e titolari di competenze specifiche nel settore creativo e culturale, anche con riguardo alle iniziative regionali ed europee. L'agenzia si occupa inoltre dell'internazionalizzazione e del rafforzamento delle imprese anche sui mercati esteri. Molto importante è anche la progettazione e la realizzazione di attività di raccolta ed elaborazione dei dati e delle informazioni sul settore e quindi della ricerca e degli studi, sia per l'efficienza e l'efficacia dello svolgimento dei propri compiti e funzioni che per la realizzazione di un Osservatorio nazionale del settore, attraverso il quale si possano monitorare il complesso delle azioni, misure e interventi realizzati dallo Stato e dagli enti territoriali, anche ai fini della eventuale innovazione e dell'aggiornamento delle discipline di riferimento e della riprogrammazione degli interventi pubblici. A questi scopi (comma 4) l'agenzia riceve annualmente dal registro delle imprese i dati e le informazioni del RICC sulle imprese del settore creativo e culturale e opera in collaborazione con l'Istituto nazionale di statistica negli ambiti di studio, ricerca e analisi attinenti allo svolgimento dei compiti che le sono attribuiti, sia con riguardo al sistema imprenditoriale che ai dati e alle analisi sui consumi e sulla fruizione culturale e creativa. L'agenzia richiede i dati e le informazioni e, ove necessario, la collaborazione, anche a carattere stabile, alle istituzioni, alle pubbliche amministrazioni e agli enti competenti, ivi compresi gli enti previdenziali e assistenziali.
L'agenzia creerà le sedi necessarie per il dialogo, il confronto e la cooperazione tra i diversi soggetti attori del sistema e promuoverà la formazione e l'aggiornamento professionale e delle competenze riguardanti o connesse al settore culturale e creativo, in particolare attraverso intese con le università e gli enti di ricerca.
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L'attuale formulazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, come introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, si limita a prevedere che con legge approvata dalle Camere a maggioranza assoluta, sulla base di intesa con la regione interessata e su iniziativa di quest'ultima, possano essere attribuite a una o più regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie di cui all'articolo 117, terzo comma (vale a dire le materie oggetto di competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni) e alcune delle materie oggetto di competenza legislativa esclusiva dello Stato (si tratta, in particolare, dell'organizzazione della giustizia di pace, delle norme generali sull'istruzione e della tutela dell'ambiente).
La disposizione, fin dalla sua entrata in vigore, è apparsa di non facile interpretazione e di non facile coordinamento con le altre disposizioni del titolo V, a partire dagli articoli 117 e 119 della Costituzione, e con alcuni principi fondamentali della Costituzione che tali articoli ribadiscono.
Come ebbe a osservare Leopoldo Elia, in sede d'indagine conoscitiva, immediatamente dopo l'approvazione della legge costituzionale n. 3 del 2001, e come è stato sottolineato da ultimo dal Presidente emerito della Corte costituzionale, Ugo De Siervo, nel corso delle audizioni sul disegno di legge atto Senato n. 615, se l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, attraverso la sola legge ordinaria (seppur rinforzata dal lato passivo), venisse intesa come legittimante anche il trasferimento alla regione interessata di funzioni legislative, l'articolo 116 della Costituzione finirebbe per determinare la decostituzionalizzazione del secondo e del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione in probabile contrasto con i principi fondamentali della Costituzione a partire dall'articolo 138.
Una questione che, come evidente, non ha un rilievo soltanto formale nella misura in cui gli equilibri del sistema delle fonti prefigurati dalla Costituzione sono funzionali a ben precisi assetti di governo – anche in relazione al sistema delle autonomie – e, in ultima analisi, a un'efficace ed effettiva garanzia dei diritti fondamentali, del principio di eguaglianza e dell'unità della Repubblica.
Allo stesso tempo, l'attuale formulazione dell'articolo 116, terzo comma, non sembra contenere sufficienti e inequivoche garanzie in ordine al rapporto tra la differenziazione delle forme e condizioni di autonomia e la tenuta del principio costituzionale di uguaglianza, almeno sotto tre concorrenti profili. In primo luogo, sotto il profilo della relazione tra l'articolo 3 e l'articolo 5 della Costituzione, e dunque del rapporto tra principio di uguaglianza e principio di unità della Repubblica. In secondo luogo, sotto il profilo – strettamente collegato al precedente – del rapporto tra garanzia del principio di uguaglianza e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (« che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale », come recita la lettera m) dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione) che non può essere messa a rischio dalla differenziazione delle forme e condizioni di autonomia regionale né, evidentemente, essere sottratta all'ambito di intervento della legge parlamentare. Infine, specifici problemi si potrebbero porre sotto il profilo del rapporto tra uguaglianza, solidarietà e garanzia degli equilibri finanziari e di bilancio: dunque, sotto il profilo del rapporto tra il terzo comma dell'articolo 116 e l'articolo 119 della Costituzione.
