«Nella Calabria che vogliamo costruire non c’è posto per la ‘ndrangheta e l’illegalità». Un’espressione forte, usata da Nicola Irto nel discorso di insediamento pronunciato martedì 28 e ripresa nell’intervista concessa a Gazzetta del Sud, la prima da presidente del Consiglio regionale.
Il 33enne renziano ha idee chiare sul da farsi per cambiare la Calabria, per farla uscire dalla posizione di regione più povera, come certificato dai dati Svimez: «La politica deve fare – sostiene – quello che non ha fatto negli ultimi 40 anni, di fatto certificando il fallimento del regionalismo calabrese». Il neo presidente del Consiglio regionale ritiene che si debba «puntare su Gioia Tauro in un’ottica di sviluppo e sul turismo come risorsa fondamentale in un’ottica di crescita». Sulla burocrazia la pensa come Oliverio che ha parlato di “palude”: «Ritengo inaccettabile – sostiene – che alti burocrati abbiano superato indenni, nonostante il conseguimento di risultati mediocri o fallimentari, tutte le stagioni politiche degli ultimi 20anni, la Calabria non può trovare una via di sviluppo e di progresso evitando di affrontare questa che è una questione centrale».
Gioia Tauro e turismo fondamentali in un’ottica di sviluppo. La burocrazia è un male da estirpare
Con i suoi 33 anni, Nicola Irto, eletto martedì scorso al posto del dimissionario Antonio Scalzo, è il più giovane presidente di Consiglio regionale in Italia. Reggino del quartiere Ravagnese, architetto e urbanista, è un renziano che fa politica dai tempi del liceo. Poi l’impegno universitario nel Consiglio di facoltà e nel Senato accademico che ha preceduto l’approdo alla Margherita e, nel 2002, l’incarico di delegato. Manco a dirlo, anche da delegato era il più giovane a livello nazionale.
L’espressione del volto da ragazzo della porta accanto fa pensare a un carattere timido e introverso. Impiega poco, però, a sciogliersi e rispondere alle domande in quella concessa alla Gazzetta del Sud e che è la sua prima intervista ufficiale.
Cos’ha provato nel momento in cui si è materializzata la sua elezione a presidente del Consiglio regionale?
«Ho avvertito tutto il peso di una grande responsabilità ma non nascondo di avere fiducia. Soprattutto perché mi rendo conto di aver vissuto un’esperienza di partito a livello provinciale e regionale che mi consentirà uno sbocco nei rapporti che vanno oltre i confini di Reggio. Questo vissuto mi aiuterà ad assolvere a un compito delicatissimo, anche per il momento che stiamo vivendo».
Col suo primo intervento dallo scranno più alto di Palazzo Campanella, Irto ha lasciato il segno. Nelle sue parole si è materializzata la condanna di una politica troppo spesso distratta in ordine ai problemi e alle emergenze reali della nostra regione. Ha colpito quando ha rivolto il suo primo pensiero ai calabresi ammalati che soffrono, a quanti hanno perduto il lavoro, ma anche ai giovani che un lavoro non lo hanno mai avuto, alle donne e ai precari. Per evitare di essere frainteso ha detto che bisogna partire dagli ultimi, dai più deboli, cominciare da luoghi e territori dove la sofferenza è più acuta per affrontare dare un futuro alla Calabria dove, come confermano recenti studi di settore, si è materializzato il rischio del sottosviluppo.
Presidente, lei ha parlato di lavoro, modernizzazione, rinnovamento, uguaglianza di opportunità, valorizzazione del merito. Non le sembra eccessivo come assunzione di impegno?
«Quanto ho dichiarato non sono spot o slogan ma rappresentano l’unica via di uscita per la Calabria. Oggi lo Svimez dice che siamo la regione più povera con 15.807 euro prò capite. Le cifre impietose riguardano gli ultimi trent’anni e indicatori diversi. S’impone un cambio di rotta immediato, stabilire cosa deve fare la politica. Ovviamente, quello che non ha fatto negli ultimi 40 anni segnati dal fallimento dei regionalismo calabrese. Bisogna stabilire prospettiva e progetto politico del Meridione e della Calabria, soprattutto nel rapporto con Roma».
