Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 1-00086 Pubblicato il 21 febbraio 2024, nella seduta n. 161 - Nicola Irto cofirmatario

Il Senato,

premesso che:

il 1° febbraio 2021 il colpo di Stato dei militari in Myanmar ha interrotto la transizione del Paese verso la democrazia con la guida di Aung San Suu Kyi, dopo le elezioni democratiche, come riconosciuto dagli osservatori internazionali, dell’8 novembre 2020 che avevano sancito la vittoria schiacciante con l’86 per cento delle preferenze dell’NLD, il partito di Aung San Suu Kyi;

la popolazione del Myanmar ha reagito manifestando pacificamente la sua opposizione e dando vita a organismi rappresentativi: CRPH (Committee representing Pyidaungsu Hluttaw), NUG (National unity government), NUCC (National unity consultative council), riuscendo così ad impedire, nei tre anni di resistenza, alla giunta illegale del Myanmar di prendere il controllo del Paese;

il regime ha imprigionato da subito la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente U Win Myint e numerosi leader democratici; ha colpito la popolazione civile con migliaia di arresti, incarcerazioni, condanne a morte, processi farsa, violenze, stupri, torture, bombardamenti su villaggi, ospedali, chiese, scuole, musei e siti archeologici, violando sistematicamente i diritti umani; inoltre, secondo una nuova analisi satellitare, il Myanmar avrebbe intrapreso un programma di espansione delle carceri su larga scala;

il Myanmar è precipitato in una drammatica crisi umanitaria, i militari hanno impedito l’accesso agli aiuti, come già avvenuto al tempo del ciclone Nargis, causando il tracollo economico e l’isolamento del Paese dal contesto internazionale, il venir meno dei servizi educativi e sanitari e il conseguente abbandono dell’istruzione e delle università, controllate dai militari, da parte degli studenti e dei docenti;

nell’opposizione al regime si è determinato un processo di unità di tutte le forze democratiche, tra gli organismi rappresentativi del popolo e i gruppi etnici, anche armati, che ha dato vita anche a gruppi di difesa del popolo, il PDF (People defence force), e ha consentito la progressiva liberazione di gran parte del territorio del Paese, 36 città e circa il 65 per cento del territorio, specialmente nelle zone rurali e di confine, avviando una prima amministrazione civile;

le donne sono parte attiva della resistenza in Myanmar, dell’organizzazione sociale nei territori liberati, nell’aiuto volontario alla popolazione, nonché nella partecipazione ai gruppi armati;

a tre anni di distanza la resistenza della “Spring revolution” continua, i militari perdono presidi, migliaia di soldati si arrendono, il vertice militare è in difficoltà e diviso, e, dunque, sembra essersi aperta una nuova fase;

la comunità internazionale ha osservato e seguito in questi anni la situazione, non riconoscendo legittimità al regime militare e procedendo con sanzioni significative, ha sostenuto l’iniziativa dell’ASEAN che con il consenso in 5 punti, sempre respinto dai militari del Myanmar, tentava di contribuire alla soluzione della crisi del Paese;

il Consiglio di sicurezza ONU ha approvato il 21 dicembre 2022 la risoluzione 2669, che chiede, tra l’altro, la cessazione immediata di tutte le forme di violenza, la liberazione di tutti i prigionieri politici arbitrariamente in carcere, a partire dal presidente Win Myint e la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, ribadendo l’appello a sostenere le istituzioni e i processi democratici e a perseguire il dialogo costruttivo e la riconciliazione secondo la volontà e gli interessi del popolo;

l’Assemblea generale ONU ha adottato l’8 novembre 2023 una risoluzione sulla situazione dei diritti umani dei musulmani rohingya e delle altre minoranze in Myanmar che, tra l’altro, condanna con la massima fermezza tutte le violazioni e gli abusi dei diritti umani contro i civili, compresi i rohingya e altre minoranze, prima e dopo la dichiarazione ingiustificata dello stato di emergenza il 1° febbraio 2021 e invita le forze armate e di sicurezza del Myanmar a rispettare le norme, la volontà e le aspirazioni democratiche del popolo, a porre fine alla violenza e a rispettare pienamente i diritti umani, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto e, infine, a dichiarare la cessazione dello stato di emergenza;

la Commissione europea, dal colpo di Stato ad oggi, ha adottato una serie di misure restrittive nei confronti di 99 soggetti e 19 entità, soggette al congelamento dei beni, al divieto di viaggio, di entrata e di transito nel territorio UE e il divieto di qualunque forma di finanziamento o sostegno in favore dei destinatari di tali misure. Analogamente, ha disposto l’embargo su armi, e attrezzature, su beni a duplice uso destinati all’esercito e alla polizia di frontiera, il divieto di addestramento militare e cooperazione con l’esercito birmano e le restrizioni all’esportazione di attrezzature per il monitoraggio delle comunicazioni, che potrebbero essere utilizzate a fini di repressione interna;