Per affrontare simili profili problematici e cercare di scongiurare i rischi di una attuazione dell'articolo 116, terzo comma, contraria alla stessa Costituzione e ai suoi principi fondamentali, lo strumento della legge (« quadro ») ordinaria appare insufficiente. Come è stato osservato nel corso delle audizioni al citato atto Senato n. 615 da gran parte degli studiosi, non si deve infatti dimenticare che il legislatore ordinario, salve specifiche e comunque controverse ipotesi, non può vincolare giuridicamente sé stesso: per cui l'eventuale legge (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta sulla base dell'intesa, ex articolo 116, terzo comma, della Costituzione) che attribuisse forme e condizioni particolari di autonomia, siccome si porrebbe nel sistema delle fonti allo stesso livello della legge quadro, potrebbe, senza alcuna sicura conseguenza giuridica, derogare e disattendere quanto eventualmente disposto da quest'ultima (se adottata appunto con legge ordinaria).
L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, solleva inoltre un problema di reversibilità delle differenziazioni, qualora esse risultassero mettere a rischio l'effettivo esercizio di diritti fondamentali o l'accesso a beni e servizi essenziali per i cittadini delle regioni interessate. Di fronte a un'evidente incapacità della regione di esercitare in maniera adeguata le funzioni ottenute, sarebbe ragionevole ritenere che lo Stato non possa in alcun modo rimettere in discussione quanto trasferito se non vi è la condivisione e, prima ancora, l'iniziativa della stessa regione?
Il presente disegno di legge, pur senza escludere la possibilità di una differenziazione delle autonomie, mira tuttavia a chiarirne la disciplina, sia sotto il profilo « formale » del sistema delle fonti, sia sotto il profilo sostanziale.
Per questo, si prevede anzitutto che il percorso che può condurre all'attribuzione ad alcune regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sia disciplinato da una più dettagliata cornice di livello costituzionale, approvata ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione. Ciò dovrebbe consentire, in prima battuta, di allontanare i rischi di contraddizioni nel sistema delle fonti e nella stessa Carta costituzionale, riportando la possibile deroga alle previsioni dell'articolo 117 – secondo una logica di coerenza – a una fonte di rango costituzionale; una fonte che, comunque, non potrebbe derogare ai principi supremi della Costituzione medesima, tra cui il principio di unità e indivisibilità della Repubblica.
Si prevede altresì espressamente che detta legge costituzionale, nello stabilire i presupposti, le modalità, i limiti e i termini del procedimento con cui stipulare e approvare l'intesa, debba rispettare i principi di cui agli articoli 3, 5, 117, secondo comma, lettera m), e 119 della Costituzione e, dunque, il principio di eguaglianza in sé considerato (nella sua dimensione formale e sostanziale) e nel suo rapporto con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché con i principi di equilibrio e solidarietà che presiedono tra gli altri – ai sensi dell'articolo 119 – alla disciplina delle condizioni di finanziamento dell'autonomia; e di conseguenza, in coerenza con tali fondamentali princìpi costituzionali, debba assicurare un adeguato protagonismo al Parlamento, sia nella fase che precede l'interlocuzione con le regioni, sia nella fase di approvazione della legge che attribuisce ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Inoltre, sul piano sostanziale e nell'ottica di rafforzare la garanzia dell'unità della Repubblica, la modifica proposta limita, fin da subito, le ulteriori forme e condizioni di autonomia alle sole materie oggetto di competenza legislativa concorrente. Tale innovazione pare coerente con il sistema costituzionale delle autonomie, consentendo la differenziazione in ambiti nei quali la Costituzione ha già operato una ben precisa scelta di dimensionamento, prevedendo la compartecipazione dello Stato e delle regioni nell'esercizio delle relative competenze legislative. In tal modo, in armonia con l'attuale assetto delle competenze legislative, si garantisce che – pur nel quadro di una possibile differenziazione – non vengano pregiudicate né l'unità della Repubblica, come assicurata dall'esercizio della potestà legislativa statale nelle materie di competenza esclusiva oggetto del secondo comma dell'articolo 117, né la tenuta del principio di sussidiarietà, nel suo legame strutturale con i principi di eguaglianza e solidarietà.
