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Dettagli: | Pubblicato: 01 Agosto 2015

Irto: cambiamo la Calabria

«Nella Calabria che vogliamo costruire non c’è posto per la ‘n­drangheta e l’illegalità». Un’e­spressione forte, usata da Nicola Irto nel discorso di insediamento pronunciato martedì 28 e ripre­sa nell’intervista concessa a Gaz­zetta del Sud, la prima da presi­dente del Consiglio regionale.
Il 33enne renziano ha idee chiare sul da farsi per cambiare la Cala­bria, per farla uscire dalla posi­zione di regione più povera, co­me certificato dai dati Svimez: «La politica deve fare – sostiene – quello che non ha fatto negli ul­timi 40 anni, di fatto certificando il fallimento del regionalismo calabrese». Il neo presidente del Consiglio regionale ritiene che si debba «puntare su Gioia Tauro in un’ottica di sviluppo e sul turi­smo come risorsa fondamentale in un’ottica di crescita». Sulla bu­rocrazia la pensa come Oliverio che ha parlato di “palude”: «Ri­tengo inaccettabile – sostiene – che alti burocrati abbiano supe­rato indenni, nonostante il con­seguimento di risultati mediocri o fallimentari, tutte le stagioni politiche degli ultimi 20anni, la Calabria non può trovare una via di sviluppo e di progresso evitan­do di affrontare questa che è una questione centrale».

Irto: «Lavoriamo a una Calabria senza ‘ndrangheta»

Gioia Tauro e turismo fondamentali in un’ottica di sviluppo. La burocrazia è un male da estirpare

Con i suoi 33 anni, Nicola Irto, eletto martedì scorso al posto del dimissionario Antonio Scal­zo, è il più giovane presidente di Consiglio regionale in Italia. Reggino del quartiere Ravagnese, architetto e urbanista, è un renziano che fa politica dai tem­pi del liceo. Poi l’impegno uni­versitario nel Consiglio di facol­tà e nel Senato accademico che ha preceduto l’approdo alla Margherita e, nel 2002, l’incari­co di delegato. Manco a dirlo, anche da delegato era il più gio­vane a livello nazionale.
 L’espressione del volto da ra­gazzo della porta accanto fa pensare a un carattere timido e introverso. Impiega poco, però, a sciogliersi e rispondere alle domande in quella concessa alla Gazzetta del Sud e che è la sua prima intervista ufficiale.

Cos’ha provato nel mo­mento in cui si è materializza­ta la sua elezione a presidente del Consiglio regionale?

«Ho avvertito tutto il peso di una grande responsabilità ma non nascondo di avere fiducia. Soprattutto perché mi rendo conto di aver vissuto un’espe­rienza di partito a livello provin­ciale e regionale che mi consen­tirà uno sbocco nei rapporti che vanno oltre i confini di Reggio. Questo vissuto mi aiuterà ad as­solvere a un compito delicatissi­mo, anche per il momen­to che stiamo vivendo».
Col suo primo intervento dal­lo scranno più alto di Palazzo Campanella, Irto ha lasciato il segno. Nelle sue parole si è ma­terializzata la condanna di una politica troppo spesso distratta in ordine ai problemi e alle emergenze reali della nostra re­gione. Ha colpito quando ha ri­volto il suo primo pensiero ai ca­labresi ammalati che soffrono, a quanti hanno perduto il lavoro, ma anche ai giovani che un lavo­ro non lo hanno mai avuto, alle donne e ai precari. Per evitare di essere frainteso ha detto che bi­sogna partire dagli ultimi, dai più deboli, cominciare da luoghi e territori dove la sofferenza è più acuta per affrontare dare un futuro alla Calabria dove, come confermano recenti studi di set­tore, si è materializzato il rischio del sottosviluppo.

Presidente, lei ha parlato di lavoro, modernizzazione, rinnovamento, uguaglianza di opportunità, valorizzazio­ne del merito. Non le sembra eccessivo come assunzione di impegno?

«Quanto ho dichiarato non sono spot o slogan ma rappre­sentano l’unica via di uscita per la Calabria. Oggi lo Svimez dice che siamo la regione più povera con 15.807 euro prò capite. Le cifre impietose riguardano gli ultimi trent’anni e indicatori di­versi. S’impone un cambio di rotta immediato, stabilire cosa deve fare la politica. Ovviamen­te, quello che non ha fatto negli ultimi 40 anni segnati dal fallimento dei regionalismo cala­brese. Bisogna stabilire prospettiva e progetto politico del Meridione e della Calabria, soprat­tutto nel rapporto con Roma».

