Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-01003. Pubblicato il 12 marzo 2024, nella seduta n. 167. Nicola Irto cofirmatario

Ai Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e della giustizia. -
Premesso che:

il 28 febbraio 2024, a seguito di un colloquio svoltosi a Roma tra il ministro degli Esteri italiano, il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, come si legge sull'account “Twitter” del portavoce, ha dichiarato, riferendosi ad Ilaria Salis, che: "Questa signora, presentata come una martire in Italia, è venuta in Ungheria con un piano chiaro per attaccare persone innocenti per le strade come parte di un'organizzazione di sinistra radicale. Spero sinceramente che questa signora riceva la meritata punizione in Ungheria", il ministro ungherese, sempre secondo quanto riporta il tweet del portavoce del governo ungherese, ha criticato i media italiani per la versione fornita della vicenda e ha trovato "assolutamente sorprendente che l'Italia abbia tentato di intervenire in un processo giudiziario ungherese, sottolineando l'indipendenza della magistratura ungherese e la non interferenza del governo";

le dichiarazioni del ministro ungherese, oltre a confermare gli elementi di preoccupazione in relazione alla drammatica vicenda di Ilaria Salis che da oltre un anno si trova nelle carceri ungheresi, aggravano ulteriormente il quadro. Come noto la procura ungherese ha chiesto 11 anni di carcere per l’insegnante italiana detenuta, accusata di aver provocato alcune lesioni durante gli scontri con un gruppo di neonazisti europei in data 11 febbraio 2023;

Ilaria Salis si è sempre proclamata innocente ed ha rifiutato di patteggiare la pena scegliendo, invece, di sottoporsi al processo. La richiesta di una pena altissima desta preoccupazione, anche alla luce di una mancata denuncia da parte delle persone rimaste aggredite negli scontri;

in occasione dell’udienza dello scorso 29 gennaio, Ilaria Salis è stata condotta innanzi il tribunale di Budapest con mani e piedi legati da catene e, in aggiunta, una catena legata in vita; un trattamento inumano e degradante che ha, come già evidenziato, profondamente scosso l’opinione pubblica italiana ed europea;

in numerose missive inviate ai suoi legali ed alla sua famiglia la nostra connazionale ha denunciato le condizioni detentive in cui si è trovata a vivere: celle con spazi angusti, mancanza di igiene, areazione insufficiente, mancanza di indumenti. Celle infestate da cimici e scarafaggi, oltre alla presenza di numerosi topi nella struttura. Incompatibilità di orario tra doccia, ora d’aria e cambio lenzuola, una situazione insostenibile e del tutto incompatibile con gli standard europei di rispetto dei diritti umani dei detenuti;

il padre, gli avvocati e altri attivisti che seguono il caso hanno da subito denunciato le condizioni «degradanti» della detenzione, in certi periodi «assimilabili alla tortura». Successivamente alle immagini del tribunale l’ambasciatore ungherese è stato convocato dal ministro degli Esteri alla Farnesina per ricevere la protesta formale del Governo italiano e la richiesta formale di vigilare e di intervenire affinché vengano rispettati i diritti, previsti dalle normative comunitarie;

considerato che:

l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta anche dall’Ungheria, prevede il divieto di tortura, pene o trattamenti inumani e degradanti. Tale divieto rappresenta un elemento costante in tutti gli strumenti internazionali di tutela dei diritti dell'uomo e in gran parte delle Costituzioni moderne; come tale la Corte EDU ha più volte ribadito l'importanza del divieto definendolo "un principio fondamentale delle società democratiche";

inoltre, la predetta norma è l'unica della Convenzione che non prevede eccezioni o deroghe, il divieto, infatti, non trova impedimenti d'azione neppure in circostanze gravi quali la lotta al terrorismo o alla criminalità organizzata. La Corte EDU, infatti, nella sentenza “Chahal c. Regno Unito” del 7 luglio 1996, ha affermato il principio, più volte ribadito negli anni successivi, secondo cui nessuna circostanza, comprese la minaccia di terrorismo o le preoccupazioni per la sicurezza nazionale, può giustificare l'esposizione di un individuo al rischio concreto di tali violazioni di diritti umani;

l’articolo 33 della medesima Convenzione disciplina i ricorsi interstatali e prevede che: “Ogni Alta Parte Contraente può deferire alla Corte ogni inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli che essa ritenga possa essere imputata ad un’altra Parte Contraente”;

come di tutta evidenza, le condizioni di detenzione cui è sottoposto la cittadina italiana Ilaria Salis sono in palese violazione della giurisprudenza consolidata della Corte EDU e l’uso delle manette durante il procedimento penale, emerso dalle immagini mostrate da tutti i media, sembra non necessario e sproporzionato all’esigenze di sicurezza e, quindi, in contrasto con la giurisprudenza della Corte EDU (in tal senso si vedano le sentenze Svinarenko and Slyadnev v. Russia [GC], 2014, § 117; Korneykova and Korneykov v. Ukraine, 2016, § 111),

si chiede di sapere per quali motivi il Governo italiano non si sia ancora attivato nelle competenti sedi al fine di far deferire il Governo ungherese alla Corte EDU per le palesi e continue violazioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ai danni della connazionale Ilaria Salis.

Allegati:
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