A tutela dell'unità della Repubblica e dell'interesse nazionale ad una regolazione uniforme (perlomeno nei suoi princìpi fondamentali) si prevede altresì che non possano in alcun modo essere oggetto di « ulteriori forme e condizioni particolari di differenziazioni » (rispetto a quelle comunque già possibili per le materie di cui all'articolo 117, terzo comma) le materie del commercio con l'estero, della tutela e sicurezza del lavoro, dell'istruzione, delle professioni, della tutela della salute, dei porti e aeroporti civili, dell'ordinamento della comunicazione, della previdenza complementare e integrativa e del credito a carattere regionale.
Infine, il disegno di legge – facendo tesoro di alcuni rilievi dell'Ufficio parlamentare di bilancio e di spunti contenuti nella giurisprudenza della Corte costituzionale, oltre che di riflessioni ormai consolidate in dottrina – modifica l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in modo da riportare alcune materie dalla legislazione concorrente alla legislazione esclusiva dello Stato, e così garantire in maniera più efficace le condizioni, strutturali e normative, della crescita e dello sviluppo economico dell'intero Paese. Si tratta delle grandi reti di trasporto e di navigazione; della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia e del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario: materie sulle quali una proliferazione di normative differenziate rischierebbe solo di produrre effetti distorsivi e negativi sulla scelta e sull'efficacia degli investimenti economici, pubblici e privati.
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Il presente disegno di legge si prefigge l'obiettivo di favorire ed implementare azioni e strumenti per la promozione e la diffusione della lettura in età prescolare.
Rientra tra i compiti fondamentali dello Stato, delle regioni, e in generale delle istituzioni pubbliche, adottare politiche e azioni a sostegno dell'infanzia. A tal fine è opportuno ricordare che la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, impone agli Stati contraenti l'adozione di tutte le misure legislative e amministrative necessarie a tutelare i diritti riconosciuti nella Convenzione medesima. Tra questi, l'articolo 17 prevede un impegno degli Stati membri a garantire l'accesso a bambini e a ragazzi a un'informazione sicura, rispettosa della loro età, e che promuova il loro benessere sociale, spirituale e morale.
Tra le misure elencate, il punto 3 prevede, appunto, che si incoraggi la produzione e la diffusione di libri per l'infanzia.
La lettura, dunque, è considerata strumento indispensabile di sviluppo cognitivo, affettivo, sociale e relazionale dei bambini, di educazione all'ascolto e alla comunicazione. Essa rappresenta un mezzo di conoscenza e di comprensione della realtà e, più in generale, uno strumento di crescita e di prevenzione della povertà culturale ed educativa.
La povertà educativa presenta forti ed indissolubili legami con la povertà economica e si traduce in maggiori difficoltà a trovare un lavoro, a sottrarsi allo sfruttamento e all'isolamento sociale, a esercitare i propri diritti democratici e, correlativamente, in maggiori possibilità di ammalarsi, di cadere dipendenti dall'alcool e dalla droga, di delinquere. Bambini poveri saranno adulti emarginati con ricadute non solo individuali ma anche collettive per la negativa incidenza sul PIL e per la grave carenza di coesione sociale e territoriale: dunque se il fallimento educativo per l'individuo è una grave deprivazione personale, per la società è un danno economico ed un insidioso pericolo.
I dati a disposizione mostrano che solo il 45,1 per cento della popolazione con un'età superiore ai 6 anni ha letto un libro nel corso dell'ultimo anno. Solo l'11,7 per cento della popolazione frequenta le biblioteche. Più di 2 milioni di persone di età compresa tra i 15 e i 65 anni, pari al 5,4 per cento della popolazione, risultano analfabete funzionali.
La correzione di questi drammatici dati può e deve partire dalla consapevolezza dei genitori che i primi anni di vita, e addirittura lo stadio embrio-fetale, sono decisivi per il futuro dei loro figli sia dal punto di vista fisico che mentale. Occorre sottolineare l'interrelazione tra benessere fisico e benessere mentale-psicologico. La « domanda di salute » non può più essere rivolta solo alla cura di patologie del corpo, ma deve mirare anche al corretto sviluppo neuronale e delle funzioni cognitive ed emotive.
È ormai noto, grazie ai progressi effettuati dalle neuroscienze negli ultimi 25 anni, che il 90 per cento del potenziale cerebrale di un individuo si forma durante la vita intrauterina e nei primi 5 anni di vita, quindi gli investimenti sul capitale umano sono tanto più efficaci quanto più precoci.