Ma la Calabria ha risorse e mezzi per risalire la china?

«Abbiamo diverse occasioni.
 Non mancano le potenzialità per fare bene. Nel mio discorso ho fatto una citazione sul Medi­terraneo e volontariamente non ho parlato di Gioia Tauro. Ma è chiaro che Gioia Tauro è al cen­tro dì qualsiasi progetto di cre­scita e sviluppo. La crisi politica e il terrorismo internazionale che sta bloccando i porti e le de­mocrazie in molti Paesi del Me­diterraneo, sono una contin­genza che Gioia Tauro deve sfruttare per avere il ruolo bari­centrico che le spetta nello scac­chiere internazionale. Non si può prescindere da forti investi­menti sul porto e un progetto serio sul retro porto. Per la prima volta c’è un presidente del Con­siglio che quando gira l’Italia e parla dei cinque progetti di sviluppo cita sempre Gioia Tauro. E un’occasione unica. Bisogna darsi da fare per concretizzare quello che esiste a livello di idea o di elaborazione grafica».

Una partita decisiva la Ca­labria la gioca sul turismo. Lei è d’accordo?

«Intanto, puntare sul turismo vuol dire avere idee chiare sul da farsi perché bisogna parlare di accessibilità a questa regione, ma anche di capacità di creare impresa. E poi c’è tutto un pro­blema di organizzazione del comparto. Se la delega del Turi­smo esiste solo alla Regione vuol dire che qualcosa non va già a livello d’impostazione del lavoro. Se non c’è un rapporto forte tra Regione e amministra­zioni comunali, se non si pro­gramma economicamente e po­liticamente per far crescerle le imprese, se non si aumenta la ricettività non si va da nessuna parte. Partiamo dall’accessibili­tà alla Calabria e mi riferisco al trasporto su gomma, su rotaia e per via aerea. Abbiamo proble­mi che riguardano A3, ferrovie e aeroporti che vivono una crisi strutturale propria e con gravi ripercussioni sul contesto regio­nale».

Progetti, idee, buoni pro­positi sono importanti ma bi­sogna sempre fare i conti, co­me in tutti gli ambiti, con la burocrazia.

«Inutile nasconderlo, la burocrazia della Regione, intesa come Giunta e come Consiglio, rappresenta un grave problema. Mario Oliverio la definisce “una palude” e io condivido fino in fondo il suo pensiero. Per questo dico che servono subito delle azioni per realizzare uno snelli­mento, un cambiamento e un rinnovamento nella burocrazia regionale. Ritengo inaccettabi­le che alti burocrati abbiano superato indenni, nonostante il conseguimento di risultati me­diocri o fallimentari, tutte le sta­gioni politiche degli ultimi venti anni. La Calabria non può ripar­tire e non può trovare una via di sviluppo e di progresso evitando di affrontare questa che è una questione centrale».

Quale sarà il ruolo del Con­siglio in questo processo di cambiamento?

«Io mi richiamo alle funzioni istituzionali dei consiglieri. Non ho condiviso le critiche legate al fatto che nessun eletto stava nel­la nuova Giunta composta solo da tecnici. Intanto bisogna ri­cordarsi che le prerogative co­stituzionali del Consigliere re­gionale sono legiferare e con­trollare, Se queste due preroga­tive vengono esaltate dal Consi­glio è possibile rinnovare l’at­tuale legislazione; e se control­liamo quello che il governatore Oliverio, nelle sue linee pro­grammatiche, ha detto di voler fare nei dipartimenti, nelle aziende sanitarie e in ogni setto­re di vita amministrativa, il ruo­lo del consigliere diventa cen­trale».

Nella parte conclusiva del discorso di insediamento ha indicato il suo modello di re­gione, usando un’espressione tanto forte quanto efficace.

«Ho voluto ricordare a tutti che nella Calabria che vogliamo costruire non c’è posto perla ’ndrangheta e l’illegalità. Liberarsi dalla mafia significa non solo reprimere e punire i reati mafio­si ma, soprattutto, modificare i fatti e le illegalità che riproduco­no l’ambiente ideale allo svilup­po e al rafforzamento della ’n­drangheta. Lo ribadisco: la Ca­labria va liberata dalla crimina­lità con una lotta e uno scontro politici che tolgano aria e ossigeno alla riproduzione e all’irrobustirsi della mala pianta».

Paolo Toscano

Gazzetta del Sud 01.08.15

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