considerato che:

la nuova fase che sembra aprirsi in Myanmar, grazie alla sistematica e totale resilienza del popolo e dei suoi rappresentanti, esige che la comunità internazionale sia al fianco del popolo mentre pone le basi di una democrazia federale e inclusiva, pagata a caro prezzo, che comprende l’esclusione dei militari dal potere politico;

l’intera regione asiatica (ASEAN), nel contesto che vede la presenza della Cina, dell’India, dell’Indo-Pacifico, del Giappone, ha bisogno di stabilità e in tal senso Stati Uniti, Unione europea e Gran Bretagna hanno ripetutamente manifestato la volontà di promuovere la soluzione democratica della crisi in Myanmar;

il recente evento “Rebuilding democracy in post-coup Myanmar”, promosso il 1° febbraio 2024 al Parlamento europeo da IPE (Irrawaddy policy exchange), concluso da Romano Prodi, ha messo in luce la necessità di iniziative politiche internazionali urgenti, adeguate alle sfide dell’attuale situazione in Myanmar;

il Ministro degli esteri della Thailandia Parupree Bahidha Nukara, nel recente 24° incontro ministeriale ASEAN-UE a Bruxelles, ha chiesto sostegno all’Unione europea per affrontare la crisi del Myanmar, per mettere in campo iniziative umanitarie, sostenendo che l’ASEAN e la UE possano lavorare insieme per creare cambiamenti;

la drammatica situazione dei rohingya, che sta a cuore all’intera comunità internazionale, può trovare soluzione in un Myanmar democratico, federale, stabile e inclusivo, come è dimostrato dalla presenza di un rappresentante dei rohingya nel NUG;

l’approccio non violento della popolazione del Myanmar sollecita tutte le energie religiose e spirituali del Paese a favorire su basi democratiche, nel rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa, un processo di riconciliazione e di pace, al quale non può essere estranea la comunità internazionale, come anche sostenuto in ripetuti appelli da papa Francesco;

occorre affrontare al più presto la crisi umanitaria, ponendo fine alle sofferenze intollerabili della popolazione, in particolar modo dei bambini, degli anziani, delle donne, sfollati nella giungla o rifugiati nei Paesi vicini, anche con aiuti umanitari transfrontalieri, non sotto il controllo dei militari;

considerato, inoltre, che:

il Parlamento italiano in questi ultimi due decenni ha seguito con partecipazione l’intera situazione del Myanmar nel suo cammino verso la democrazia, ha dato vita all’Associazione parlamentari amici della Birmania, ricostituita nella presente Legislatura, ha ospitato in un evento parlamentare nel 2017 Aung San Suu Kyi, ha inviato una delegazione parlamentare in Myanmar, guidata dal sen. Pierferdinando Casini nel settembre 2016, e dialoga con associazioni, università, organizzazioni della società civile italiana che alimentano un grande e diffuso rapporto di amicizia e cooperazione con il Myanmar;

i membri della Camera dei rappresentanti negli USA hanno lanciato il primo caucus bipartisan sulla Birmania, costituito da almeno una trentina di parlamentari, per fare pressione sull’amministrazione statunitense affinché agisca sulla crisi del Paese del Sud-Est asiatico, dopo l’emanazione del “Burma act” in data 23 dicembre 2022,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi in occasione del prossimo G7 a guida italiana perché si raggiunga la cessazione della violenza in Myanmar, la liberazione di tutti i prigionieri politici, di Aung San Suu Kyi e del presidente Win Myint, nonché il pieno ripristino della democrazia;

2) a promuovere in sede UE una strategia nuova, più attiva ed efficace, per la transizione democratica in Myanmar anche sostenendo politicamente e finanziariamente i programmi del NUG, del Movimento di disobbedienza civile e sindacale e delle organizzazioni del Consiglio consultivo nazionale unitario;

3) a sostenere in sede ONU la scelta di un inviato speciale per il Myanmar autorevole e dotato di poteri effettivi;

4) ad adoperarsi nelle sedi internazionali al fine di sostenere il riconoscimento presso la comunità internazionale del Governo di unità nazionale;

5) a sostenere le iniziative di cooperazione e sostegno delle istituzioni italiane, delle città, delle università e della società civile per il Myanmar. Pubblicato il 21 febbraio 2024, nella seduta n. 161