In una società in cui tutto è sempre più accelerato ci si può ritagliare uno spazio di lentezza: la lettura richiede tempo, la risorsa più importante che abbiamo. La lettura è uno strumento straordinario di costruzione di abilità e rappresenta un' « infrastruttura » per l'anima e per la mente che ci permette di aumentare la fiducia in noi stessi e la consapevolezza del sé e dell'altro. Occorre dunque realizzare politiche a sostegno dei più piccoli « per consentire ai bambini di poter partire bene nella vita ». È quanto emerge, peraltro, in un rilevante documento internazionale, il « Nurturing Care Framework for Early Child Development », rivolto ai governi nazionali e locali, agli operatori sanitari ed educativi, che contiene indicazioni e raccomandazioni sugli interventi da porre in essere nel momento di vita che va dalla gravidanza fino ai tre anni del bambino. Numerosi studi dimostrano, infatti, che i contesti stimolanti e ricchi da un punto di vista delle letture disponibili consentono di acquisire abilità nell'alfabetizzazione in età prescolare e di sviluppare la motivazione, la curiosità e la memoria, tutte funzioni che vanno a comporre il bagaglio intellettuale ed emotivo di una persona.
Il presente disegno di legge si prefigge un obiettivo complesso che non si limita soltanto alla riduzione dell'abbandono scolastico, a favorire l'abitudine alla lettura e ad alzare il livello cognitivo dei bambini, ma mira a intervenire presso tutti gli attori dello sviluppo proponendo un modello di sostegno educativo alle famiglie. Quando si parla di « ambiente » con rapporto ad un bambino il riferimento fondamentale è alla vita familiare, poi scolastica, poi sociale in senso più ampio.
La famiglia, anzitutto, è il primo luogo di apprendimento e resta sicuramente il più importante: bambini esposti a un linguaggio povero, non adeguatamente stimolati con il gioco, esposti per tempi eccessivi a video (peggio se non adeguati nei contenuti) sono già segnati da un'indubbia diseguaglianza che si paleserà più drammaticamente in ambito scolastico e lavorativo.
È importante, dunque, favorire in modo innovativo lo sviluppo delle competenze genitoriali, sostenendo i progetti e le attività dei soggetti pubblici e privati.
Pertanto, il presente disegno di legge si prefigge di sviluppare e sostenere le capacità genitoriali e di adottare le misure necessarie a potenziare e diffondere la cultura della lettura nella prima infanzia ovvero incentivare le attività relative alla lettura in età prescolare. Inoltre, il disegno di legge valorizza e afferma la fondamentale attività esercitata dai medici pediatri, che svolgono un ruolo di assistenza e di supporto ai bambini e alle famiglie, non solo dal punto di vista squisitamente medico-pediatrico ma altresì in termini di sostegno educativo, pedagogico e formativo.
I pediatri – e in particolare i pediatri di famiglia diffusi in modo capillare sul territorio – entrano precocemente in contatto con i bambini, godono di un rapporto privilegiato con le famiglie, sono soggetti professionalmente qualificati e quindi possono veicolare messaggi di tipo sanitario ma anche di sostegno genitoriale. Per le specifiche caratteristiche della loro attività, pertanto, possono raggiungere gran parte della popolazione.
Il disegno di legge promuove un concetto avanzato di salute, intesa ormai non solo come benessere meramente fisico o mentale, con riferimento alla cura e prevenzione delle patologie neuro-psichiatriche, ma altresì come equilibrio armonico della persona e stimolo al corretto sviluppo individuale e della prevenzione della deprivazione cognitiva-emotiva-relazionale.
Nello specifico, con il presente disegno di legge si propongono interventi di ampliamento dei servizi con caratteristiche educative, ludiche e culturali; la creazione di reti e il sostegno di progetti e laboratori, di rafforzamento infrastrutturale, in termini di dotazione libraria, della rete locale delle biblioteche di pubblica lettura, nonché la creazione di piccole biblioteche negli asili nido e nelle scuole dell'obbligo. Si prevede, altresì, il rafforzamento delle strutture bibliotecarie e l'istituzione o il supporto di presìdi e di iniziative di lettura negli studi pediatrici, nei reparti o negli spazi ambulatoriali degli ospedali, nei consultori e nei centri vaccinali. A tal fine, è prevista l'adozione di un Piano triennale per la lettura in età prescolare, che ha la finalità di individuare obiettivi, strumenti e azioni di informazione, diffusione e implementazione delle misure volte alla creazione di una rete che garantisca servizi su tutto il territorio nazionale in modo uniforme ed efficiente. È importante, al fine della stesura di un Piano realmente efficace e rispondente alle esigenze e ai bisogni concreti, la previsione di un tavolo di coordinamento che coinvolga le varie parti interessate (operatori, educatori, enti territoriali, pediatri, associazioni, biblioteche) i quali, attraverso il confronto e lo scambio di esperienze, hanno il compito di evidenziare le esigenze e le criticità, nonché di elaborare proposte e progetti utili alla redazione del predetto Piano.