Ma la Calabria ha risorse e mezzi per risalire la china?
«Abbiamo diverse occasioni.
Non mancano le potenzialità per fare bene. Nel mio discorso ho fatto una citazione sul Mediterraneo e volontariamente non ho parlato di Gioia Tauro. Ma è chiaro che Gioia Tauro è al centro dì qualsiasi progetto di crescita e sviluppo. La crisi politica e il terrorismo internazionale che sta bloccando i porti e le democrazie in molti Paesi del Mediterraneo, sono una contingenza che Gioia Tauro deve sfruttare per avere il ruolo baricentrico che le spetta nello scacchiere internazionale. Non si può prescindere da forti investimenti sul porto e un progetto serio sul retro porto. Per la prima volta c’è un presidente del Consiglio che quando gira l’Italia e parla dei cinque progetti di sviluppo cita sempre Gioia Tauro. E un’occasione unica. Bisogna darsi da fare per concretizzare quello che esiste a livello di idea o di elaborazione grafica».
Una partita decisiva la Calabria la gioca sul turismo. Lei è d’accordo?
«Intanto, puntare sul turismo vuol dire avere idee chiare sul da farsi perché bisogna parlare di accessibilità a questa regione, ma anche di capacità di creare impresa. E poi c’è tutto un problema di organizzazione del comparto. Se la delega del Turismo esiste solo alla Regione vuol dire che qualcosa non va già a livello d’impostazione del lavoro. Se non c’è un rapporto forte tra Regione e amministrazioni comunali, se non si programma economicamente e politicamente per far crescerle le imprese, se non si aumenta la ricettività non si va da nessuna parte. Partiamo dall’accessibilità alla Calabria e mi riferisco al trasporto su gomma, su rotaia e per via aerea. Abbiamo problemi che riguardano A3, ferrovie e aeroporti che vivono una crisi strutturale propria e con gravi ripercussioni sul contesto regionale».
Progetti, idee, buoni propositi sono importanti ma bisogna sempre fare i conti, come in tutti gli ambiti, con la burocrazia.
«Inutile nasconderlo, la burocrazia della Regione, intesa come Giunta e come Consiglio, rappresenta un grave problema. Mario Oliverio la definisce “una palude” e io condivido fino in fondo il suo pensiero. Per questo dico che servono subito delle azioni per realizzare uno snellimento, un cambiamento e un rinnovamento nella burocrazia regionale. Ritengo inaccettabile che alti burocrati abbiano superato indenni, nonostante il conseguimento di risultati mediocri o fallimentari, tutte le stagioni politiche degli ultimi venti anni. La Calabria non può ripartire e non può trovare una via di sviluppo e di progresso evitando di affrontare questa che è una questione centrale».
Quale sarà il ruolo del Consiglio in questo processo di cambiamento?
«Io mi richiamo alle funzioni istituzionali dei consiglieri. Non ho condiviso le critiche legate al fatto che nessun eletto stava nella nuova Giunta composta solo da tecnici. Intanto bisogna ricordarsi che le prerogative costituzionali del Consigliere regionale sono legiferare e controllare, Se queste due prerogative vengono esaltate dal Consiglio è possibile rinnovare l’attuale legislazione; e se controlliamo quello che il governatore Oliverio, nelle sue linee programmatiche, ha detto di voler fare nei dipartimenti, nelle aziende sanitarie e in ogni settore di vita amministrativa, il ruolo del consigliere diventa centrale».
Nella parte conclusiva del discorso di insediamento ha indicato il suo modello di regione, usando un’espressione tanto forte quanto efficace.
«Ho voluto ricordare a tutti che nella Calabria che vogliamo costruire non c’è posto perla ’ndrangheta e l’illegalità. Liberarsi dalla mafia significa non solo reprimere e punire i reati mafiosi ma, soprattutto, modificare i fatti e le illegalità che riproducono l’ambiente ideale allo sviluppo e al rafforzamento della ’ndrangheta. Lo ribadisco: la Calabria va liberata dalla criminalità con una lotta e uno scontro politici che tolgano aria e ossigeno alla riproduzione e all’irrobustirsi della mala pianta».
Paolo Toscano
Gazzetta del Sud 01.08.15