ZAMPA, CASINI, CAMUSSO, ALFIERI, DELRIO, SENSI, D'ELIA, ROJC, LA MARCA, NICITA, ZAMBITO, IRTO, BASSO, VERDUCCI, TAJANI, FURLAN, RANDO, ROSSOMANDO, GIACOBBE, MARTELLA, VALENTE, MANCA, MALPEZZI, VERINI
Il Senato,

premesso che:

il 1° febbraio 2021 il colpo di Stato dei militari in Myanmar ha interrotto la transizione del Paese verso la democrazia con la guida di Aung San Suu Kyi, dopo le elezioni democratiche, come riconosciuto dagli osservatori internazionali, dell’8 novembre 2020 che avevano sancito la vittoria schiacciante con l’86 per cento delle preferenze dell’NLD, il partito di Aung San Suu Kyi;

la popolazione del Myanmar ha reagito manifestando pacificamente la sua opposizione e dando vita a organismi rappresentativi: CRPH (Committee representing Pyidaungsu Hluttaw), NUG (National unity government), NUCC (National unity consultative council), riuscendo così ad impedire, nei tre anni di resistenza, alla giunta illegale del Myanmar di prendere il controllo del Paese;

il regime ha imprigionato da subito la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente U Win Myint e numerosi leader democratici; ha colpito la popolazione civile con migliaia di arresti, incarcerazioni, condanne a morte, processi farsa, violenze, stupri, torture, bombardamenti su villaggi, ospedali, chiese, scuole, musei e siti archeologici, violando sistematicamente i diritti umani; inoltre, secondo una nuova analisi satellitare, il Myanmar avrebbe intrapreso un programma di espansione delle carceri su larga scala;

il Myanmar è precipitato in una drammatica crisi umanitaria, i militari hanno impedito l’accesso agli aiuti, come già avvenuto al tempo del ciclone Nargis, causando il tracollo economico e l’isolamento del Paese dal contesto internazionale, il venir meno dei servizi educativi e sanitari e il conseguente abbandono dell’istruzione e delle università, controllate dai militari, da parte degli studenti e dei docenti;

nell’opposizione al regime si è determinato un processo di unità di tutte le forze democratiche, tra gli organismi rappresentativi del popolo e i gruppi etnici, anche armati, che ha dato vita anche a gruppi di difesa del popolo, il PDF (People defence force), e ha consentito la progressiva liberazione di gran parte del territorio del Paese, 36 città e circa il 65 per cento del territorio, specialmente nelle zone rurali e di confine, avviando una prima amministrazione civile;

le donne sono parte attiva della resistenza in Myanmar, dell’organizzazione sociale nei territori liberati, nell’aiuto volontario alla popolazione, nonché nella partecipazione ai gruppi armati;

a tre anni di distanza la resistenza della “Spring revolution” continua, i militari perdono presidi, migliaia di soldati si arrendono, il vertice militare è in difficoltà e diviso, e, dunque, sembra essersi aperta una nuova fase;

la comunità internazionale ha osservato e seguito in questi anni la situazione, non riconoscendo legittimità al regime militare e procedendo con sanzioni significative, ha sostenuto l’iniziativa dell’ASEAN che con il consenso in 5 punti, sempre respinto dai militari del Myanmar, tentava di contribuire alla soluzione della crisi del Paese;

il Consiglio di sicurezza ONU ha approvato il 21 dicembre 2022 la risoluzione 2669, che chiede, tra l’altro, la cessazione immediata di tutte le forme di violenza, la liberazione di tutti i prigionieri politici arbitrariamente in carcere, a partire dal presidente Win Myint e la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, ribadendo l’appello a sostenere le istituzioni e i processi democratici e a perseguire il dialogo costruttivo e la riconciliazione secondo la volontà e gli interessi del popolo;

l’Assemblea generale ONU ha adottato l’8 novembre 2023 una risoluzione sulla situazione dei diritti umani dei musulmani rohingya e delle altre minoranze in Myanmar che, tra l’altro, condanna con la massima fermezza tutte le violazioni e gli abusi dei diritti umani contro i civili, compresi i rohingya e altre minoranze, prima e dopo la dichiarazione ingiustificata dello stato di emergenza il 1° febbraio 2021 e invita le forze armate e di sicurezza del Myanmar a rispettare le norme, la volontà e le aspirazioni democratiche del popolo, a porre fine alla violenza e a rispettare pienamente i diritti umani, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto e, infine, a dichiarare la cessazione dello stato di emergenza;