Il disegno di legge si compone di 8 articoli.
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La piena ed effettiva tutela del diritto fondamentale alla salute richiede che l'organizzazione delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale sia disciplinata secondo criteri di trasparenza ed efficienza, che assicurino la piena indipendenza degli organi di vertice di aziende ed enti rispetto all'autorità politica, assieme alla loro qualità e competenza. Al tempo stesso, le scelte relative alla selezione degli organi di vertice – direttori generali, direttori amministrativi, direttori sanitari – devono mantenere, pur nella garanzia della necessaria indipendenza dall'autorità politica, un legame con la comunità territoriale in cui ha sede l'azienda o l'ente del Servizio sanitario nazionale per cui si procede. Le aspettative dei cittadini rispetto alla qualità dei servizi erogati dal Servizio sanitario nazionale sono infatti molto cresciute in questi anni e il sistema stenta non di rado a soddisfarle. I cittadini richiedono sicurezza, tempestività, efficacia, personalizzazione sempre maggiori, ovvero maggiore qualità delle cure.
La disciplina dei procedimenti di nomina degli organi direttivi di aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale è, in questo quadro, uno snodo essenziale per la garanzia della piena funzionalità del sistema e dunque, in ultima analisi, della stessa qualità delle cure. Garantire la qualità delle cure significa infatti assicurare la qualità di tutte le componenti del Servizio sanitario nazionale: ciò vale evidentemente per gli operatori, le strutture e l'organizzazione che governa i processi di erogazione, ma anche per i procedimenti e i criteri che governano la scelta degli organi direttivi e di vertice.
La disciplina di tali procedimenti e criteri è stata oggetto di un significativo intervento di riforma ad opera del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124. Tale disposizione, inserita nel quadro di un più generale intervento di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, prevedeva una riforma delle modalità di nomina dei direttori generali, dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari, operante nel senso di ridurre e vincolare il margine di discrezionalità riconosciuto fino a quel momento alle regioni nella scelta dei soggetti da nominare. Il nuovo sistema, cui ha dato fisionomia definitiva il richiamato decreto legislativo n. 171 del 2016, prevede, anzitutto, l'istituzione di elenchi – nazionali per i direttori generali e regionali per le altre figure apicali – di soggetti in possesso dei requisiti per la nomina. Tali requisiti attengono, per un verso, al possesso di specifici titoli formativi e professionali e, per altro verso, al possesso di comprovata esperienza dirigenziale. La formazione dell'elenco nazionale è demandata a una apposita commissione istituita presso il Ministero della salute mentre alla formazione degli elenchi regionali provvedono le regioni.
Su questa base, il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, ha disciplinato il procedimento di nomina dei direttori generali, dei direttori sanitari e dei direttori amministrativi di aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale prevedendo che a tali elenchi si debba attingere, necessariamente, per la nomina degli organi apicali. In particolare, per i direttori generali l'articolo 2 del richiamato decreto legislativo prevede che la nomina – affidata alla regione – avvenga sulla base della proposta di una « rosa » di candidati selezionati, tra gli iscritti all'elenco nazionale, da una commissione all'uopo nominata dalla regione stessa secondo criteri da essa stessa stabiliti e composta da esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di cui uno designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e uno dalla regione. Per i direttori sanitari e amministrativi, nonché per i direttori dei servizi socio-sanitari (ove tale figura sia prevista dalla legge regionale), il potere di nomina è invece affidato al direttore generale, sulla base delle valutazioni svolte – per titoli e colloquio – da una commissione regionale appositamente costituita sui candidati, che devono in ogni caso essere iscritti in elenchi regionali appositamente costituiti.
La riforma del 2016 ha dunque ridotto significativamente il margine di discrezionalità dell'ente politico nella scelta dei soggetti da nominare ma non ha sciolto del tutto il nodo della piena indipendenza dell'organo apicale rispetto all'autorità politica.
Il presente disegno di legge intende pertanto colmare tale lacuna, con un intervento che si muove lungo due direttrici fondamentali.
In primo luogo, pur mantenendo il potere di nomina dei direttori generali in capo all'autorità politica, il disegno di legge intende rafforzare i limiti alla discrezionalità di quest'ultima prevedendo – per un verso – che la commissione valutatrice sia nominata dall'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e, per altro verso, che detta commissione non si limiti a formare una rosa di candidati bensì selezioni il candidato che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire e lo proponga per la nomina al Presidente della regione, che può rifiutarsi solo per motivate e comprovate ragioni derivanti dall'esistenza di un conflitto di interessi. Per la commissione nominata dall'ANAC si prevedono peraltro specifici criteri di composizione e, in particolare, la presenza di rappresentanti di medici, operatori sanitari e pazienti, nonché del sindaco del luogo in cui l'azienda o l'ente sanitario per cui si procede ha sede (o di un suo delegato). In tal modo, si assicura che la nomina avvenga sulla base di criteri di competenza e trasparenza, ma anche avuto riguardo alle specifiche esigenze di medici e operatori sanitari, dei pazienti e del territorio. L'obiettivo che si persegue è dunque quello di conciliare l'indipendenza del procedimento di nomina da criteri strettamente politici con l'altrettanto necessaria esigenza di assicurare un nesso tra la nomina e le specifiche esigenze della comunità di riferimento, secondo una logica di equilibrio ispirata alla presenza di adeguati controlli e contrappesi.
A ciò si aggiunga che si prevede che la commissione valutatrice resti in carica per l'intera durata dell'incarico per cui si procede, di modo da poterla coinvolgere – mediante l'espressione di pareri vincolanti o semi-vincolanti – anche nelle fasi di conferma dell'incarico (dopo i primi ventiquattro mesi) e di eventuale revoca del medesimo, nonché di nomina di eventuale commissario.
In secondo luogo, e nella stessa prospettiva, si interviene sul procedimento di nomina – da parte del direttore generale – del direttore sanitario, del direttore amministrativo e del direttore dei servizi socio-sanitari (ove tale figura sia prevista dalla legge regionale) modificando l'attuale disciplina, sostituendo agli elenchi regionali, attualmente previsti dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 171 del 2016, appositi elenchi nazionali, formati secondo le modalità previste dall'articolo 1 del medesimo decreto legislativo per l'elenco nazionale dei soggetti idonei all'assunzione dell'incarico di direttore generale.
Il disegno di legge si compone di due articoli, il primo dei quali reca modifiche puntuali agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171.
In particolare, l'articolo 1, lettera a), modifica l'articolo 2 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171.
Il numero 1) sostituisce il comma 1 dell'articolo 2, confermando – al comma 1 – che la nomina resti affidata alla regione e che debba avvenire sulla base dell'elenco nazionale di cui all'articolo 1, introducendo inoltre un comma 1-bis che: 1) affida la valutazione per titoli e colloquio ad apposita commissione nominata dall'Autorità nazionale anticorruzione, di cui all'articolo 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190, e composta da esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di cui uno designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e uno dalla regione; tale commissione deve necessariamente comprendere almeno un rappresentante dei medici e un rappresentante degli operatori sanitari dell'ente per cui si procede, nonché un componente designato dalle associazioni di pazienti operanti nel medesimo ente e il sindaco del comune in cui ha sede l'ente in relazione al quale si procede o un suo delegato; 2) prevede che la commissione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, selezioni entro sessanta giorni dalla nomina il candidato che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire e lo propone per la nomina al Presidente della regione, che può rifiutarsi solo per motivate e comprovate ragioni derivanti dall'esistenza di un conflitto di interessi; 3) dispone che la commissione resti in carica per l'intera durata dell'incarico in relazione al quale è stata nominata; 4) conferma che non possono essere proposti per la nomina coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte consecutive, presso la medesima azienda sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del Servizio sanitario nazionale ed estende tale causa di incompatibilità a coloro che abbiano ricoperto lo stesso incarico in altra azienda o ente avente sede nella medesima regione. Viene inoltre inserito un comma 1-ter, il quale prevede che – entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge – l'Autorità nazionale anticorruzione disciplini con proprio regolamento i criteri di nomina della commissione di cui al comma 1-bis. Il regolamento dovrà indicare il numero minimo e massimo di componenti della commissione, in base al numero di manifestazioni di interesse ricevute, garantendo in ogni caso la presenza di un componente per ciascuna della categorie indicate al comma 1-bis, e dovrà altresì disciplinare le modalità di formazione di un elenco di esperti, tenuto presso l'Autorità e aggiornato ogni tre anni, tra i quali selezionare i membri delle commissioni di valutazione, individuando le qualificate istituzioni scientifiche indipendenti tra Università ed enti di ricerca pubblici o privati e definendo i requisiti minimi per l'inserimento nell'elenco. Il regolamento dovrà infine disciplinare le modalità attraverso cui selezionare i componenti in rappresentanza dei medici, degli operatori sanitari e delle associazioni di pazienti maggiormente rappresentative.