la Commissione europea, dal colpo di Stato ad oggi, ha adottato una serie di misure restrittive nei confronti di 99 soggetti e 19 entità, soggette al congelamento dei beni, al divieto di viaggio, di entrata e di transito nel territorio UE e il divieto di qualunque forma di finanziamento o sostegno in favore dei destinatari di tali misure. Analogamente, ha disposto l’embargo su armi, e attrezzature, su beni a duplice uso destinati all’esercito e alla polizia di frontiera, il divieto di addestramento militare e cooperazione con l’esercito birmano e le restrizioni all’esportazione di attrezzature per il monitoraggio delle comunicazioni, che potrebbero essere utilizzate a fini di repressione interna;

considerato che:

la nuova fase che sembra aprirsi in Myanmar, grazie alla sistematica e totale resilienza del popolo e dei suoi rappresentanti, esige che la comunità internazionale sia al fianco del popolo mentre pone le basi di una democrazia federale e inclusiva, pagata a caro prezzo, che comprende l’esclusione dei militari dal potere politico;

l’intera regione asiatica (ASEAN), nel contesto che vede la presenza della Cina, dell’India, dell’Indo-Pacifico, del Giappone, ha bisogno di stabilità e in tal senso Stati Uniti, Unione europea e Gran Bretagna hanno ripetutamente manifestato la volontà di promuovere la soluzione democratica della crisi in Myanmar;

il recente evento “Rebuilding democracy in post-coup Myanmar”, promosso il 1° febbraio 2024 al Parlamento europeo da IPE (Irrawaddy policy exchange), concluso da Romano Prodi, ha messo in luce la necessità di iniziative politiche internazionali urgenti, adeguate alle sfide dell’attuale situazione in Myanmar;

il Ministro degli esteri della Thailandia Parupree Bahidha Nukara, nel recente 24° incontro ministeriale ASEAN-UE a Bruxelles, ha chiesto sostegno all’Unione europea per affrontare la crisi del Myanmar, per mettere in campo iniziative umanitarie, sostenendo che l’ASEAN e la UE possano lavorare insieme per creare cambiamenti;

la drammatica situazione dei rohingya, che sta a cuore all’intera comunità internazionale, può trovare soluzione in un Myanmar democratico, federale, stabile e inclusivo, come è dimostrato dalla presenza di un rappresentante dei rohingya nel NUG;

l’approccio non violento della popolazione del Myanmar sollecita tutte le energie religiose e spirituali del Paese a favorire su basi democratiche, nel rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa, un processo di riconciliazione e di pace, al quale non può essere estranea la comunità internazionale, come anche sostenuto in ripetuti appelli da papa Francesco;

occorre affrontare al più presto la crisi umanitaria, ponendo fine alle sofferenze intollerabili della popolazione, in particolar modo dei bambini, degli anziani, delle donne, sfollati nella giungla o rifugiati nei Paesi vicini, anche con aiuti umanitari transfrontalieri, non sotto il controllo dei militari;

considerato, inoltre, che:

il Parlamento italiano in questi ultimi due decenni ha seguito con partecipazione l’intera situazione del Myanmar nel suo cammino verso la democrazia, ha dato vita all’Associazione parlamentari amici della Birmania, ricostituita nella presente Legislatura, ha ospitato in un evento parlamentare nel 2017 Aung San Suu Kyi, ha inviato una delegazione parlamentare in Myanmar, guidata dal sen. Pierferdinando Casini nel settembre 2016, e dialoga con associazioni, università, organizzazioni della società civile italiana che alimentano un grande e diffuso rapporto di amicizia e cooperazione con il Myanmar;

i membri della Camera dei rappresentanti negli USA hanno lanciato il primo caucus bipartisan sulla Birmania, costituito da almeno una trentina di parlamentari, per fare pressione sull’amministrazione statunitense affinché agisca sulla crisi del Paese del Sud-Est asiatico, dopo l’emanazione del “Burma act” in data 23 dicembre 2022,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi in occasione del prossimo G7 a guida italiana perché si raggiunga la cessazione della violenza in Myanmar, la liberazione di tutti i prigionieri politici, di Aung San Suu Kyi e del presidente Win Myint, nonché il pieno ripristino della democrazia;

2) a promuovere in sede UE una strategia nuova, più attiva ed efficace, per la transizione democratica in Myanmar anche sostenendo politicamente e finanziariamente i programmi del NUG, del Movimento di disobbedienza civile e sindacale e delle organizzazioni del Consiglio consultivo nazionale unitario;

3) a sostenere in sede ONU la scelta di un inviato speciale per il Myanmar autorevole e dotato di poteri effettivi;

4) ad adoperarsi nelle sedi internazionali al fine di sostenere il riconoscimento presso la comunità internazionale del Governo di unità nazionale;

5) a sostenere le iniziative di cooperazione e sostegno delle istituzioni italiane, delle città, delle università e della società civile per il Myanmar.

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