Il numero 2) della lettera a) dell'articolo 1 modifica l'articolo 2, comma 2, eliminando – per coordinamento – i riferimenti alla rosa di candidati (non più prevista) in sede di disciplina della eventuale nuova nomina, così prevedendo che – in caso di cessazione anticipata dell'incarico di direttore generale – la nuova nomina debba avvenire seguendo la procedura ordinaria di cui al comma 1 e prevedendo altresì che, ove si decida di procedere alla nomina di un commissario, lo stesso debba essere proposto dalla commissione valutatrice di cui al comma 1-bis.
Il numero 3) della lettera a) dell'articolo 1 modifica l'articolo 1, comma 4, prevedendo il coinvolgimento della commissione valutatrice di cui al comma 1-bis nel procedimento di conferma del direttore generale dopo i primi ventiquattro mesi. Per effetto della modifica introdotta, si prevede che la relazione di verifica dei risultati aziendali conseguiti e del raggiungimento degli obiettivi di cui ai commi 2 e 3 – elaborata dalla regione sentito il parere del sindaco, della Conferenza dei sindaci ovvero, per le aziende ospedaliere, della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale – venga trasmessa alla commissione di cui al comma 1-bis che, entro quindici giorni, rende parere motivato. In caso di esito negativo la regione dichiara, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, la decadenza immediata dall'incarico con risoluzione del relativo contratto mentre, in caso di valutazione positiva, la regione procede alla conferma con provvedimento motivato. Si prevede altresì che la relazione biennale sulle attività di valutazione dei direttori generali e sui relativi esiti venga trasmessa anche all'Autorità nazionale anticorruzione.
Il numero 4) della lettera a) dell'articolo 1, infine, modifica l'articolo 1, comma 5, prevedendo il coinvolgimento nel procedimento di revoca dell'incarico per gravi inadempienze – oltre che, come già previsto, della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale – della commissione di cui al comma 1-bis. Si prevede, in particolare, che debba essere acquisito anche il parere della commissione valutatrice e che, in caso di parere negativo, la regione debba effettuare una nuova valutazione in contraddittorio con l'interessato e, all'esito, ove intenda discostarsi dai pareri, debba darne esplicita motivazione.
L'articolo 1, lettera b), modifica l'articolo 3 del decreto legislativo n. 171 del 2016, intervenendo sul procedimento di nomina, da parte del direttore generale, del direttore amministrativo, del direttore sanitario e, ove previsto dalle leggi regionali, del direttore dei servizi socio-sanitari. Si prevede in particolare, attraverso l'introduzione di un comma 2, l'istituzione di appositi elenchi nazionali dei soggetti idonei alla nomina di direttore amministrativo, direttore sanitario e, ove previsto dalle leggi regionali, di direttore dei servizi socio-sanitari delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale, alla formazione dei quali provvede la medesima commissione che – ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 171 del 2016 e con le procedure previste dal comma 4 del medesimo articolo – forma l'elenco nazionale dei soggetti idonei a ricoprire l'incarico di direttore generale.
L'articolo 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.
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Negli ultimi anni è maturata con sempre maggiore intensità la consapevolezza dell'importanza di assicurare – nel più ampio contesto dei processi di transizione digitale in atto – strumenti didattici e ambienti di apprendimento che, attraverso l'utilizzo di tecnologie innovative, consentano di assicurare e promuovere la formazione delle studentesse e degli studenti nelle discipline scientifiche, tecniche e matematiche (STEM).
Dapprima la legge 13 luglio 2015, n. 107, ha avviato il processo di digitalizzazione del sistema scolastico, introducendo e disciplinando – all'articolo 1, commi 56 a 62 – il Piano nazionale per la scuola digitale la cui attuazione, negli ultimi anni, ha contribuito a un sensibile miglioramento dei processi di innovazione.
Tali processi hanno avuto nuovo impulso, come noto, nel quadro dell'attuazione del programma di investimenti Next Generation EU e, dunque, con l'adozione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. In particolare, l'articolo 24 del decreto legislativo 6 novembre 2021, n. 152 ha finanziato – nell'ambito della Missione 2 – Componente 3 – Investimento 1.1. del Piano nazionale di ripresa e resilienza – un concorso per la progettazione di scuole innovative dal punto di vista architettonico e strutturale, altamente sostenibili e con la massima efficienza energetica, inclusive e in grado di garantire una didattica basata su metodologie innovative e una piena fruibilità degli ambienti didattici, anche attraverso un potenziamento delle infrastrutture per lo sport.
Risulta ad oggi ancora carente, tuttavia, la presenza di spazi fisici e digitali per lo studio delle discipline STEM riconoscibili sul territorio e aperti ad esso.
Il progetto « Eureteka » mira a colmare questo divario, e il presente disegno di legge intende contribuire a tale obiettivo rendendo strutturale – e non soltanto contingente o sperimentale – la realizzazione su tutto il territorio nazionale di spazi come le Eureteke, in cui gli studenti e le studentesse possano fare esperienze stimolanti in ambito STEM, per far emergere ed esplorare passioni e aspirazioni (a volte condizionate dal rendimento scolastico, da stereotipi, da esperienze pregresse) nella logica di un orientamento di tipo formativo e non solo informativo.
In questa prospettiva le Eureteke possono così rappresentare non soltanto luoghi di formazione in senso stretto, ma anche ambienti finalizzati all'orientamento agli studi universitari, stimolando l'avvicinamento alle materie STEM, in particolare per le bambine e le ragazze. In questo ambito, infatti, si registra ancora una forte influenza di stereotipi di genere, che limitano l'accesso di bambine e ragazze a queste discipline. Sempre nell'ottica di promuovere l'orientamento secondo modalità innovative, le specifiche caratteristiche delle Eureteke potranno favorire lo sviluppo di pratiche di collaborazione in sinergia con enti locali, università e istituzioni di ricerca presenti nel territorio di riferimento, ma anche con enti del terzo settore.
Pertanto, ferma restando la loro destinazione prevalente ad attività di tipo didattico, le Eureteke possono rappresentare fondamentali snodi di collegamento tra gli istituti scolastici e le comunità territoriali, contribuendo così a valorizzare la funzione della scuola come presidio civico e luogo in cui costruire percorsi di coesione sociale.
Il disegno di legge si compone di tre articoli.
L'articolo 1 prevede che la costruzione delle Eureteke sia finanziata, con cadenza annuale, nell'ambito del Piano nazionale per la scuola digitale, con riferimento in particolare alla Azione #4 – Ambienti per la didattica digitale integrata e all'Azione #7 – Piano per l'apprendimento pratico. L'articolo definisce inoltre le Eureteke quali ambienti di apprendimento innovativi dal punto di vista architettonico e strutturale, altamente sostenibili e con il massimo dell'efficienza energetica, inclusivi e in grado di garantire metodologie innovative nonché modulari, flessibili e reversibili, destinati a sviluppare e condividere modelli didattici innovativi con l'obiettivo di rinnovare le competenze nelle discipline scientifico-tecnologiche (STEM) nelle scuole secondarie e di primo grado.
L'articolo 2 demanda a successivo decreto del Ministro dell'istruzione e del merito – da adottarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 – la disciplina delle modalità di realizzazione delle Eureteke e dei criteri di selezione dei progetti. Si prevede che, nel decreto, si assicuri che la selezione avvenga mediante procedura ad evidenza pubblica e che vengano rispettate alcune essenziali caratteristiche delle Eureteke e cioè, in particolare che i progetti riguardino la realizzazione di ambienti di apprendimento concepiti come moduli autoportanti, indipendenti, costruiti con materiali riciclati o riciclabili e pienamente accessibili per le persone con disabilità; che le Eureteke possano essere collocate sia all'interno delle scuole che in luoghi aperti e pubblici e che, in ogni caso, ferma restando la destinazione prevalente alle attività didattiche, vengano assicurate opportune modalità di fruizione dell'Eureteka per la comunità territoriale di riferimento; che gli ambienti di apprendimento prevedano modalità di apprendimento e relazione sia fisica che virtuale, ivi compresa la possibilità di avvalersi di risorse disponibili in modo permanente su spazi di archiviazione virtuale (cloud) e di avatar robotici che consentano la telepresenza e l'esplorazione da remoto dell'ambiente di apprendimento; che sia assicurata la diffusione delle Eureteke su tutto il territorio nazionale anche, dopo la realizzazione delle prime Eureteke, destinando quote di finanziamento a territori che siano sprovvisti o provvisti in modo insufficiente di Eureteke; che, infine, sia prevista la possibilità di presentare progetti al cui finanziamento concorrano regioni ed enti locali. Il comma 2 prevede che l'avviso pubblico rivolto al finanziamento di progetti di realizzazione delle Eureteke venga adottato dal Ministro con cadenza annuale.
L'articolo 3 reca la copertura finanziaria, a valere sulla quota parte destinata al Piano nazionale per la scuola digitale del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, di cui all'articolo 1, comma 62, della legge 13 luglio 2015, n. 107, la cui dotazione è – a tal fine – incrementata di 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2023.